Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22832 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata ad Africo il 22/09/1976
avverso l’ordinanza del 19/11/2024 del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME FrancescaCOGNOME il quale, dopo la discussione, ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 38604 del 12/07/2024, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione annullava con rinvio l’ordinanza del 23/01/2024 del Tribunale di Milano con la quale, per quanto qui interessa, era stato confermato il decreto del 26/09/2023 del G.i.p. del Tribunale di Milano di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 240-bis cod. pen. disposto nei confront NOME COGNOME al quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 -, su di un immobile sito in Invorio di proprietà della moglie dello stesso COGNOME signora NOME COGNOME
Con ordinanza del 19/11/2024, il Tribunale di Milano, in esito al giudizio di rinvio, confermava il suddetto decreto del 26/09/2023 del G.i.p. del Tribunale di Milano con riferimento al menzionato immobile di proprietà di NOME COGNOME
Avverso la suddetta ordinanza del 19/11/2024 del Tribunale di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a quattro motivi, preceduti da una premessa.
2.1. Con i primi due motivi – i quali sono argomentati congiuntamente – la ricorrente deduce: 1) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 240-bis cod. pen. e della 24 Cost., nonché «Motivazione inesistente e/o manifestamente apparente»; 2) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: «Omesso esame delle allegazioni difensive – Inosservanza dei principi devoluti con la sentenza di annullamento – Motivazione manifestamente apparente e/o inesistente».
2.1.1. Dopo un excursus «delle vicende giudiziarie sottese al presente procedimento incidentale», dopo avere riportato alcuni passaggi della precedente ordinanza del 23/01/2024 del Tribunale di Milano e dopo avere accennato ad alcune delle ragioni che aveva posto a fondamento del proprio ricorso per cassazione avverso tale ordinanza, la ricorrente evidenzia il rilievo che, anche con riguardo al presente ricorso, avrebbero gli elementi che: a) l’immobile era «da sempre nella disponibilità della Sig.ra COGNOME NOME non fosse altro perché trattasi dell’abitazione familiare; b) «in dal 2012, cioè nell’anno di stipula de contratto di locazione con patto di futura vendita, risultavano come futuri acquirenti dell’immobile e futuri comproprietari sia il COGNOME NOME che la moglie COGNOME NOME».
La ricorrente ribadisce altresì che non potrebbe «assumere rilevanza preclusiva» il fatto che parte del pagamento del prezzo dell’immobile di C 195.000,00 era stato effettuato da NOME COGNOME, «trattandosi di una normale dinamica familiare quella in cui, un acquisto in comproprietà, viene effettuato con spese maggiormente a carico del coniuge più abbiente, venendo poi risolte le questioni economiche internamente alla famiglia».
Ciò posto, la ricorrente ribadisce altresì che, come sarebbe stato dimostrato con l’allegata consulenza tecnica di parte e come si sarebbe dato atto nella stessa sentenza di annullamento con rinvio, in seno alla propria famiglia, ella «presentava ampia capacità reddituale», «in linea con la possibilità di pieno e non interposto contributo all’acquisto del bene in questione», con la conseguenza che non sarebbe reale né desumibile dagli atti quanto affermato dal Tribunale di Milano che «i pagamenti in questione non erano economicamente sostenibili in proprio da COGNOME NOME» e che ella «deduce che sia stato il marito, imputato, a farsi carico degli oneri economici dell’acquisto» (pag. 7 dell’ordinanza impugnata).
Quanto al riferimento, operato dal Tribunale di Milano, al fatto che NOME COGNOME «non ha dichiarato redditi in Italia dal 2015» (pag. 10 dell’ordinanza impugnata), la ricorrente asserisce che il dato normativo e convenzionale che giustificherebbe ciò sarebbe spiegato alla pag. 7 della citata consulenza tecnica di parte.
La COGNOME ribadisce anche che il fatto che, nell’atto di acquisto dell’immobile, era stata indicata solo lei stessa trovava spiegazione nella circostanza che, nel maggio del 2023 (l’atto fu formalizzato il 10/05/2023), il marito NOME COGNOME era latitante, sicché non poteva «sottoscrivere anch’egli l’acquisto in qualità di comproprietario stante le sollecitazioni del venditore finalizzate a formalizzare l’operazione di compravendita». Inoltre, non vi sarebbero né sarebbero stati addotti elementi che possano provare che «la sola sottoscrizione della ricorrente fosse finalizzata a consolidare un’interposizione fittizia; deduzione del tutto illogica avuto riguardo già alla semplice struttura e forma del rogito notarile in cui vengono puntualmente riportati tutti i bonifici bancari necessari al pagamento del prezzo». Ciò che dovrebbe essere valutato è «il momento in cui il contratto veniva sottoscritto, e cioè in un periodo successivo alla notizia dell’emissione della misura cautelare personale ed all’assoluta probabilità e prevedibilità potenziale del sequestro».
La ricorrente contesta poi che, con riguardo all’origine illecita del denaro con cui l’immobile fu acquistato, il Tribunale di Milano si sarebbe «limita nuovamente ad interpretare alcune chat sky ecc. richiamate e quindi fondando la nuova decisione sulle medesime argomentazioni ritenute incomplete ed insufficienti dalla Suprema Corte».
La COGNOME ribadisce che il contenuto delle stesse chat, letto nella sua integralità, sarebbe «tutt’altro che dimostrativo della sussistenza di attività illecita collocabile nei periodi in cui i pagamenti venivano effettuati», atteso che le stesse chat attenevano a delle attività commerciali e imprenditoriali che NOME COGNOME aveva realizzato in Africa nei settori dell’energia e della ristorazione, con possibili sviluppi anche nel settore immobiliare; attività il cui effetti svolgimento «negli anni in cui sono imputati i pagamenti» sarebbe stato dimostrato. La tesi del Tribunale di Milano secondo cui le stesse attività deriverebbero dal reinvestimento dei proventi del narcotraffico costituirebbe, secondo la ricorrente, «una petizione di principio disancorata da elementi certi e già bollati di genericità dal precedente provvedimento della Cassazione».
Ancora, «gli atti processuali e le produzioni difensive» comproverebbero che l’eventuale inizio dell’attività criminosa oggetto del procedimento penale a carico del COGNOME «possa correttamente datarsi solo in un tempo del tutto lontano dal momento dell’effettuazione dei pagamenti necessari all’acquisto dell’immobile».
La ricorrente richiama al riguardo, come già in precedenza, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, le quali avrebbero «precisa datazione temporale» e smentirebbero «precedenti rapporti o interessi tali da giustificare l’assunto del Tribunale sul reinvestimento di proventi illeciti del narcotraffico in attività imprenditoriali». La tesi dello stesso Tribunale secondo cui, dalle dichiarazioni che erano state rese dall’COGNOME, sarebbe risultato che la sua conoscenza con NOME COGNOME tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 «trovava la sua ragione nel riconoscimento del rilievo della caratura di narcotrafficante di COGNOME NOME» (pag. 10 dell’ordinanza Impugnata) sarebbe frutto di un travisamento nelle stesse dichiarazioni, nelle quali l’Imperiale avrebbe chiarito «di aver richiesto il contatto con il COGNOME al di fuori di ogni contesto inerente i narcotraffico, per le capacità relazionali che in quel contesto territoriale al soggetti gli avevano segnalato».
Pertanto, diversamente da quanto è sostenuto dal Tribunale di Milano, né dalle dichiarazioni dell’Imperiale né dalle menzionate chat emergerebbe che l’incontro tra il COGNOME e lo stesso Imperiale era stato «un incontro da pari a pari tra narcotrafficanti internazionali» (pag. 10 dell’ordinanza impugnata).
Emergerebbe quindi che l’eventuale inizio dell’attività criminosa di NOME COGNOME sarebbe «collocato in un contesto temporale lontano dal momento dell’effettuazione dei pagamenti necessari all’acquisto dell’immobile». Aspetto, questo, in ordine al quale la Sesta sezione penale della Corte di cassazione avrebbe «ravvisato un’evidente carenza argomentativa» e il Tribunale di Milano continuerebbe a «non forni alcuna prova».
Lo stesso Tribunale: a) non offrirebbe «utili e coerenti elementi di spiegazione sulle altre deduzioni difensive dimostrative delle capacità reddituali della ricorrente»; b) non fornirebbe dimostrazione dell’«assunto della coincidenza temporale tra acquisto e commissione del reato spia anche nella logica di ragionevolezza temporale tra commissione del reato spia e l’incremento patrimoniale, come valutato e considerato nella sentenza di annullamento».
In ordine a quest’ultimo aspetto, il Tribunale di Milano avrebbe fornito «una reiterazione argomentativa improponibile in punto di diritto», atteso, in particolare, che, «nche in ordine al principio di ragionevolezza temporale, non giustifica il proprio convincimento con argomenti diversi e coerenti allo schema enunciato dalla Cassazione» nella sentenza di annullamento con rinvio, fornendo una motivazione apparente, in quanto «avulsa dalle reali risultanze processuali avvalendosi di argomentazioni generiche (tali già definite dalla Suprema Corte)».
La ricorrente precisa che il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva dichiarato che NOME COGNOME gli aveva proposto una collaborazione nell’attività di spaccio di stupefacenti solo nei primi mesi del 2019, epoca alla quale risalgono
i primi contatti tra i due, mentre solo a distanza di tempo sarebbe seguita l’attività di cui all’imputazione nel processo principale, «tanto che la contestazione di commesso reato al COGNOME parte dal Giugno del 2020». La Maviglia sottolinea che la gran parte dei pagamenti del prezzo dell’immobile che erano stati fatti dal COGNOME attengono ad un periodo antecedente al 2019, «periodo in cui il COGNOME svolgeva regolare attività imprenditoriale in Africa».
Alla luce di quanto esposto, la ricorrente riassume che: a) l’acquisto dell’immobile era «avvenuto con proventi derivanti da attività lecita»; b) non vi era «alcuna sproporzione tra l’acquisto del suddetto immobile e i proventi derivanti dall’attività imprenditoriale portata avanti dal COGNOME nel periodo antecedente la commissione del reato, né con riferimento alla capacità reddituale della ricorrente»; c) non vi sarebbe «alcuna ragionevolezza-temporale fra la commissione del reato-spia ed il periodo di acquisto dell’immobile»; d) ella «era anche portatrice di capacità reddituali coerenti con l’impegno economico sostenuto»; e) «l’acquisto era stato effettuato nell’ottica dell’impegno economico del nucleo familiare».
La ricorrente contesta poi la tesi del Tribunale di Milano secondo cui «gli interessi imprenditoriali di COGNOME Bartolo in Costa d’Avorio hanno la loro genesi all’indomani della scarcerazione dello stesso dopo l’espiazione di una lunga pena detentiva per narcotraffico internazionale» (pag. 8 dell’ordinanza impugnata). La COGNOME deduce in proposito che dall’allegata relativa sentenza risulterebbe che: a) l’imputazione più grave contestata era quella di tentata cessione di sostanza stupefacente ad agenti sotto copertura; b) non era contestata alcuna ipotesi di traffico internazionale di sostanze stupefacenti; c) la «contestazione associativa trovava la sua limitazione all’anno 2000». Pertanto, il dato costituito dalla stessa sentenza non sarebbe utilizzabile al fine di «presumere precedenti accumuli di risorse illecite sulla base di una presunta condanna per narcotraffico internazionale». Sia nel procedimento principale sia «in tutti i richiamati procedimenti connessi in cui il COGNOME è imputato» i fatti sarebbero «tutti successivi al 2020 e mai retrodatabili a fasi e periodi precedenti».
2.1.2. Sotto un ulteriore profilo, la ricorrente afferma l’erroneità della ritenuta discrasia tra intestazione formale a sé dell’immobile e disponibilità dello stesso bene.
La COGNOME deduce in proposito che, a fronte di un rapporto contrattuale originario riguardo all’immobile che, «in ogni sua fase, è risultato intestato sin dall’origine ad entrambi i coniugi», sarebbe onere dell’accusa fornire elementi idonei a provare la suddetta discrasia.
La ricorrente deduce altresì che: a) non risultava alcun elemento da cui ricavare che il venditore dell’immobile abbia manifestato la volontà di risolvere il
contratto intestato ab origine ad entrambi i coniugi; b) la coincidenza temporale tra la sottoscrizione del preliminare di acquisto dell’immobile e «la sottoscrizione del contratto di lavoro del COGNOME» costituirebbe «la prova evidente che l’operazione economica familiare sia stata formalizzata al prospettarsi delle prime capacità economiche del nucleo familiare nell’anno 2012, e cioè 8 anni prima dei fatti contestati e, comunque, nella contemporanea sussistenza di risorse reddituali lecite riferibili anche alla Sig.ra COGNOME; c) la limitazione dell’acquisto solamente a quest’ultima era già stata spiegata.
La COGNOME deduce poi il travisamento del «dato riportato e cioè che la somma impiegata per l’acquisto del bene fosse sì derivante dal ricavato della vendita di quote della società RAGIONE_SOCIALE».
La ricorrente rappresenta che, già con il precedente ricorso per cassazione, aveva chiarito che: a) non vi era stato «alcun acquisto di quote societarie da parte del COGNOME ma più semplicemente un riparto delle quote derivanti dalla vendita di RAGIONE_SOCIALE»; b) «ali quote venivano assegnate al dipendente COGNOME sulla base di un esborso economico assolutamente irrisorio»; c) pertanto, «la somma poi introitata dalla vendita della società e tracciata con l’assegno riportato in perizia contabile, ha origine lecita, contrariamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, in quanto, assolutamente lecita risulta la provvista necessaria per l’originario acquisto delle quote da parte del Sig. COGNOME.
La COGNOME contesta la motivazione dell’ordinanza impugnata là dove il Tribunale di Milano afferma che non era stato provato che il COGNOME avesse esercitato il diritto, a lui riconosciuto, di «acquistare le quote della società ne termini favorevoli indicati nella proposta irrevocabile di cessione delle quote» (pag. 12 dell’ordinanza impugnata), atteso che «on essere in grado a distanza di tanti anni di recuperare nei ristretti tempi della procedura la lettera eventualmente giustificativa dell’esercizio di tale opzione non può svalorizzare il dato oggettivo della titolarità esistente e documentalmente provata in suo favore di tale diritto che evidentemente lo stesso non aveva motivo plausibile di non esercitare». E che egli esercitò effettivamente, pur non disponendo, allo stato, del relativo atto. Il Tribunale di Milano non offrirebbe comunque «elementi diversi e magari più attendibili da cui presumere che le quote societarie vendute siano pervenute con esborsi economici non giustificati e diversi da quelli provati dalla difesa».
Pertanto, non sarebbe stato «correttamente adempiuto l’onere motivazionale sollecitato dalla Cassazione nella sentenza di annullamento», atteso che il Tribunale di Milano non avrebbe fatto altro che tentare «di confermare il precedente assunto (riportato nell’ordinanza precedente), sull’origine incerta delle
somme necessarie per l’acquisto delle quote poi alienate e da cui derivava la provvista necessaria ai bonifici inoltrati per l’acquisto dell’immobile».
2.2. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: «Motivazione apparente – Travisamento dei fatti e della prova nel suo complesso – Omesso esame delle allegazioni difensive – Mancata applicazione e valutazione delle indicazioni della sentenza di annullamento».
La COGNOME espone che la Sesta sezione penale avrebbe in particolare ravvisato la carenza motivazionale «sul collegamento cronologico tra la presunta attività delittuosa e il momento di ingresso nel patrimonio dell’immobile», anche «sotto il profilo dell’asserita sproporzione rispetto al reddito e/o all’attiv economica», «avuto riguardo alla circostanza segnalata dalla Cassazione sul perché … l’immobile non potrebbe essere stato acquistato anche con redditi leciti della stessa COGNOME (pag. 6 sentenza di annullamento con rinvio)».
Ciò esposto, la ricorrente lamenta che il Tribunale di Milano avrebbe solo 3 4 apparentemente soddisfatto il compito che ‘ era stato demandato dalla Sesta sezione penale, in quanto avrebbe «reitera, di fatto, le identiche argomentazioni precedentemente criticate nulla aggiungendo di diverso».
Il Tribunale di Milano avrebbe assunto come esistenti elementi che non emergono dalle chat che sono riportate nell’ordinanza impugnata. In particolare, là dove il COGNOME faceva riferimento ad attività «fate pezzo per pezzo», si riferiva ad attività economiche costruite personalmente nel tempo e non ad attività di narcotraffico o comunque illecite, con la conseguenza che riportarne le origini al reinvestimento di profitti illeciti costituirebbe «una petizione di principio priva un benché minimo riscontro fattuale e probatorio».
Secondo la ricorrente, nel compendio probatorio non sarebbe ravvisabile un solo elemento idoneo a confermare che il COGNOME, prima di iniziare l’attività illecita in concorso con l’Imperiale nel 2020, «abbia operato nel narcotraffico e/o abbia reinvestito i proventi di tali attività illecite in operazioni commerciali e nell attività di cui risultava titolare».
Anche in ordine al requisito della sproporzione, la quale consiste in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare con riferimento al momento dell’acquisizione dei singoli beni, e che costituisce la condizione in presenza della quale si può presumere che il bene in sequestro derivi da attività illecita presunzione circoscritta dalla cosiddetta “ragionevolezza temporale” -, il Tribunale di Milano nulla avrebbe fornito per confutare quanto risultava dalla consulenza tecnica di parte e nulla avrebbe integrato rispetto a quanto era stato oggetto di censura da parte della Sesta sezione penale.
2.3. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: «Motivazione apparente e/o inesistente –
Mancata applicazione e valutazione delle indicazioni della sentenza di annullamento».
La COGNOME contesta che il Tribunale di Milano avrebbe ritenuto «vincolante» «l’intervenuta sentenza di condanna di primo grado nel giudizio di merito nei confronti del COGNOME COGNOME».
Riaffermato che ella è terza interessata ed è la titolare dell’immobile, la COGNOME deduce che l’impostazione del Tribunale di Milano «determina un’evidente tentativo di sottrarsi al vincolo derivante dalla sentenza di annullamento attraverso la valorizzazione di un fatto processuale nuovo (costituito appunto dalla sentenza) a cui si è attribuita una valenza preclusiva ed una decisiva rilevanza formale, fondato sul presupposto che ciò che il Tribunale avrebbe dovuto specificamente verificare, sia stato inglobato dall’operata e sovrapponibile valutazione operata dal Giudice in sede di merito».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I quattro motivi di ricorso – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
Si deve anzitutto rammentare che, come è stato da tempo chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692-01).
Tale principio è stato successivamente riaffermato da numerosissime pronunce delle sezioni semplici della Corte di cassazione, tra le quali le massimate: Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608-01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01.
È stato altresì precisato, sempre dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di «violazione di legge» per cui soltanto può essere proposto ricorso a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione merannente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) del comma 1 dell’art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01. Successivamente, nello stesso senso:
Sez. 5, n. 8434 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236255-01; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, COGNOME, Rv. 242916-01; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119-01).
Da tali principi discende quindi la necessità di ripercorrere l’apparato motivazionale che è stato posto dal Tribunale di Milano a sostegno del rigetto della richiesta di riesame che era stata presentata dalla ricorrente, al fine di verificare se, nello stesso apparato, siano o no ravvisabili i requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza idonei a rendere comprensibile l’itinerario logicogiuridico che è stato seguito dallo stesso Tribunale nell’adottare l’ordinanza impugnata.
La necessità di ripercorrere l’apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata discende altresì dal fatto che essa è stata emessa dal Tribunale del riesame quale giudice di rinvio, il che impone di verificare anche se lo stesso Tribunale abbia giustificato il proprio convincimento secondo lo schema che era stato enunciato nella sentenza di annullamento della Sesta sezione penale (Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277999-01), senza ripetere i vizi che erano stati riscontrati nella precedente ordinanza del 23/01/2024 dalla stessa Sesta sezione (Sez. 6, n. 19206 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255122-01).
Prendendo necessariamente le mosse da quest’ultimo rilievo, si deve osservare che, con la sentenza n. 38604 del 12/07/2024, la Sesta sezione penale, nel ritenere che, con l’ordinanza del 23/01/2024, non fosse stata fatta corretta applicazione dei principi in tema di confisca cosiddetta allargata (richiamati al punto 2 della parte in diritto), aveva devoluto al giudice di rinvio di: 1) chiarir «perché quell’immobile non potrebbe essere stato acquisito anche con redditi leciti della stessa Maviglia»; 2) sulle premesse che la prova del collegamento cronologico tra l’attività delittuosa per cui è stata emessa la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti e il momento di ingresso del singolo bene di valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica incombe sulla pubblica accusa e che, nel caso di specie, almeno tre dei quattro bonifici che avrebbero provato che il prezzo dell’immobile era stato corrisposto da NOME COGNOME con i proventi della propria attività illecita di narcotrafficant erano stati disposti prima, anche a distanza di anni, rispetto alla data di contestazione del reato associativo che era posto a fondamento del titolo cautelare, chiarire «sulla base di quali concreti elementi si possa affermare che COGNOME già nel 2017 o nel 2018, cioè in un momento precedente di anni rispetto alla data di commissione del reato associativo, avesse accumulato sostanze illecite per l’acquisto di quell’immobile» (considerato che «l’onere di motivazione è tanto maggiore quanto più si intenda retrodatare il periodo di collegamento tra l’acquisto e l’accumulazione illecita e ciò soprattutto nei casi in cui il bene è formalmente
intestato ad un terzo estraneo al reato»); 3) sulla premessa che «on può porsi a carico del terzo, ritenuto fittizio intestatario dei beni oggetto della richiesta confisca, un vero e proprio onere probatorio di dimostrazione compiuta della legittima provenienza delle risorse utilizzate per gli acquisti» e che «la prova della scissione tra titolarità formale e impiego delle risorse illecite da parte di altri spett comunque alla pubblica accusa», porre rimedio al fatto che, a tale riguardo, il Tribunale di Milano, nell’ordinanza del 23/01/2024, si era limitato a richiamare un breve stralcio di una conversazione intercettata, alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e alcuni procedimenti penali «di cui, non diversamente, nulla è dato sapere».
In sede di rinvio, il Tribunale di Milano avrebbe quindi dovuto, applicando i principi indicati, verificare se il sequestro dell’immobile fosse (o no) legittimo.
5. A tale proposito, si ritiene utile anche ribadire il contenuto di alcuni principi affermati dalla Corte di cassazione.
Anzitutto, quello che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 (ora, di cui all’art. 240-bis cod. pen.), non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo ma si assume si trovi nella effettiva titolarità della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata.
In tale caso, incombe, appunto, sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al fine d favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Il giudice ha, a sua volta, l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario ma anche elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (Sez. 5, n. 13084 del 07/03/2017, COGNOME, Rv. 269711-01; Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, COGNOME, Rv. 253957-01; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247722-01; Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, Catania, Rv. 239269-01).
In secondo luogo, la prova della titolarità apparente del terzo intestatario – la quale, come si è detto, incombe sulla pubblica accusa – non può essere basata sulla sola mera sproporzione tra il reddito o l’attività economica del terzo e il valore dei beni a lui intestati, atteso che tale raffronto di proporzionalità è previsto
dall’art. 240-bis cod. pen. con riguardo alla sola posizione dell’indagato o imputato e non alla posizione dei terzi. Con riguardo a quest’ultima posizione, la dimostrazione della discrasia tra la formale titolarità e la reale disponibilità dei beni deve seguire gli ordinari canoni probatori, pretesi per l’accertamento di qualsiasi fatto di rilevanza giuridica, i quali sono sganciati dalla presunzione relativa prevista, con riguardo alla sola posizione dell’indagato o imputato, dall’art. 240bis cod. pen. In tale prospettiva, la sperequazione tra le disponibilità del terzo e le sue accumulazioni patrimoniali, lungi dal sancire presunzioni di legge quanto all’illiceità delle stesse accumulazioni, può costituire solo uno dei possibili elementi logici a sostegno dell’asserto accusatorio della natura fittizia dell’intestazione e della sostanziale disponibilità del bene in capo all’indagato o imputato, o, in contrapposizione a tale asserto, un argomento difensivo di segno opposto per superare lo stesso, specie in presenza di collegamenti tra gli interessati, di parentela, affinità o convivenza, che possono favorire, a monte, la dimostrazione della prospettazione accusatoria della natura fittizia dell’intestazione del bene (Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, cit.; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, COGNOME, Rv. 254699-01).
6. Tutto ciò premesso, il Collegio reputa che il Tribunale di Milano abbia rispettato il vincolo che derivava dalla sentenza di annullamento della Sesta sezione penale e abbia altresì reso una motivazione della legittimità del sequestro dell’immobile che, diversamente da quanto è stato sostenuto dalla ricorrente, non si può ritenere né mancante né meramente apparente, non risultando priva dei quei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza in assenza dei quali soltanto è possibile ravvisare una motivazione, appunto, apparente e, perciò, sindacabile in questa sede ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Quanto al rispetto del vincolo che derivava dalla sentenza di annullamento della Sesta sezione penale, il Collegio rileva che il Tribunale di Milano ha anzitutto chiarito «perché quell’immobile non potrebbe essere stato acquisito anche con redditi leciti della Maviglia».
Il Tribunale ha in proposito argomentato come i pagamenti delle rate di prezzo dell’immobile (che erano stati effettuati con i bonifici, pacificamente provenienti da un conto di NOME COGNOME, di: C 87.900,00 il 24/03/2017; C 5.000,00 il 13/08/2018; C 4.973,00 il 30/06/2020; C 20.953,00 il 04/06/2021) non fossero sostenibili con i redditi della sig.ra COGNOME di C 0,00 nel 2017, C 4.278,00 nel 2018, C 17.492,00 nel 2019, C 17.380,00 nel 2020 ed C 17.742 nel 2021.
Né, del resto, la COGNOME aveva reclamato di averli sostenuti, giacché aveva essa stessa affermato che degli oneri economici per l’acquisto dell’immobile si era fatto carico il marito.
Il Tribunale di Milano ha in secondo luogo chiarito «sulla base di quali concreti elementi si possa affermare che COGNOME già nel 2017 o nel 2018, cioè in un momento precedente di anni rispetto alla data di commissione del reato associativo , avesse accumulato sostanze illecite per l’acquisto di quell’immobile».
Il Tribunale di Milano ha in proposito argomentato che: a) il collaboratore di giustizia NOME COGNOME che era stato sentito nell’ambito del procedimento n. 22290/2007 DDA di Milano, aveva indicato NOME COGNOME come destinatario dei proventi del narcotraffico al quale partecipava suo fratello NOME COGNOME; b) come risultava dal contenuto delle chat Sky ECC, anche gli interessi imprenditoriali del COGNOME in Africa non erano avulsi dalla sua attività di narcotrafficante, che si relazionava da pari a pari con NOME COGNOME, raccordandosi con lui per organizzare rotte di importazione della droga destinata all’Italia attraverso l’Africa, contando proprio, strumentalmente, sulle sue attività imprenditoriali in tale continente; c) dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME risultava che la conoscenza tra questi e NOME COGNOME, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, trovava la sua ragione nel riconoscimento della caratura di narcotrafficante dello stesso NOME COGNOME, di cui l’Imperiale sapeva sin dal 2017, sicché quello che era stato descritto dall’Imperiale si doveva ritenere «un incontro da pari a pari tra narcotrafficanti internazionali»; d) ciò era in linea sia con il tenore delle chat che NOME COGNOME si era scambiato con NOME COGNOME – in particolare, con il tenore di una chat del 11/07/2019 nel corso della quale il COGNOME aveva esposto la possibilità di collaborare con NOME COGNOME prospettando, per la sostanza stupefacente, la rotta dall’Africa -, sia con il fatto che il COGNOME risultava avere inviato a NOME COGNOME un prospetto in formato excell riepilogativo degli acquisti di droga dal 28/01/2020 al febbraio 2020, rendendo palese la dimensione dei suoi affari illeciti; e) NOME COGNOME aveva detto (in una chat del 15/06/2020) al fidato NOME COGNOME partecipe dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che erano decenni che era dedito al narcotraffico («è trent’anni che facciamo sto’ lavoro»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Da ciò la conclusione, tutt’altro che apparentemente motivata, che quanto emergeva dagli atti non era «l’avvio ex abrupto nel 2020 di un’attività di narcotraffico», ma che NOME COGNOME, all’esito della prima carcerazione che aveva subito per traffico di droga, aveva proseguito le attività di commercio illecito di sostanze stupefacenti, ampliando e stabilizzando rotte di importazione diverse e confermando rafforzando e rivendicando la propria professionalità nel settore del traffico delle suddette sostanze, con la conseguente sussistenza di una ragionevole
prossimità temporale tra l’effettuazione dei menzionati bonifici e la realizzazione in forma associata dell’attività di trafficante di droga. Bonifici che, del resto risultavano contemporanei alla realizzazione dell’attività di narcotraffico attraverso il porto di Gioia Tauro di cui aveva riferito l’Imperiale (al quale la rotta, già attiv era stata proposta per l’avvio della collaborazione già agli inizi del 2019) e che era stata oggetto di un’ordinanza coercitiva emessa dall’autorità giudiziaria di Napoli nell’ambito di un procedimento penale la cui attività di indagine risaliva al 2016, oltre che di un’altra ordinanza coercitiva che era stata emessa dall’autorità giudiziaria di Reggio Calabria.
Il Tribunale di Milano ha anche motivato l’insussistenza di elementi che potessero rendere credibile la provenienza lecita delle risorse che erano state impiegate nell’acquisto dell’immobile, argomentando in proposito che: a) gli interessi imprenditoriali del COGNOME in Costa D’Avorio avevano avuto inizio all’indomani della scarcerazione dello stesso dopo l’espiazione di una lunga pena detentiva, sicché non era dato conoscere come il COGNOME, dopo un così lungo periodo di detenzione, avesse potuto reperire le risorse economiche per avviare le proprie attività imprenditoriali; b) non era stata documentata l’effettiva percezione, da parte del COGNOME, di redditi di lavoro dipendente, non avendo egli dichiarato redditi in Italia dal 2015; c) dalla lettura completa della chat del 12/01/2021, risultava come NOME COGNOME affermasse che, nelle attività imprenditoriali, venivano reinvestiti i proventi del narcotraffico; d) anche il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva riferito, nel corso del suo interrogatorio del 03/03/2023, che i calabresi con cui era in affari reinvestivano nei settori immobiliare e della ristorazione; c) non era stata fornita prova che il COGNOME avesse esercitato il diritto, a lui riconosciuto, di acquistare, a un prezzo favorevole, le quote di RAGIONE_SOCIALE né che le somme utilizzate per l’acquisto dell’immobile provenissero dalla vendita delle stesse quote. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7. Da quanto si è esposto risulta, ad avviso del Collegio, che il Tribunale di Milano, giudicando in sede di rinvio, ha non solo rispettato il vincolo che derivava dalla sentenza di annullamento della Sesta sezione penale ma ha anche motivato, in un modo che non si può ritenere, in tutta evidenza, meramente apparente, in ordine alla legittimità del sequestro con riguardo: a) all’impossibilità di ritenere che l’immobile fosse stato acquistato con redditi della Maviglia; b) alla cosiddetta “ragionevolezza temporale”, nei necessari termini della sussistenza di un collegamento cronologico tra l’attività delittuosa svolta da NOME COGNOME e l’effettuazione, da parte dello stesso, dei bonifici mediante i quali fu corrisposto al venditore il prezzo dell’immobile; c) all’insussistenza di elementi che potessero rendere credibile la provenienza lecita delle risorse che erano state impiegate nell’acquisto dell’immobile.
Alla luce di ciò – nonché delle ulteriori valorizzate circostanze che lo stesso acquisto era stato formalizzato, dalla sola NOME COGNOME dopo due anni dall’integrale pagamento, con le modalità che si sono indicate, del relativo prezzo -, il Collegio reputa che anche la conclusione del Tribunale di Milano secondo cui la fattispecie de quo configurava un caso di interposizione reale, nel quale l’immobile ricadeva in realtà nella sfera di interessi del COGNOME, che si doveva ritenere averne la disponibilità attraverso l’interposizione della moglie NOME COGNOME si debba considerare motivata in modo adeguato e, comunque, non meramente apparente.
8. A fronte di ciò, posto che il giudice del rinvio resta libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto concernente il punto annullato, restando vincolato solo a una determinata valutazione delle risultanze processuali (Sez. 6, n. 19206 del 10/01/2013, COGNOME, cit.), le contestazioni della ricorrente, lungi dall’evidenziare, come si sostiene nel ricorso, dei vizi di violazione di legge e, in particolare, tra questi, un’effettiva apparenza della motivazione, si traducono, piuttosto, in “attacchi” alla persuasività o, al più, alla logicità della stes motivazione, oltre che, talora, nella prospettazione di un diverso del significato probatorio da attribuire ai vari elementi di prova (come nel caso delle dichiarazioni di NOME COGNOME o del contenuto delle chat Sky ECC, così come del contenuto dei precedenti provvedimenti giurisdizionali), il che non è possibile fare in questa sede a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
9. Quanto, infine, alla doglianza che è stata avanzata con il quarto motivo con riferimento GLYPH all’affermata GLYPH vincolatività, GLYPH per GLYPH il GLYPH giudice GLYPH della GLYPH cautela, dell’accertamento che era stato operato con la sentenza del 16/10/2024 del G.u.p. del Tribunale di Milano – con la quale NOME COGNOME era stato condannato per i reati a lui contestati ed era stata disposta la confisca, ai sensi dell’art. 240-bi cod. pen., dei rapporti bancari e dei beni mobili e immobili in sequestro nella disponibilità dello stesso COGNOME – con riguardo alla «sussistenza dei presupposti della confisca propriamente di pertinenza dell’imputato», si deve osservare che, a prescindere dalla correttezza o no della suddetta affermazione, diversamente da quanto è lamentato dalla ricorrente, il Tribunale di Milano non l’ha affatto utilizzata nel «tentativo di sottrarsi al vincolo derivante dalla sentenza di annullamento» e a «ciò che avrebbe dovuto verificare», atteso che, come si è visto, lo stesso Tribunale non si è nei fatti sottratto al suddetto vincolo e ha verificato, rendendo in proposito una motivazione non apparente, la legittimità del sequestro nel rispetto dei principi che erano stati enunciati dalla Sesta sezione penale.
10. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento
della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 16/05/2025.