Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43838 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43838 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME (detto anche COGNOME) nato a MILANO il 17/04/1970 COGNOME NOME nata a TORBOLE CASAGLIA il 23/06/1940
avverso l’ordinanza del 24/05/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni del difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 24 maggio 2024 la Corte d’appello di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’opposizione ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen., presentata nei confronti dell’ordinanza del 5 giugno 2020 dello stesso giudice, da NOME COGNOME (chiamato negli atti anche NOME COGNOME, anche quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e dalla di lui madre NOME COGNOME, di revoca della confisca di due immobili intestati a NOME COGNOME, di tre immobili intestati a
NOME COGNOME delle quote di capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE e dei beni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
La confisca era stata a suo tempo disposta con ordinanza del 10 gennaio 2014 della Corte di appello di Milano; si trattava di una confisca ex art. 240-bis cod. pen. nei confronti di beni in disponibilità di NOME COGNOME rispettivamente padre e marito dei ricorrenti, condannato con sentenza della medesima Corte di appello del 24 settembre 2007 alla pena di 14 anni di reclusione per il reato di cui all’art. 74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso dal 1988 al 1993 ed almeno sino al 2002.
I due beni immobili di NOME COGNOME (in Torbole Casaglia) erano stati edificati nel 1993 su un terreno acquistato nel 1992; i tre beni immobili intestati a NOME COGNOME (in Milano, Alassio e Desenzano) erano stati acquistati nel 2003, nel 2005 e nel 2007; la RAGIONE_SOCIALE era stata costituita nel 1988 ed aveva acquistato i beni immobili (in Brescia e Torbole Casaglia) nel 1990, 1991, 2003, 2006 e 2008.
In particolare, la Corte di appello di Milano i nel disporre la confisca ex art. 240bis cod. pen l aveva evidenziato la esistenza di redditi leciti modestissimi da parte dei due coniugi (una addetta alle pulizie che aveva lavorato per un periodo anche come portiera di uno stabile, ed un allibratore), l’acquisto del terreno senza alcun mutuo e la costruzione di un appartamento e di un garage, la verosimile simulazione oggettiva del prezzo dell’immobile acquistato in Alassio, la mancata prova della provenienza della provvista da donazioni o altri trasferimenti leciti dalle famiglie di provenienza.
Nella nuova istanza presentata al giudice dell’esecuzione gli istanti argomentano sulla sufficienza, per acquistare gli immobili, dei redditi da attività lavorativa, la esistenza di donazioni dal padre della donna, l’esistenza di redditi da locazione della donna.
L’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen. ha respinto l’opposizione sostenendo che i redditi leciti documentati sono modestissimi ed incerti e non mutano il quadro di sproporzione valutato dal giudice che ha disposto la confisca, anche perché occorre considerare 2.el<e 4 le spese necessarie in quegli anni per il mantenimento del nucleo familiare, per giungere alla conclusione che gli acquisti vennero fatti con i proventi della provata attività illecita del marito.
L'ordinanza aggiunge che la maggior parte degli argomenti erano già stati valutati, peraltro, dall'ordinanza del 2014. L'ordinanza sottolinea ancora, quanto ai beni della società, che essa fa capo, in realtà, al condannato NOME COGNOME anche se è fittiziamente intestata a NOME COGNOME/COGNOME.
L'ordinanza impugnata sostiene anche che si è in presenza di un giudicato esecutivo, superabile solo da nova di carattere patrimoniale tali da comportare la
necessaria rivalutazione della base fattuale che ha determinato il provvedimento di confisca, mentre non può essere messo in discussione il criterio della ragionevolezza temporale in sede di confisca estesa. Nel merito, rigetta il criterio dell'attualizzazione delle somme percepite in passato da NOME in assenza di prova dell'investimento di dette somme, evidenzia che a partire dal 1983 la NOME non lavorava più e il marito era in carcere ed erano cessati anche i redditi da locazione, e che, in definitiva, i coniugi non avevano alcuna possibilità di accumulare denaro. La Corte conferma la mancanza di prova delle donazioni del padre della Ferrari, già valutata dalla Corte di appello di Milano, rigetta la deduzione relativa alla confisca dei beni acquistati dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna di NOME COGNOME: questione di diritto già decisa e che non può essere rivista; sulla società, evidenzia che era stata costituita nel 1988 quando entrambi i figli non avevano alcun reddito.
Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso i proprietari dei beni confiscati, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deducono violazione di legge, con riferimento al rigetto dell'opposizione nella parte relativa ai beni di NOME COGNOME perché la Corte di appello non avrebbe tenuto conto delle somme in disponibilità della NOME al momento dell'acquisto del terreno, che erano state provate da consulenza in cui si indicavano le somme risparmiate ogni anno dalla stessa che, attualizzate, portavano nel 1992, ad una disponibilità di 521.877 euro /sufficiente per l'acquisto e la costruzione dei beni. Non sarebbe stato onere della parte provare di aver investito a suo tempo le somme, e la stessa considerazione della ordinanza impugnata della necessità di far fronte alle .esigenze di vita della famiglia sarebbe stata espressa in modo apodittico e senza riferimenti precisi.
Con il secondo motivo deducono violazione di legge, con riferimento al rigetto dell'opposizione nella parte relativa alle quote della RAGIONE_SOCIALE ed ai beni della RAGIONE_SOCIALE rivendicati da NOME COGNOME in quanto il giudice dell'esecuzione ha omesso di esaminare la relazione tecnica di parte che ha analizzato l'operazione di scissione da RAGIONE_SOCIALE a Flim evidenziando come la stessa non abbia comportato drenaggio di risorse camuffate a favore di Flim perché, dopo la scissione/ è rimasto ad Editalia un compendio immobiliare di valore analogo a quello assegnato a Flim con corrispondente suddivisione dei debiti derivanti da mutui ipotecari gravanti sui singoli beni. I beni acquisiti da Editalia sono confluiti in Flim il 13 maggio 2008, quindi sette anni dopo la pronuncia della sentenza di condannag beni acquisiti dopo il 2001 devono essere restituiti, salvo che vi sia prova della preesistenza delle risorse illecite eventualmente utilizzate per l'acquisizione. L'ordinanza ha un ulteriore profilo di illegittimità laddove pretende che l'attività della società sia
coerente con il reddito modesto del socio: tale conclusione è illogica in quanto non suffragata da alcuna regola aziendalistica, essendo stato dimostrato che l'acquisizione di beni in capo a Flinn è avvenuta non tramite aumento del capitale sociale ma attraverso scissione con accollo dei debiti, ed è illogico desumere l'introduzione di risorse illecite da parte di NOME COGNOME per il solo fatto che i redditi personali di NOME COGNOME/COGNOME non consentissero l'acquisizione dei beni.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
Con note di replica il difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati.
Il primo motivo è infondato.
Dalla lettura dell'ordinanza impugnata emerge che la signora COGNOME che è nata nel 1940, ha svolto attività lavorativa non precisata tra il 1954 e il 1961, ha lavorato come domestica tra il 1961 e il 1962, ha lavorato come addetta alle pulizie tra il 1965 ed il 1967, ha lavorato come portiera dal 1967 al 1983, a partire dal 1983 non risulta aver lavorato più, ha percepito un reddito di locazione dal 1972 al 1983, ma non ha mai dichiarato nel complesso redditi superiori a 12 milioni di lire annui.
Il ricorso deduce che con consulenza tecnica depositata nel giudizio di merito era stato dimostrato che il denaro necessario alla signora COGNOME per acquistare un terreno in Torbole Casaglia nel 1992, ed ad edificarvi un immobile nell'anno successivo, proveniva non dalle attività criminali svolte nello stesso periodo dal marito, ma essenzialmente dal denaro ricavato da un immobile di proprietà in Cesano Boscone che nel 1975 la signora COGNOME aveva venduto al prezzo di 40.000.000 lire. Secondo la consulenza, i 40.000.000 erano diventati nel 1992 521.877.000 lire.
L'argomento è infondato. L'ordinanza impugnata GLYPH evidenziato in modo j21/4 scevro da tratti di manifesta illogicità che 40.000.000(rimangono tali, ed anzi si svalutano, se non si prova di averli investiti, perché la naturale fruttuosità del denaro presuppone l’investimento dello stesso.
Il ricorso deduce che non spetta alla ricorrente provare che era stato effettuato un investimento finanziario di quel denaro ricavato dalla vendita del 1975, ma l’argomento è infondato, perché la prova dei fatti che si introduce in
giudizio colate ga e.chi li ha introdotti, e, se si pretende di sostenere che la somma di 40.000.000 í -icavata dalla vendita di un immobile sia diventata, circa diciassette anni dopo, dieci volte tanto, occorre dare la prova degli investimenti finanziari attraverso cui essa è potuta lievitare così tanto.
Il ricorso deduce che l’ordinanza impugnata ha calcolato in modo generico le somme necessarie per il mantenimento del nucleo familiare della signora COGNOME che, peraltro, nei 16 anni in cui ha svolto il lavoro di portiera fruiva di un appartamento in comodato gratuito e non pagava, quindi, spese di affitto. L’argomento è infondato, in quanto l’ordinanza impugnata è partita dai redditi leciti dichiarati dalla famiglia COGNOMECOGNOME (una addetta alle pulizie ed una persona che lavorava saltuariamente) per giungere alla conclusione, scevra da tratti di manifesta illogicità, che la stessa non aveva alcuna possibilità di risparmiare denaro /avendo redditi ai limiti della sussistenza, e che quindi certamente non aveva la possibilità di risparmiare denaro per investimenti costosi in immobili quali quelli che NOME COGNOME farà a più riprese all’inizio degli anni ’90 mediante intestazione alla donna, al figlio o alle società costituite a nome dei figli o di terzi.
Il ricorso censura, attraverso la predetta rivalutazione della provvista ricavata dalla vendita dell’immobile del 1975 e la svalutazione delle spese per il sostentamento familiare, il giudizio di sproporzione effettuato dal giudice del merito nei termini sopra precisati, ma la giurisprudenza di legittimità ritiene che “in tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per uno dei reati di cui all’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (attualmente art. 240-bis cod. pen.), non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive” (Sez. 3, Sentenza n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282407), come avvenuto nel caso in esame, in cui, per le ragioni sopra indicate, è scevra da tratti di illogicità la valutazione della Corte di appello sia in punto di valutazione della provvista ricavata dalla vendita dell’immobile del 1975 sia in punto di valutazione delle spese per il sostentamento familiare.
2. Anche il secondo motivo è infondato.
Dall’ordinanza impugnata risulta che la RAGIONE_SOCIALE fu costituita nel 1988, quando NOME COGNOME che è nato nel 1970, aveva 18 anni, ed è rimasta inattiva dal 1993 al 2002 quando il padre di NOME COGNOME era detenuto. La Flim non ha dichiarato
redditi fino al 2007, NOME COGNOME ne è stato amministratore sin dall’origine, e ne è diventato socio unico nel 2006.
Il ricorso deduce che l’ordinanza impugnata ha omesso di esaminare adeguatamente la relazione tecnica di parte che ha analizzato l’operazione di scissione da Editalia a Flim evidenziando come la stessa non abbia comportato drenaggio di risorse camuffate a favore di Flim.
L’argomento è infondato.
Nell’ordinanza impugnata, alle pagine 23 e 24, si evidenzia che la società, costituita nel 1988, quando NOME COGNOME aveva 18 anni, e quindi sicuramente non con risorse proprie del ragazzo, è stata in grado di acquistare un immobile già nel 1990 ed un altro nel 1991, con risorse di cui non erano in grado di disporre né NOME COGNOME né la sorella NOME, e che sono incompatibili anche con i modesti redditi dei genitori. L’ordinanza aggiunge, ancora a pag. 23, che i beni che provengono alla Flim da RAGIONE_SOCIALE – altra società riconducibile nella sostanza a NOME COGNOME per effetto della scissione oggetto della deduzione contenuta nel ricorso sono, in realtà, beni comunque acquistati con risorse illecite, perché fin dal 1994 NOME COGNOME aveva fatto confluire risorse in RAGIONE_SOCIALE, che poi ha travasato nel 2007 verso Flim.
Il ricorso non si confronta con questa parte della motivazione dell’ordinanza impugnata e non prende posizione sulla circostanza che i beni di RAGIONE_SOCIALE provenissero, a loro volta, da risorse illecite di NOME COGNOME e, pertanto, sotto questo profilo, è affetto dal vizio di specificità dei motivi di impugnazione (Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonché, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
I motivi di ricorso per cassazione sono, infatti, inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il ricorso deduce la manifesta illogicità del passaggio della motivazione dell’ordinanza impugnata che desume che i redditi confluiti nella Flinn fossero illeciti perché le risorse personali del socio erano insufficienti, atteso che essa non è
suffragata da alcuna regola aziendalistica, ma l’argomento è infondato in quanto non aggredisce correttamente il percorso logico del provvedimento impugnato, che si è posto il problema della individuazione delle risorse attraverso cui la società ha potuto effettuare gli ingenti acquisti immobiliari che ne hanno arricchito il patrimonio, ed ha concluso per la inesistenza di risorse lecite, anche argomentando dalla mancanza di redditi leciti da parte della persona che compariva come socio che non poteva, pertanto, averne finanziato gli acquisti.
La circostanza che il ricorso deduca che gli acquisti sono stati finanziati con mutuo bancario non è sufficiente, in quanto la giurisprudenza di legittimità ha ricordato, nella analoga materia delle misure di prevenzione patrimoniali, che “la presunzione relativa di illecita accumulazione, fondata sulla sproporzione dei beni confiscati e sull’assenza di prova della loro legittima provenienza, opera anche nel caso in cui l’acquisto del bene confiscato sia avvenuto mediante ricorso al credito bancario, posto che tale finanziamento deve essere rimborsato ed ha un costo, sicchè è in relazione a tale onere finanziario che deve essere valutata l’eventuale incapienza di risorse lecite da parte del prevenuto e del suo nucleo familiare. (Sez. 5, Sentenza n. 33038 del 08/06/2017, Terzi in proc. Valle, Rv. 271217).
Il motivo è, in definitiva, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 ottobre 2024
Il consigliere estensore
Il presidente