Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20038 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20038 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME FOSSANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/07/2022 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’i. luglio 2022, la Corte di appello di Torino, quale giudice dell’esecuzione, ha disposto, in riforma di quella emessa il 4 aprile 2022 ed in accoglimento dell’opposizione presentata dal Procuratore generale della Repubblica della stessa città, la confisca per equivalente, nei confronti di NOME COGNOME, condanNOME con sentenza irrevocabile per il delitto sanzioNOME dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, della somma di euro 34.900.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione per avere il giudice dell’esecuzione disposto la confisca a dispetto del giudicato intervenuto sul punto in sede di cognizione, ove al sequestro, originariamente disposto, erano seguiti, in esito al giudizio di primo grado, il rigetto della richiesta confisca, avanzata ai sensi dell’art. 240 cod. pen., e l’ordine, mai concretamente eseguito, di restituzione all’avente diritto.
Lamenta, al riguardo, che la più recente iniziativa del Procuratore generale non avrebbe potuto essere accolta in ragione della preclusione derivante dalla precedente pronuncia irrevocabile ed aggiunge, in replica all’assunto mutuato dalla Corte di appello, che ha ritenuto la sproporzione tra la somma de qua agitur e le risorse da lui lecitamente acquisite, di avere dato congrua prova della provenienza lecita del denaro attraverso elementi dei quali la Corte di appello non ha, però, tenuto conto.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
NOME COGNOME è stato tratto a giudizio e condann ° con sentenza irrevocabile, per avere illecitamente detenuto, nell’agosto del 2020, un consistente quantitativo di hashish.
Il Tribunale di Cuneo, giudice della cognizione, ha rigettato, con la sentenza del 27 maggio 2021, la richiesta di confisca della somma di 34.900 euro, rinvenuta, all’interno di una borsa custodita in una delle cantine costituenti pertinenza dell’abitazione di COGNOME.
In proposito, ha rilevato che, se il denaro che COGNOME portava con sé all’atto dell’intervento delle forze dell’ordine e quello che egli deteneva insieme alla sostanza stupefacente, per il complessivo importo di circa 16.000, doveva ritenersi, per espressa ammissione dell’imputato, provento del commesso reato ed essere, quindi, confiscato, a diverse conclusioni doveva pervenirsi in relazione al contante trovato in cantina, essendo carente la prova che esso costituisse profitto dell’attività di spaccio.
Sul punto, ha, in particolare, valorizzato: le dichiarazioni di COGNOME, assistite dalla produzione di documentazione relativa allo svolgimento di attività lavorativa, seppure in epoca passata; l’apporto dei testi escussi su indicazione difensiva, a dire dei quali l’imputato, anche di recente, è stato lecitamente occupato; l’assenza di prova diretta in ordine alla provenienza da reato del denaro custodito in cantina.
Con il provvedimento impugNOME, la Corte di appello ha ritenuto, in primo luogo, che la decisione adottata dal giudice della cognizione con riferimento alla confisca ex art. 240 cod. pen. non preclude la verifica, in executivis, della sussistenza dei presupposti applicativi del diverso istituto della confisca c.d. «allargata», ai sensi del successivo art. 240-bis, per sproporzione del compendio patrimoniale di cui si discute rispetto al reddito dichiarato ed all’attività economica svolta dal condanNOME.
Ha aggiunto, quindi, che «la situazione reddituale, addotta già nella fase del giudizio dal condanNOME, relativa ad attività lavorativa discontinua, non giustifica l’accumulo di una somma della consistenza di quella in esame, la quale risulta pertanto evidentemente sproporzionata rispetto alla capacità reddituale dimostrata dal condanNOME» e che le modalità di frazionamento e custodia del denaro concorrono a dimostrarne la matrice illecita, che non risulta validamente contraddetta dalla documentazione esibita da COGNOME in primo grado.
Ciò posto, ritiene il Collegio che, se le considerazioni dedicate dalla Corte di appello, nella motivazione dell’ordinanza impugnata, all’assenza di preclusione alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. (applicabile, in caso di condanna per il delitto sanzioNOME dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, giusta la previsione dell’art. 85-bis del medesimo corpus normativo) sono ineccepibili, dovendosi avere riguardo all’autonomia dei relativi presupposti rispetto a quelli della confisca del profitto del reato oggetto di accertamento giurisdizionale, non altrettanto può dirsi per quanto concerne l’enucleazione delle condizioni legittimanti l’adozione del provvedimento ablativo.
Il giudice dell’esecuzione ha, invero, formulato il contestato giudizio di sproporzione partendo, come previsto, dalla considerazione delle entrate di origine lecita di cui COGNOME ed il suo nucleo familiare hanno fruito, la cui obiettiva consistenza, riferita al periodo di interesse (cioè, quantomeno, al 2020 ed agli anni immediatamente precedenti), ha, tuttavia, omesso di illustrare, affidando la valutazione alla sola discontinuità dell’attività lavorativa, ovvero ad un elemento di tangibile genericità, tanto più perché non accompagNOME da precise indicazioni in ordine alla tipologia dell’attività svolta, alla sua durata, alla redditività.
Trattandosi di un accertamento che, come normativamente consentito, è stato compiuto ex novo in fase esecutiva, la Corte di appello avrebbe dovuto seguire un percorso argomentativo che, prendendo le mosse dall’apprezzamento dei redditi di fonte lecita – agevolmente ricavabile mediante accesso ai dati disponibili presso l’amministrazione finanziaria – del condanNOME, si concentrasse sull’accertamento, in termini il più possibile oggettivi e riscontrabili, della relazione, da qualificarsi in termini di proporzione o sproporzione, con l’acquisizione patrimoniale di cui si discute, certamente notevole ma non assolutamente esorbitante.
D’altro canto, pur dovendosi riconoscere limitata attitudine probatoria a fonti orali relative ad attività lavorativa non adeguatamente comprovata – e che, nondimeno, sono state, in certa misura, valorizzate dal giudice della cognizione in funzione del rigetto della richiesta di confisca ai sensi dell’art. 240 cod. pen. deve, per completezza, qui sottolinearsi, da un lato, l’eccessiva laconicità della menzione della documentazione esibita da COGNOME in primo grado, della quale non viene indicato neanche l’oggetto, e, dall’altro, la non decisività delle modalità di custodia del denaro, sintomatiche, ma, di per sé, non necessariamente dimostrative, della sua provenienza da reato.
5. Le precedenti considerazioni impongono, in conclusione, l’annullamento del provvedimento impugNOME con rinvio alla Corte di appello di Torino per un nuovo giudizio – libero nell’esito ma emendato dai riscontrati vizi motivazionali – sull’opposizione proposta dal Procuratore generale avverso la decisione reiettiva della richiesta di confisca, ai sensi del combiNOME disposto degli artt. 240-bis cod. pen. e 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, della somma di euro 34.900.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2024.