Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3772 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3772 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Catanzaro il 28/9/1977 avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro in data 14/5/2024 preso atto che il ricorrente è stato ammesso alla trattazione orale in presenza udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso, udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro resa il 14/5/2024 che ha dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso l’ordinanza della Corte di appello di Catanzaro in data 11/12/2023 con la quale è stato dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza di revoca del sequestro preventivo disposto in relazione ai saldi di conto corrente
accesi presso vari istituti di credito e del capitale sociale e dell’intero compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del procedimento penale a carico del COGNOME, imputato del delitto di cui all’art. 512bis cod. pen. (capo 28).
Deduce la parte ricorrente violazione di legge ed illogicità della motivazione (art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.) in quanto: 1) il collegio cautelare ha dichiarato inammissibile l’appello ritenendo, erroneamente, l’ordinanza della Corte di appello datata 11/12/2023, non autonomamente impugnabile. Ad avviso della difesa, invece, detta ordinanza sarebbe suscettibile di impugnazione ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., trattandosi di provvedimento non emesso nel corso del dibattimento; 2) il Tribunale del riesame, inoltre, si sarebbe limitato a condividere la decisione della Corte di appello, senza valutare le censure difensive con le quali si contestava il nesso di pertinenzialità tra i beni ancora in sequestro e la condotta associativa attribuita agli altri imputati e non al Mangone di cui al capo 22); 3) osserva infine la difesa che la decisione del Tribunale del riesame circa la sussistenza di una preclusione processuale alla proposizione dell’impugnazione derivante dalla pendenza del ricorso per cassazione proposto dall’imputato avverso la sentenza di merito, sarebbe affetta da illogicità per travisamento dei fatti, in quanto il ricorrente ha proposto il ricorso per cassazione solo in relazione al trattamento sanzionatorio per il delitto di detenzione di arma e non in relazione alla misura ablativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Riguardo alla questione della autonoma impugnabilità dell’ordinanza del giudice del dibattimento in materia di restituzione dei beni sottoposti a sequestro (probatorio o preventivo) si riscontra in giurisprudenza un contrasto interpretativo tra l’orientamento che ritiene che il provvedimento non sia suscettibile di appello cautelare, né di ricorso per cassazione, ma che sia impugnabile unitamente alla sentenza ex art. 586 cod. proc. pen., (Sez. 5, n. 14715/2019; Sez. 2, 43778/2013; Sez. 4, 11914/2019) e l’orientamento che invece ritiene che il provvedimento adottato dopo la pronuncia della sentenza dibattimentale, sia impugnabile con l’appello cautelare, rimedio di carattere generale per tutti i provvedimenti diversi da quello impositivo della misura ( Sez. 6, 2337/2015; Sez.1, 6550/2000).
Nel caso in esame, anche ad ammettere che il provvedimento adottato dalla Corte di appello fosse autonomamente impugnabile, come sostenuto dalla difesa, essendo l’appello cautelare ex art. 322-bis cod. proc. pen., l’unico rimedio esperibile da parte del ricorrente per contrastare il sequestro, in quanto la
sentenza era ormai definitiva nei suoi confronti in relazione al capo 22), ed anche ritenendo insussistente la preclusione processuale rilevata dal Tribunale a causa della litispendenza per la reiterazione delle impugnazioni ( cfr pag. 1 del provvedimento impugnato)- in ragione della diversità delle statuizioni aggredite dalle due impugnazioni ( l’appello in materia cautelare e il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito), ritiene il collegio che le rilevate criticità no inficino, nella sostanza, il provvedimento impugnato e non ne determinino l’annullamento come richiesto dalla difesa.
Infatti, la fondatezza dei motivi di natura processuale non consente, a fronte di un motivo di impugnazione ab origine aspecifico, di rilevare il vizio di omessa motivazione denunciato.
Il ricorrente censura la mancata risposta da parte della Corte di appello prima e del Tribunale cautelare, poi, in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di pertinenzialità tra i beni in sequestro e i reati attribuiti agli altri indagati.
Premesso che le allegazioni difensive, diversamente da quanto enunciato nel ricorso, non contemplano l’atto di appello cautelare avverso l’ordinanza dell’11/12/2023 (ed invero, l’allegato 6, denominato appello ex art. 322 bis cod. proc. pen. contiene l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado e non l’appello cautelare), osserva il collegio nessuna risposta era dovuta da parte del Tribunale del riesame in merito alla censura difensiva con cui si lamentava la carenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, avendo la Corte di appello pertinentemente richiamato le argomentazioni spese dalla sentenza di merito che dava conto delle ragioni per le quali, nonostante l’assoluzione del COGNOME dal delitto di cui all’art 512-bis cod. pen. perché il fatto non costituisce reato pur essendo stata disposta nei suoi confronti la revoca formale della confisca, i beni fossero ancora in sequestro.
Occorre specificare, infatti, che nel caso di specie si verte in tema di confisca allargata ex art. 240bis cod. pen. per tutti i reati, compreso quello relativo al delitto associativo di cui al capo 22), essendo contestata l’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen., ed in ordine a tutti i beni sequestrati (mobili, immobili, rapporti finanziari, quote societarie indicate nella sentenza impugnata). A fronte di tale giustificazione il ricorrente, dinanzi al Tribunale del riesame, ha reiterato la deduzione difensiva concernente la mancanza di motivazione in relazione ai presupposti del sequestro con particolare riguardo al vincolo di pertinenzialità tra i beni e i reati attribuiti agli imputati condannati per il re associativo, trascurando però di considerare che i giudici avevano evocato l’istituto della confisca allargata (art. 240-bis cod. pen.) e non quello della confisca ordinaria ex art. 240 cod. pen., quest’ultima basata sulla necessaria dimostrazione del nesso di pertinenzialità tra beni da confiscare e reato, elemento assente con riguardo alla confisca allargata ex art. 240bis cod. pen. con la conseguenza che il motivo appariva, all’evidenza, aspecifico.
Le Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 27421 del 25/02/2021, Rv. 281561, hanno chiarito che la confisca in casi particolari, disciplinata dall’art. 240-bis cod. pen., definita anche “atipica”, “allargata” o “estesa”, costituisce un’ipotesi di confisca obbligatoria, la quale non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, bensì beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività svolta. Essa costituisce «una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all’affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla legge 31 maggio 1965, n. 575» (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, Rv. 226491), una «misura di sicurezza patrimoniale, replicante alcuni caratteri della misura di prevenzione antimafia, disciplinata dalla legge n. 575 del 1965, e la stessa finalità preventiva perseguita» (Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, Rv. 281561, in motivazione), che trae giustificazione dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente per i cd. reati spia. L’accertamento giudiziale della configurabilità in tutti i suoi elementi costitutivi di una de fattispecie criminose previste dall’art. 240-bis cod. pen., tra i quali rientra delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. fonda il sospetto che il condannato abbia tratto dall’attività delittuosa la ricchezza di cui dispone, anche per interposta persona. Il giudizio di colpevolezza in ordine al reato commesso e la natura particolare di questo, idoneo ad essere realizzato in forma continuativa e professionale ed a procurare illecita ricchezza, fanno ritenere l’origine criminosa di cespiti, di cui si sia titolari o si disponga in valore sproporzionato rispetto redditi ed attività, in base alla presunzione relativa della loro derivazione da condotte delittuose ulteriori rispetto a quelle riscontrate nel processo penale, che, comunque, costituiscono la base della presunzione stessa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La differente natura dei due tipi di confisca ha quindi condotto la Corte di merito ad una revoca solo formale del sequestro in capo al COGNOME ed al mantenimento del vincolo in relazione agli imputati condannati per i delitti spia rientranti nella previsione di cui all’art. 240bis cod. pen., in conformità con quanto affermato da questa stessa Sezione (cfr. sent. n. 23890 del 01/04/2021, Rv. 281463) secondo cui l’assoluzione dal delitto di intestazione fittizia di beni previsto dall’art. 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 (oggi art. 512-bis cod. pen.), perché il fatto non costituisce reato osta alla confisca dei beni disposta ai sensi dell’art. 12-sexies del medesimo decreto-legge (oggi art. 240bis cod. pen.) con la precisazione però che qualora sia accertata la sussistenza
oggettiva del reato di intestazione fittizia in capo al coimputato, la confisca ex art. 240bis cod. pen., può essere disposta in relazione a tale soggetto.
Il ricorrente non si è minimamente confrontato con tali argomenti, arrestandosi alla riproposizione di una questione (circa il nesso pertinenzialità) che non riguarda il tipo di confisca applicata nel procedimento de quo, sollecitando semplicemente una rivalutazione della questione da parte del giudice di grado superiore.
Ne consegue che il motivo, essendo ab origine, generico, resta colpito dalla sanzione di inammissibilità anche se il provvedimento del giudice dell’impugnazione non ha pronunciato in concreto tale sanzione dovendosi ribadire che il difetto di motivazione del provvedimento di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può essere oggetto, a pena di inammissibilità, di ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Rv. 283808; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Rv. 262700).
P.Q. M.
Rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/12/2024