Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30242 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30242 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BRIATICO il 08/06/1960
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni depositate dalla difesa in data 30 maggio 2025.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro, seconda sezione penale, ha confermato la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia che ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed euro 1.600,00 di multa, per i reati di cui all’art. 23 I. n. 110 del 1975 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), e di cui agli artt. 81, secondo comma, 648 cod. pen.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite dei difensori di fiducia, avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati in conformità al disposto di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 23 della legge n. 110 del 1975 e degli artt. 81 secondo comma, 648 cod. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza della motivazione.
In particolare, il ricorrente ha evidenziato che con l’atto di appello i difensori avevano censurato l’esito del giudizio di primo grado con riferimento alla mancanza della prova della riconducibilità dell’arma e del munizionamento al ricorrente.
Più specificamente, avevano eccepito che la pistola non era stata rinvenuta in un terreno di proprietà dell’imputato, ma in un terreno incolto e non recintato a pochi metri dal muro delimitante l’immobile, dato questo da ritenersi neutro, in quanto l’immobile del ricorrente era posto in un centro abitato, in presenza di altre abitazioni e con una strada comunale di passaggio, evidenziando a tal proposito la deposizione del teste COGNOME.
Inoltre, nel ricorso si è rilevato che con l’atto di appello era stata eccepita la nullità delle operazioni di rinvenimento dell’arma, nonché la circostanza che non poteva fungere da elemento dimostrativo della riconducibilità dell’arma al ricorrente il rinvenimento di una valigetta per armi a salve con all’interno una bottiglietta di olio per pulirle, attribuibile, invece, al figlio ricorrente che appunto possedeva una pistola a salve, la quale era stata consegnata spontaneamente alla p. g. operante.
Pertanto, la Corte di appello non si sarebbe soffermata su tali aspetti limitandosi ad una mera motivazione apparente, inidonea a costituire una motivazione per relationem e una fattispecie di cd. doppia conforme, non contenendo il provvedimento impugnato alcun passaggio motivo in riferimento alla sentenza di primo grado e, quindi ai medesimi criteri di valutazione.
Inoltre, la difesa ha dedotto che l’asettico richiamo alle dichiarazioni spontanee rese dal ricorrente all’udienza del 10 ottobre 2024 zy non può costituire legittima operazione motiva perché evidentemente disancorata dal reale tenore del materiale probatorio e perché chiaramente apodittica nella sua conclusione
Al riguardo si è rilevato che la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza solo se il giudice apprezzandone la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornisca ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) la violazione e l’erronea applicazione degli art. 62 bis e 133 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, si è rilevato che il rigetto della concessione delle attenuanti generiche e della richiesta di riduzione della pena sarebbe frutto di un approccio apodittico e illogico, in quanto il ricorrente, soggetto incensurato, ha tenuto una condotta processuale improntata a rigoroso e rispettoso contegno, peraltro confessoria, e ciò nonostante i giudici di appello, con laconica motivazione, hanno affermato che la confessione e lo stato di incensuratezza non fossero validi elementi per la concessione delle invocate circostanze generiche.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
In data 30 maggio 2025 il ricorrente ha depositato conclusioni scritte ribadendo quanto affermato nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito evidenziate.
1.1. Quanto al primo motivo di ricorso va, preliminarmente, evidenziato che la sentenza di appello, dopo aver puntualmente riportato i motivi di gravame avverso le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, ha ritenuto l’appello fondato limitatamente alla posizione di COGNOME COGNOME affermando, quanto alla posizione del ricorrente «che all’udienza del 10 ottobre 2024 l’imputato COGNOME COGNOME rendeva spontanee dichiarazioni del seguente tenore: “dichiaro che le armi rinvenute sono nel mio esclusivo possesso, che sono proprietario dei terreni e degli immobili che insistono in quell’aria Mio figlio è completamente estraneo ai fatti.”
Tanto premesso, deve rilevarsi che le doglianze difensive sono destituite di fondamento in quanto si sono limitate ad una valutazione parziale della sentenza impugnata, contestandola relativamente alla sola parte in cui i giudici di appello attribuiscono rilievo, ai fini della conferma della condanna del ricorrente, alle dichiarazioni spontanee confessorie, non procedendo ad una considerazione complessiva del provvedimento impugnato.
La deduzione difensiva, infatti, non si è confrontata con l’intera sentenza impugnata, dal cui complessivo impianto argomentativo risulta, chiaramente, la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza di primo grado, fatta propria dalla sentenza di appello e che viene avvalorata dalle dichiarazioni confessorie del ricorrente.
Ne consegue che dette dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell’art. 494 cod. proc. pen., normalmente consistenti in uno strumento di auto difesa, ben possano assumere valenza confessoria o comunque contenere elementi di prova a carico dell’imputato (Sez. 5, n. 2929 del 05/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274588 – 01) lì dove, come nella specie, siano coerenti rispetto alla ricostruzione dei fatti.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, in quanto la sentenza impugnata ha correttamente motivato in ordine al diniego dell’istanza di riduzione della pena, non ritenendo di poter valutare quali elementi positivi lo stato di incensuratezza e le dichiarazioni confessorie, rese solo all’esito del giudizio di secondo grado ed in presenza di elementi schiaccianti di responsabilità.
Così argomentando, la sentenza impugnata ha dato corretta attuazione ai principi enunciati da questa Corte secondo cui il mancato riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a
maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23
maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non
è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato. (Sez. 4, n.
32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01), dovendosi ribadire in tale sede che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui
motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli
indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 2 n. 23903 del 15/07/2020 Rv. 279549 –
02); alla luce di tale principio, la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fi dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi
precedenti penali dell’imputato, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME Rv. 271269 – 01); in relazione ad una fattispecie di mancata concessione motivata in ragione della gravità del fatto, Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018 (dep. 2019) Rv. 275509 – 03.
In considerazione delle esposte argomentazioni il ricorso va, dunque, rigettato. Alla pronuncia di rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in data 6 giugno 2025.