Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23735 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23735 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/05/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME nato a Desio il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 12/10/2023 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso. udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 12 ottobre 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza cautelare di applicazione della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME emessa dal g.i.p. del Tribunale di Catanzaro il 9 giugno 2023 in relazione ai reati di omicidio volontario aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. e dalla premeditazione, e di ricettazione e porto in luogo pubblico di arma, aggravati anch’essi ex art. 416-bis.1 cod. pen., commessi il 19 agosto 2013.
In particolare, l’ordinanza si occupa della vicenda dell’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto il 19 agosto del 2013, ed oggetto in un primo momento delle
dichiarazioni della collaboratrice di giustizia NOME COGNOME, che, riferendo dichiarazioni apprese dal suo compagno NOME COGNOME, aveva riferito all’autorità giudiziaria che gli autori materiali dell’omicidio erano stati lo stesso COGNOME e tale NOME COGNOME, e che l’omicidio serviva a vendicare l’uccisione di NOME COGNOME, avvenuta circa un mese prima.
COGNOME, odierno ricorrente, era stato coinvolto nell’indagine in quanto il 21 marzo 2018, pochi giorni dopo l’esecuzione delle misure cautelari dell’operazione denominata RAGIONE_SOCIALE, era stata intercettata una telefonata tra lo stesso ricorrente e tale NOME COGNOME, in cui il ricorrente riferiva a COGNOME di essere coinvolto nell’omicidio del COGNOME e di aver avuto un ruolo decisionale nonchè quello di vedetta il giorno dei fatti; più in particolare, lo stesso aveva detto a COGNOME che, al momento del delitto, il suo compito era stato di appostarsi in modo da vedere se passassero o meno i Carabinieri lo stesso aveva anche detto che / in un primo moment9 era stato deciso che COGNOME avrebbe dovuto essere ucciso di mattina quando, come soleva, passava a prendere il caffè presso il bar della moglie di COGNOME, ma COGNOME si era opposto ed aveva chiesto a COGNOME di non procedere fuori dal suo bar ma di spostare l’omicidio al pomeriggio ed ad altro luogo. Secondo il racconto telefonico del ricorrente, gli autori materiali dell’omicidio erano stati COGNOME ed una persona di COGNOME, che conosceva soltanto con il nome di NOME e che aveva una Lancia Y; nel gruppo nell’omicidio aveva avuto un ruolo anche un’altra persona indicata per soprannome che si sarebbe appostata vicino ad un distributore di benzina.
L’ordinanza ha dato atto che esistevano dei riscontri obiettivi alle dichiarazioni di COGNOME, riscontri che provenivano dalle riprese video di un impianto di videosorveglianza di un esercizio commerciale in cui si notavano i killer a bordo di uno scooter di grossa cilindrata che percorrevano lo stesso tragitto di COGNOME e lo raggiungevano al bar Blue Moon.
Sulla base delle dichiarazioni di COGNOME era stato individuato anche l’uomo indicato come “NOME di COGNOME con la Lancia Y”, individuato in NOME COGNOME, persona di COGNOME, arrestata in flagranza alcuni mesi dopo per il reato di spaccio commesso mentre era a bordo proprio di una Lancia Y.
Come ulteriore elemento di conferma delle dichiarazioni / il Tribunale ha valorizzato anche la circostanza che, secondo COGNOME, COGNOME, oltre ad aver partecipato alla decisione di uccidere COGNOME, aveva svolto il compito di vedetta, ed in effetti sull’utenza intestata a COGNOME, uno dei degli esecutori materiali dell’omicidio, vi erano due chiamate in entrata provenienti dall’utenza intestata a COGNOME alle 15:20 e 15:21 (l’omicidio è avvenuto alle 15:24), in orari compatibili quindi con quello in cui COGNOME si era già messo in movimento a bordo della
propria auto per recarsi sul luogo in cui verrà ucciso, come riscontrato dalla telecamera di un esercizio commerciale.
Il Tribunale ha preso in considerazione la tesi difensiva secondo cui nella conversazione telefonica NOME si sarebbe solo pavoneggiato, e che nel suo racconto vi sarebbero alcune incongruenze però ha ritenuto che non costituisca incongruenza la circostanza che NOME non avesse motivo di recarsi a fare la vedetta fuori dalla caserma dei carabinieri perché il suo bar era posizionato a soli 400 m dalla caserma, atteso che solo appostandosi nei pressi della caserma egli avrebbe potuto lanciare l’allarme il più velocemente possibile.
Il Tribunale ha esaminato anche l’argomento secondo cui non è possibile che sia il killer venuto da COGNOME che la vittima fossero andati la mattina a consumare un caffè presso il bar della moglie di NOME perché la mattina in questione cadeva di lunedì, che era il giorno di chiusura del bar: ma il Tribunale ha ritenuto che questa indicazione potrebbe essere un errore di COGNOME, e che comunque la documentazione prodotta a comprova del fatto che il bar fosse chiuso quella mattina, in quanto molto risalente, non sarebbe decisiva.
Il Tribunale ha ritenuto, altresì, sussistente sia l’aggravante di agevolazione mafiosa che quella della premeditazione in quanto omicidio avvenuto per motivi di vendetta tra clan rivali, su ordine del capoclan, a seguito di summit in cui sono state decise le modalità dell’agguato.
Sulle esigenze cautelari, l’ordinanza ha ricordato che esiste per il reato contestato la presunzione relativa di adeguatezza della sola custodia in carcere e che nel caso in esame sussiste un evidente pericolo di reiterazione desumibile dell’ambito di operatività dell’organizzazione criminale e dall’attività compiuta a favore della stessa da COGNOME.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione di legge processuale perché il Tribunale ha respinto l’istanza di differimento dell’udienza di discussione del riesame presentata dalla difesa ex art 309, comma 9-bis, cod. proc. pen. con una motivazione meramente apparente composta da puri stereotipi; la difesa infatti aveva evidenziato che necessitava un tempo superiore a causa della incontestata mole dei documenti che caratterizza il procedimento in esame; il Tribunale non aveva il potere di sindacare la qualità dei motivi nè era sua competenza affermare se fosse adeguato o meno il termine previsto dalla legge per lo studio degli atti depositati, tutto ciò che avrebbe dovuto verificare era che l’istanza non fosse pretestuosa.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in punto di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza in quanto le dichiarazioni autoaccusatorie del COGNOME non sono né lineari né precise, ma contengono alcune contraddizioni rispetto alle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia su aspetti cruciali.
Anzitutto, la partecipazione di COGNOME alla fase decisionale confligge logicamente con quanto lo stesso Tribunale afferma a pagina 5 del provvedimento nella parte in cui sostiene che COGNOME non dichiara solo di aver concorso materialmente ma ammette anche di aver preso parte al summit; c’è un’evidente illogicità intrinseca nell’aver affermato da un lato che la presunta decisione di uccidere COGNOME veniva assunta in costanza di un vero e proprio summit presso l’abitazione per come riferito dalla collaboratrice di giustizia, mentre dall’altra c’è il coinvolgimento del ricorrente nella decisione in un modo quasi accidentale in quanto NOME avrebbe chiesto di non eseguire l’omicidio presso il proprio bar.
Nell’ordinanza vi è una seconda contraddizione nella parte in cui il Tribunale sostiene che COGNOME avrebbe anche svolto il compito di vedetta in base a quanto riferisce COGNOME (che ha usato l’espressione COGNOME era sulla porta) in realtà questa informazione contrasta con quanto affermato dalla collaboratrice di giustizia che aveva riferito che in realtà questi avrebbe guidato la moto e non sarebbe stato di vedetta; su questo punto c’è un’ulteriore contraddizione con quanto afferma COGNOME nella telefonata intercettata perché COGNOME prima afferma che a sparare è stato uno di COGNOME per poi cambiare versione attribuendo a questi il ruolo di autista, e non di passeggero della moto.
Una terza circostanza priva di fondamento logico è rnella dichiarazione di COGNOME, di essersi messo di vedetta dalla parte della caserma dei carabinieri che dista dal bar di COGNOME appena 400 metri; il Tribunale sostiene che l’affermazione di COGNOME è verosimile, ma, in realtà, si tratta di valutazione autoreferenziale contenente errore nell’applicazione della logica in quanto non considera l’arco temporale di pochi secondi entro cui si è sviluppato il delitto che è avvenuto tra le 15:23 e le 15:24 e la distanza chilometrica di circa 1 km tra la caserma dei carabinieri e il posto in cui è avvenuto l’omicidio.
Ulteriore valutazione illogica è nella motivazione del Tribunale nella parte in cui dà credibilità a COGNOME quando afferma che il killer arrivato da COGNOME si era recato la mattina a prendersi il caffè presso il bar della moglie di NOME e che anche la vittima fosse andata lì la stessa mattina; infatti, il giorno dell’omicidio era un lunedì e la predetta attività commerciale aveva quale giorno di riposo proprio il lunedì; il Tribunale ritiene che COGNOME potrebbe essersi confuso sulla giornata e che comunque il materiale con cui era stato approvato il giorno di riposo era vecchio’ , però la prima affermazione è ipotetica ed indimostrabile, la seconda è troppo generica.
Vi è ancora una evidente illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale dà credito a COGNOME nella parte in cui riferisce elementi a carico anche di NOME COGNOME dicendo che era lì da qualche parte che aspettava avvenisse l’omicidio, dichiarazione che dimostra la mancata conoscenza di COGNOME del ruolo, in realtà, attribuito a COGNOME nell’omicidio che era quello di presidiare i luoghi prescelti per la consumazione del delitto nonché di monitorare la vittima designata; sarebbe contraddittorio che un soggetto che partecipa a una riunione preparatoria di un omicidio decida che l’evento non deve realizzarsi nei pressi della propria attività soltanto la mattina stessa dell’episodio su richiesta di un correo che, per di più, non conosceva il ruolo degli altri presunti concorrenti del reato.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’aggravante dell’agevolazione mafiosa in quanto dalla vicenda contestata non emerge un vantaggio per la consorteria ma r al limite i per un singolo soggetto, poi non si capisce se il Tribunale abbia riconosciuto l’aggravante nella sua dimensione oggettiva del metodo o in quella soggettiva dell’agevolazione, non c’è nessuna prova che si tratti di cosche rivali né che ci sia un ordine del capoclan nè che vi sia stato un summit decisorio, il che incidentalmente ridonda anche sulla aggravante della premeditazione.
3. La difesa dell’indagato ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. E’ infondato anzitutto il primo motivo.
L’art. 309, comma 9-bis., cod. proc. pen., dispone, infatti, che “su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell’ordinanza sono prorogati nella stessa misura”.
Il rinvio dell’udienza, pertanto, non è un diritto della difesa dell’imputato, come ricostruito in ricorso, ma può essere concesso soltanto se vi sono “giustificati motivi”.
L’apprezzamento da parte del giudice del merito della sussistenza o meno dei “giustificati motivi” non è sindacabile in sede di legittimità, se non nel caso estremo della carenza assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente dell’ordinanza che nega il rinvio (Sez. 1, Sentenza n. 6360 del 12/10/2022, dep. 2023, Eurolido, Rv. 284355: la decisione con la quale il tribunale del riesame rigetta l’istanza di differimento della data dell’udienza, presentata ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen., non è impugnabile, fatta salva l’ipotesi in cui essa sia nulla per carenza assoluta di motivazione ovvero presenti una motivazione solo apparente), situazione che non si rinviene nel caso in esame in cui la richiesta di rinvio era giustificata dalla necessità di più tempo per l’attività difensiva, richiesta che il Tribunale ha respinto evidenziando che l’udienza di riesame era fissata a 35 giorni di distanza dall’esecuzione della misura, che era un tempo più che adeguato per studiare gli atti, motivazione fondata sul tempo che, in una procedura, quale quella del riesame, caratterizzata da una scansione temporale estremamente rigida per tutti gli attori processuali, non può essere ritenuta apparente.
E’ infondato anche il secondo motivo, dedicato alla contestazione dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza nella responsabilità per il reato in contestazione.
Nella ordinanza impugnata i gravi indizi si reggono essenzialmente sulla confessione stragiudiziale effettuata dall’imputato COGNOME, e su alcuni elementi di riscontro individuati nell’ordinanza.
Una confessione stragiudiziale segue le regole probatorie del mezzo di prova che la immette nel processo (Sez. 1, n 29749 del 16/06/2022, COGNOME, cit.; Sez. 5, Sentenza n. 11296 del 22/11/2019, dep. 2020, Vegini, Rv. 278923), e, quindi, nel caso in esame, in cui la confessione stragiudiziale è veicolata in giudizio mediante una intercettazione, essa soggiace alle regole legali sull’utilizzabilità delle intercettazioni.
A prescindere dal mezzo con cui è veicolata in giudizio, la confessione stragiudiziale può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sé e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto contestato (Sez. 1, Sentenza n. 6467 del 11/05/2017, dep. 2018, Secolo, Rv. 272100; Sez. 6, Sentenza n. 23777 del 13/12/2011, dep. 2012, Zedda, Rv. 253002).
Nel caso in esame, la spontaneità della confessione stragiudiziale di NOME non è contestata.
In ordine alla genuinità della stessa, il ricorso sostiene che la confessione è stata determinata da una finalità di vanteria, che, però, è una affermazione
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ipotetica e congetturale, in quanto tale inidonea ad introdurre un vizio di motivazione (Sez. 1, n. 17102 del 15/02/2024, Concilio, n.nn.; Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237).
Il ricorso deduce anche che, con riferimento alla partecipazione di COGNOME alla fase decisionale, l’illogicità consisterebbe nell’aver affermato da un lato che la presunta decisione di uccidere COGNOME era stata assunta in un vero e proprio summit, per come riferito dalla collaboratrice di giustizia, mentre dall’altra il coinvolgimento del ricorrente nella decisione sarebbe avvenuto in un modo quasi accidentale in quanto NOME avrebbe chiesto di non eseguire l’omicidio nei pressi del proprio bar. L’argomento è infondato, perché non vi è contraddizione tra le due affermazioni contenute nell’ordinanza, atteso che l’esistenza di un summit in cui sarebbe stata presa la decisione di uccidere COGNOME, di cui parla la collaboratrice di giustizia, non è incompatibile con la circostanza che i el orso della pianificazione dell’esecuzione del crimine, e dell’attribuzione dei ruoli ai singoli compartecipi, COGNOME possa aver chiesto a COGNOME COGNOME spostare il delitto da un momento e luogo (fuori dal suo bar dopo che la vittima aveva preso il caffè) che lo avrebbe reso immediatamente sospettabile di essere uno dei partecipi.
Il ricorso deduce che vi sarebbe una contraddizione nella motivazione dell’ordinanza impugnata nell’aver ritenuto che COGNOME avrebbe anche svolto il compito di vedetta (nella intercettazione COGNOME ha usato l’espressione COGNOME era sulla porta), mentre la collaboratrice di giustizia aveva riferito su COGNOME che, in realtà, questi sarebbe stato l’autista della moto su cui viaggiavano i killer. L’argomento è infondato, perché la contraddizione non è tra due proposizioni logiche della motivazione dell’ordinanza, ma tra due diverse fonti probatorie, contraddizione tra le fonti che non si trasferisce alla motivazione dell’ordinanza, che spiega con una affermazione non illogica di attribuire maggiore credibilità alla dichiarazione di COGNOME (secondo cui i due esecutori materiali erano COGNOME e COGNOME), e non a quella della collaboratrice di giustizia (secondo cui i due esecutori materiali erano COGNOME e COGNOME), che, peraltro, non ha conoscenza diretta dei fatti ma riferisce de relato quanto le avrebbe riferito NOME.
Il ricorso deduce che vi è un’ulteriore contraddizione nella ricostruzione dell’omicidio effettuata da COGNOME nella telefonata intercettata, perché questi prima afferma che a sparare è stato uno di COGNOME per poi cambiare immediatamente versione attribuendo a questi il ruolo di autista, e non di passeggero della moto. L’argomento è infondato, in quanto esso non è sufficiente a incidere sulla logicità della motivazione dell’ordinanza che ha ritenuto credibile la ricostruzione dell’omicidio effettuata al telefono da NOME, atteso che si tratta di due frasi immediatamente successive pronunciate da NOME nella stessa conversazione, frasi
che possono non illogicamente essere state intese come l’una di precisazione, o rettifica, dell’altra.
Il ricorso deduce che vi è un ulteriore passaggio illogico nella ricostruzione dell’omicidio effettuata da COGNOME nella telefonata intercettata, nella parte in cui questi afferma di essersi messo di vedetta in strada dalla parte della caserma dei Carabinieri che dista dal bar di COGNOME appena 400 metri, affermazione che il Tribunale ritiene verosimile, ma che, secondo il ricorso, conterrebbe un errore nell’applicazione delle regole della logica in quanto non considera l’arco temporale di pochi secondi entro cui si è sviluppato il delitto, che è avvenuto tra le 15:23 e le 15:24, e la distanza chilometrica di circa 1 km tra la caserma dei carabinieri e il posto in cui è avvenuto l’omicidio. L’argomento è inammissibile, in quanto affetto dal vizio di aspecificità dei motivi di impugnazione (Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonché, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823), perché non si confronta con il percorso logico della decisione impugnata che, a fronte del motivo di ricorso in cui si sosteneva che non avrebbe avuto senso per COGNOME piazzarsi di vedetta in strada quando avrebbe potuto svolgere lo stesso compito nel proprio bar facendosi notare di meno, aveva risposto con argomento non illogico che COGNOME non poteva rimanere presso il proprio bar perchè non avrebbe potuto avvertire dei movimenti dei Carabinieri, come avrebbe potuto fare, invece, appostandosi più vicino alla caserma.
Il ricorso deduce che vi è un ulteriore passaggio illogico nella ricostruzione dell’omicidio effettuata da NOME nella telefonata intercettata, nella parte in cui questi afferma che il killer arrivato da COGNOME si era recato la mattina a prendere il caffè presso il bar della moglie di NOME e che anche la vittima era andata lì la stessa mattina, atteso che l’omicidio è avvenuto di lunedì, giorno di chiusura dell’attività commerciale. Il Tribunale ha risolto la contraddizione sostenendo che NOME potrebbe essersi confuso sulla giornata, e che comunque il materiale con cui era stata documentata l’esistenza del giorno di riposo era vecchio; il ricorso deduce che si tratta di motivazione generica ed ipotetica. L’argomento è infondato, atteso che “in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 1, n 29749 del
16/06/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976), e nel caso in esame si tratta della valutazione dell’importanza da attribuire ad un particolare della ricostruzione effettuata dall’imputato della sequenza dei comportamenti che hanno portato all’omicidio (ovvero, che la vittima e l’esecutore materiale abbiano o meno, in separati momenti, preso il caffè al bar della moglie di COGNOME la mattina del fatto), di cui i limiti della valutazione d legittimità di un provvedimento emesso nella fase cautelare non consentono di apprezzare la idoneità a disarticolare il giudizio di credibilità attribuito dal Tribunale alla confessione stragiudiziale resa da COGNOME.
Il ricorso deduce ancora che è illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ritiene credibile la dichiarazione di COGNOME quando riferisce elementi a carico anche di NOME COGNOME, in quanto sarebbe contraddittorio che un soggetto che partecipa a una riunione preparatoria di un omicidio decida che l’evento non deve realizzarsi nei pressi della propria attività solo la mattina stessa dell’episodio su richiesta di un correo che, per di più, non conosceva il ruolo degli altri presunti concorrenti del reato. L’argomento è inammissibile, in quanto introdotto in difetto di autosufficienza (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, COGNOME, rv. 256723), atteso che non allega al ricorso né trascrive gli atti da cui emergerebbe la segnalata illogicità della motivazione sulla dichiarazione resa a carico di COGNOME.
Il motivo è, nel complesso, infondato.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
La doglianza mossa dal ricorrente si risolve, infatti, in una ricostruzione alternativa delle evidenze probatorie sull’esistenza o meno del summit e sull’esistenza dell’ordine proveniente dal capoclan, che di per sé non è apprezzabile in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Camnnarata, Rv. 270519).
Nel giudizio di legittimità, infatti, il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova è molto ristretto, perchè non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori. Nel caso in esame, il ricorrente censura come profili di illogicità della motivazione quelle
che sono in realtà conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito sulla base della valutazione del materiale probatorio a sua disposizione.
La deduzione, poi, che non emergerebbe un vantaggio per la consorteria, ma solo per un singolo soggetto, oltre che non essere congruente con la ricostruzione dell’ordinanza impugnata secondo cui l’omicidio è stata una reazione ad altro omicidio del clan contrapposto avvenuto circa un mese prima, quindi un fatto commesso secondo una logica spiccatamente mafiosa, è anche non coerente con la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che la finalità dell’agevolazione delle attività dell’associazione non debba essere necessariamente il fine unico dell’azione, atteso che lo stesso può coesistere con esigenze private ed egoistiche (Sez. U, Sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734).
Il ricorso è, nel complesso, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17 maggio 2024
Il consigliere estensore
Il presidente