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Confisca allargata: annullato sequestro per beni pagati

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata. Il caso riguardava un immobile intestato alla moglie di un indagato, acquistato con pagamenti effettuati in gran parte prima dell’inizio del periodo in cui si sarebbe consumato il reato associativo contestato. La Corte ha ribadito che spetta all’accusa dimostrare il collegamento cronologico tra l’attività illecita e l’acquisto del bene, sottolineando che tale onere probatorio non era stato soddisfatto.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Allargata: la Cassazione Fissa i Paletti sul Collegamento Temporale tra Reato e Acquisto dei Beni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di confisca allargata: per sequestrare un bene, è indispensabile che l’accusa dimostri un collegamento cronologico preciso tra l’attività criminale e l’accumulo di ricchezza. Se i fondi per l’acquisto sono stati versati prima del periodo in cui si contesta il reato, il sequestro è illegittimo. Questa decisione chiarisce i limiti dell’azione statale e rafforza le garanzie per i terzi intestatari di beni.

I Fatti del Caso: Un Immobile Sotto Sequestro

Il caso trae origine da un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 bis c.p., emesso nei confronti di un soggetto indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il reato associativo veniva contestato come ‘perdurante da giugno 2020’.

Il sequestro colpiva anche un’autovettura e un immobile formalmente intestati alla moglie dell’indagato. Per quanto riguarda l’immobile, la vicenda era complessa: nel 2012 era stato stipulato un contratto di locazione con patto di futura vendita, che indicava entrambi i coniugi come futuri acquirenti. I pagamenti per l’acquisto erano stati effettuati tramite diversi bonifici, di cui i più cospicui, risalenti al 2017 e al 2018, provenivano da un conto riconducibile all’indagato. L’atto di vendita definitivo veniva firmato dalla sola moglie nel maggio 2023, in un momento in cui il marito era latitante.

Il Ricorso e la questione della Confisca Allargata

La difesa della donna, in qualità di terza proprietaria del bene, ha contestato il provvedimento del Tribunale di Milano, che aveva parzialmente confermato il sequestro. Il ricorso si basava su due argomenti principali:

1. Violazione di legge: Il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato perché l’immobile non dovesse considerarsi di effettiva proprietà della ricorrente, senza valutare la sua capacità reddituale e le dinamiche familiari che possono giustificare pagamenti da parte del coniuge.
2. Mancanza di ragionevolezza temporale: La gran parte dei pagamenti per l’acquisto dell’immobile era avvenuta nel 2017 e 2018, ovvero anni prima dell’inizio del periodo contestato per il reato associativo (giugno 2020). Mancava quindi il presupposto fondamentale del collegamento cronologico tra l’attività illecita e l’incremento patrimoniale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso al Tribunale di Milano per un nuovo esame. La Corte ha chiarito in modo netto i principi che governano la confisca allargata. Si tratta di uno strumento potente ma invasivo, che si fonda su una presunzione: che i beni di valore sproporzionato rispetto al reddito di un condannato per gravi reati derivino da attività illecite.

Tuttavia, questa presunzione non è assoluta. La giurisprudenza, sia costituzionale che di legittimità, ha stabilito che la sua operatività è perimetrata dal criterio della ‘ragionevolezza temporale’. È la Pubblica Accusa a dover provare il collegamento cronologico tra l’attività delittuosa e il momento in cui il bene sproporzionato è entrato nel patrimonio dell’interessato.

Nel caso specifico, il Tribunale non aveva fornito alcuna spiegazione concreta su come l’indagato avesse potuto accumulare sostanze illecite già nel 2017 o 2018, anni prima della data di inizio contestata per il reato. Richiami generici a dichiarazioni di collaboratori di giustizia o ad altri procedimenti penali sono stati ritenuti insufficienti.

La Corte ha inoltre sottolineato che l’onere della motivazione è ancora più stringente quando il bene è formalmente intestato a un terzo. In tali circostanze, non si può addossare al terzo un ‘onere probatorio di dimostrazione compiuta della legittima provenienza delle risorse’. Spetta sempre all’accusa provare non solo l’origine illecita dei fondi, ma anche la fittizia intestazione del bene.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante richiamo al rigore probatorio richiesto per l’applicazione di misure patrimoniali così incisive come la confisca allargata. La decisione stabilisce che non è sufficiente un mero sospetto basato sulla sproporzione patrimoniale; l’accusa deve costruire un quadro probatorio solido, fondato su un collegamento temporale logico e dimostrabile tra il reato ‘spia’ e l’arricchimento. In assenza di tale prova, il sequestro preventivo è illegittimo, a tutela del diritto di proprietà e delle garanzie processuali, specialmente quando sono coinvolti soggetti terzi estranei al reato.

Quando è illegittimo un sequestro finalizzato alla confisca allargata?
Il sequestro è illegittimo quando l’accusa non riesce a provare un collegamento cronologico ragionevole tra l’attività delittuosa contestata e il momento dell’acquisizione del bene. Se i pagamenti per un bene sono avvenuti in un’epoca significativamente anteriore all’inizio del reato, la presunzione di provenienza illecita viene meno.

Su chi ricade l’onere di provare il collegamento temporale tra reato e acquisto del bene?
L’onere della prova ricade interamente sulla Pubblica Accusa. Non è il soggetto che subisce il sequestro (né tantomeno il terzo intestatario) a dover dimostrare la provenienza lecita delle risorse, ma è l’accusa che deve provare il nesso temporale tra il delitto e l’incremento patrimoniale.

Cosa deve fare l’accusa se il bene è intestato a un terzo?
Quando il bene è formalmente intestato a un terzo estraneo al reato, l’onere probatorio per l’accusa è ancora più gravoso. Deve dimostrare non solo la provenienza illecita delle risorse utilizzate per l’acquisto, ma anche la scissione tra la titolarità formale e la disponibilità sostanziale del bene, provando che l’intestazione è fittizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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