Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 38604 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 38604 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME NOME, nata a Africo il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 23/01/2024 dal Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore Generale, dottAVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano ha parzialmente confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 bis cod. pen. disposto nei rigu di COGNOME NOMENOME NOME cui era stata applicata la misura cautelare per il delitto prev dall’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Il sequestro ha attinto anche beni di COGNOME NOME, moglie dell’indagato, quanto ad una autovettura e ad un immobile.
Dal provvedimento impugnato si evince in punto di fatto che:
il delitto associativo è stato contestato a COGNOME “da giugno 2020 perdurante”;
la ricorrente è soggetto terzo non indagato e formale proprietaria dal 10.5.2023 dell’immobile sequestrato;
COGNOME era latitante dal 3.5.2023;
l’immobile era stato oggetto nel 2012 di un contratto di locazione con patto di futura vendita entro il 31.7.2014 al prezzo di 195.000 euro, in cui conduttori erano sia la ricorrente che COGNOME ed era nella disponibilità dei soggetti in questione dal 201
dall’atto di vendita emergerebbe che alcuni pagamenti sarebbero stati compiuti tramite quattro bonifici rispettivamente il 24.3.2017 (per l’importo di circa 88 mila eur il 13.8.2018 (5.000 euro), il 30.6.2020 (circa 5.000 euro) e il 4.6.2021 (cica 21.00 euro) disposti dal conto corrente riconducibile allo stesso COGNOME in RAGIONE_SOCIALE.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME NOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione della ordinanza per non avere il Tribunale spiegato sulla base di quali elementi si sia ritenuto che bene immobile non appartenga effettivamente alla ricorrente, tenuto conto che si tratterebbe dell’abitazione familiare e che dal 2012, cioè dall’anno in cui fu stipulato contratto di locazione con patto di futura vendita, risultavano come futuri acquirenti s il COGNOME che la stessa COGNOME.
Né, si aggiunge, avrebbe decisiva valenza la circostanza che parte della somma corrisposta a titolo di prezzo per l’acquisto del bene – 195.000 euro- sarebbe stata pagata dal COGNOME, trattandosi di una normale dinamica familiare quella per cui un acquisto in comproprietà possa essere compiuto con spese maggiormente a carico del coniuge più abbiente.
La circostanza che nel contratto di vendita sia stata indicata come acquirente la sola COGNOME sarebbe spiegabile con il fatto che nel maggio 2023, cioè al momento dell’acquisto, COGNOME era latitante e, dunque, impossibilitato a sottoscrivere contratto; non vi sarebbero elementi ulteriori volti a comprovare che la sola sottoscrizione dell’atto da parte della ricorrente sia stata finalizzata a consolidare u interposizione fittizia, essendo stato l’atto stipulato dopo la misura cautelare.
Non sarebbe fondato nemmeno l’assunto secondo cui il bene sarebbe stato acquistato con i proventi dell’attività illecita di COGNOME, non avendo il Tribunale valuta documentazione prodotta, dimostrativa dello svolgimento di attività imprenditoriale e lavorativa della ricorrente, nonché i dati della di lei capacità reddituale.
L’attività criminosa sarebbe iniziata in un momento lontano e distante rispetto a quello in cui furono compiuti i pagamenti necessari per l’acquisto del bene.
2.2.Con il secondo motivo si deduce violazione di legge; il tema attiene al requisito della ragionevolezza temporale tra la commissione del reato e l’incremento patrimoniale.
L’assunto accusatorio è che, come detto, il pagamento dell’immobile intestato a COGNOME il 10.5.2023 sia stato compiuto da COGNOME con vari bonifici dal conto corrente
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a lui intestato; assume invece la ricorrente che: a) il collaboratore di giustizia COGNOME NOME avrebbe riferito che COGNOME sarebbe “entrato” nel traffico di drog solo nei primi mesi del 2019; b) la contestazione d’accusa a COGNOME partirebbe dal giugno del 2020.
Dunque la gran parte dei pagamenti, effettuati con bonifici tracciabili, sarebbero precedenti all’inizio dell’attività criminale, quando COGNOME svolgeva in Afr un’attività imprenditoriale lecita: dunque, una illegittima dilatazione del periodo ragionevolezza temporale tra la commissione del c.d. reato spia e l’accumulazione patrimoniale.
Sarebbe errato anche l’assunto secondo cui la somma impiegata per l’acquisto del bene sarebbe derivante dalla vendite di quote della società RAGIONE_SOCIALE, atteso che, invece, come spiegato con una consulenza, dette somme sarebbero rientranti nel complesso delle capacità reddituali lecite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. E’ noto come con l’art. 12-quinquies legge 7 agosto 1992, n. 356, si sanzionasse penalmente, in capo a soggetti indagati per gravi reati di criminalità organizzata o sottoposti a misure di prevenzione personali, la disponibilità di denaro, beni o altre util di valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica e dei qual non fosse giustificata la legittima provenienza.
Una fattispecie penale strutturata sulla trasposizione in sede di tipicità di uno schema di ripartizione probatoria tipico del sistema delle misure di prevenzione patrimoniali perciò da più parti considerata priva di rilevanti profili di offensività.
La Corte costituzionale ritenne incompatibile con la presunzione di non colpevolezza il citato art. 12-quinquies, che faceva dipendere la realizzazione di un fatto penalmente rilevante dalla circostanza che il suo autore fosse o meno sottoposto a procedimento penale: si trattava, osservò la Corte costituzionale, di condizioni «instabili come ogn status processuale» che «non legittimano alcun apprezzamento in termini di disvalore: un apprezzamento che varrebbe ineluttabilmente ad anticipare effetti che la Costituzione riserva, invece, soltanto alla sentenza irrevocabile di condanna» (Corte cost., sent. n. 48 del 1994).
Per effetto della disgregazione dell’art. 12-quinquies ad opera della Corte costituzionale, il legislatore introdusse l’art. 12-sexies legge 7 agosto 1992, n. 356 (introdotto dall’art. 2 d.l. 20 giugno 1994, n. 399, convertito nella legge 8 agosto 199 n. 501).
In tale contesto è utile riproporre testualmente le considerazioni di recente compiute dalle Sezioni unite in tema di confisca c.d. allargata (Sez. U, 26/10/2023 – dep. 2024-, Rizzi, Rv. 285852).
Con la nuova forma di confisca, da una parte, è stata superata la fattispecie penale che rendeva punibile autonomamente la condotta di cui si è detto e alla quale si aggiungeva la confisca, e, dall’altra, è stata data attuazione all’obiettivo di confiscare ricchezze non giustificate che fossero nella disponibilità di un soggetto che avesse riportato condanna per uno dei reati già elencati nell’art. 12-quinquies, con l’aggiunta di alcune nuove fattispecie.
Una misura patrimoniale che, come in più occasioni è stato affermato, si colloca in continuità con le forme c.d. “moderne” di confisca alle quali, già da tempo, numerosi Stati europei hanno fatto ricorso per superare i limiti di efficacia della confisca pena “classica”, che aveva evidenziato difficoltà e una limitata operatività con riguardo all necessità di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza – in termini di strumentalit o di derivazione – tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronuncia condanna (Corte cost., sent. n. 33 del 2018; Corte cost., sent. n. 24 del 2019).
Una confisca, almeno secondo gli originari propositi, giustificata dalla particolar gravità dei delitti spia ed in cui la “sanzione patrimoniale” è caratterizzata da un fo affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa in quanto fondata, nella sostanza, su tre elementi: la qualità di condannato per determinati reati, la sproporzione del patrimonio di cui il condannato dispone, anche indirettamente, rispetto al suo reddito o alla sua attività economica, la presunzione che il patrimonio stesso derivi da altre attività criminose non accertate.
In presenza di determinate condizioni, si presume, cioè, che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone.
La Corte costituzionale, pur evidenziando come il ricorso a forme di confisca congegnate in base ad uno schema di inversione dell’onere della prova sull’origine illecita dei beni oggetto di confisca sia caldeggiato a livello sovranazionale, nondimeno rilevato come «la confisca allargata italiana si caratterizzi rispetto al modello di confisca “estesa” prefigurato dalla direttiva 2014/42/UE (la quale si limita, peralt a stabilire «norme minime», senza impedire agli Stati membri di adottare soluzioni più rigorose), per il diverso e più ridotto standard probatorio», atteso che «la sproporzion tra il valore dei beni e i redditi legittimi del condannato – che in base all’art. 5 direttiva costituisce uno dei «fatti specifici» e degli «elementi di prova» dai qual giudice può trarre la convinzione che i beni da confiscare «derivino da condotte criminose» – vale, invece, da sola a fondare la misura ablativa in esame, allorché il condannato non giustifichi la provenienza dei beni, senza che occorra alcuna ulteriore dimostrazione della loro origine delittuosa» (Corte cost., sent. n. 33 del 2018).
Uno strumento dunque efficace ma fortemente invasivo, di cui si è dubitato anche della compatibilità costituzionale, a fronte del quale la presunzione relativa non realizz una reale inversione dell’onere della prova, ma pone a carico del soggetto destinatario del provvedimento di confisca o di sequestro un onere di allegazione di fatti e circostanze di cui il giudice valuterà la specificità e la rilevanza e verificherà, in defini sussistenza.
Detti principi sono stati ribaditi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 d 2019 in cui si è spiegato che la confisca di prevenzione e la confisca allargata (e sequestri che, rispettivamente, ne anticipano gli effetti) costituiscono species di un unico genus, costituito dalla confisca dei beni di sospetta origine illecita; si tratta di strumento strutturato attraverso uno schema legale di carattere presuntivo caratterizzato «sia da un allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e singolo reato, sia, soprattutto, da un affievolimento degli oneri probatori gravan sull’accusa».
Gli importanti alleggerimenti probatori per l’accusa trovano tuttavia un bilanciamento nell'”onere di allegazione” da parte del soggetto destinatario del provvedimento di confisca finalizzato a superare la presunzione di illecita accumulazione; si tratta di u sintagma con cui, se si intendesse fare riferimento ad uno sforzo dimostrativo non puramente formale, si riproporrebbero gli stessi dubbi di costituzionalità riguardanti meccanismo dell’inversione dell’onere della prova, in quanto l’imputato per evitare la confisca (o il sequestro) dovrebbe dimostrare in positivo l’origine lecita dei suoi ben con conseguente rischio di violazione del principio di presunzione di non colpevolezza, in quanto l’inattività (ovvero il silenzio) sfocerebbe in una prova contra se, in grado di condurre alla confisca dei beni.
Un onere di allegazione invece che deve limitarsi «a rendere credibile la provenienza lecita dei beni» (Corte Cost., sent. n. 33 del 2018).
Dunque, un forte affievolimento degli oneri probatori posti a carico della pubblica accusa ed un requisito, quello della sproporzione, fondato su un meccanismo parapresuntivo di illecita accumulazione che da solo può fondare una misura ablativa onnivora, generale, onnicomprensiva dell’intero patrimonio del condannato.
Una base legale che trova un bilanciamento importante nell’onere di allegazione giustificativo della provenienza legittima dei beni: un onere che, se assolto, rompe, superandola, la presunzione e che rende compatibile l’istituto con i princip costituzionali.
Un onere di allegazione giustificativo che si pone tra diritto e prova, tra requisit struttura della fattispecie ablatoria e, soprattutto, accertamento processuale, tr tipicità e diritto di difesa; una fattispecie ablatoria in movimento, in divenire, che p questioni ed esigenze di conformazione di consolidati schemi interpretativi e che, senza
cedere a semplificazioni probatorie incontrollate, sia capace di “studiare” le condotte e attraverso il processo, il loro significato obiettivo.
Una allegazione “da valutarsi in concreto nelle singole fattispecie, secondo i principi della libertà delle prove e del libero convincimento” (Corte Cost., sent. n. 48 del 1994; Corte cost., sent. n. 464 del 1971; Corte cost., sent. n. 14 del 1971).
Nell’ambito della complessità della fattispecie ablatoria in esame, si inserisce i principio, affermato da questa Corte e spiegato anche dalla Corte costituzionale, che ha perimetrato l’ambito di operatività della presunzione di illecita provenienza dei ben secondo il criterio di “ragionevolezza temporale”, ponendo l’accento, sulla base di un percorso ermeneutico affine a quello cui sono pervenute le Sezioni Unite in tema di confisca di prevenzione (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605), sulla necessità di un collegamento cronologico tra l’attività delittuosa per cu è stata emessa la sentenza di condanna o di applicazione della pena e il momento di ingresso nel patrimonio del singolo bene di valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica (Corte cost., sent. n. 24 del 2019).
Dunque, ha spiegato la giurisprudenza, un accertamento di durata, complesso, scomposto, perché relativo ai singoli beni che nel tempo sono stati acquisiti, volto a riempire di contenuto di garanzia, attraverso il versante processuale, la struttura dell fattispecie.
4. Il Tribunale di Milano non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati.
Sotto un primo profilo, non è chiaro perché quell’immobile non potrebbe essere stato acquistato anche con redditi leciti della stessa COGNOME, avendo lo stesso Tribunale spiegato come la ricorrente avesse percepito redditi netti variabili in quegli anni “da eur 4.385 a euro 83.904” all’anno.
Sotto altro profilo, in ragione dei principi di riferimento di cui si è detto, è la Pub accusa che deve provare il collegamento cronologico tra l’attività delittuosa per cui è stata emessa la sentenza di condanna o di applicazione della pena e il momento di ingresso nel patrimonio del singolo bene di valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica.
Nel caso di specie, almeno tre dei quattro bonifici che, secondo il Tribunale, proverebbero che il prezzo di quell’immobile sia stato corrisposto da COGNOME con sostanze derivanti dalla sua attività illecita di trafficante di sostanze stupefacenti, s stati disposti prima – anche a distanza di anni – rispetto alla data della contestazio del reato associativo posto a fondamento del titolo cautelare.
Sul punto, al di là di affermazioni generiche, il Tribunale non ha chiarito sulla bas di quali elementi concreti si possa affermare che COGNOME già nel 2017 o nel 2018, cioè in un momento precedente di anni rispetto alla data di commissione del reato
associativo, avesse accumulato sostanze illecite poi impiegate per l’acquisto di quell’immobile.
Allorchè si sostiene, come nel caso di specie, che il bene sia stato acquistato con sostanze illecite anche al di là della rigida correlazione temporale tra acquisto e tempo di commissione del c.d. reato spia, cioè con sostanze illecite accumulate prima della commissione del reati spia, l’onere di motivazione è tanto maggiore quanto più si intenda retrodatare il periodo di collegamento tra l’acquisto e l’accumulazione illecita ciò soprattutto nei casi in cui il bene è formalmente intestato ad un terzo estraneo a reato.
Non può porsi a carico del terzo, ritenuto fittizio intestatario dei beni oggetto de richiesta di confisca, un vero e proprio onere probatorio di dimostrazione compiuta della legittima provenienza delle risorse utilizzate per gli acquisti, atteso che il terzo, definizione, non è il soggetto che ha accumulato illecitamente ricchezza e la prova della scissione tra titolarità formale del bene e impiego delle risorse illecite da parte di spetta comunque alla pubblica accusa.
Il Tribunale, al riguardo, si è limitato a richiamare un breve stralcio di conversazione intercetta, alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME – valorizzate in realtà anche in chiave difensiva e sulle quali non è stato spiegat alcunchè- e alcuni procedimenti penali di cui, non diversamente, nulla è dato sapere.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata.
Il Tribunale, in sede di rinvio, applicherà i principi indicati e verificherà se e i limiti il sequestro di quell’immobile sia legittimo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano competente ai sensi dell’art. 324, comnna 5, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2024.