Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6053 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6053 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AGRIGENTO il 03/11/1986
avverso la sentenza del 17/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME del foro di AGRIGENTO, il quale conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 gennaio 2024, la Corte di appello di Palermo ha, tra l’altro, confermato quella con cui, il 21 maggio 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento ha dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati di tentato omicidio aggravato, detenzione e porto in luogo pubblico di arma clandestina, introduzione nello Stato, detenzione e cessione di arma clandestina e lo ha condannato alla pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato, di cinque anni e quattro mesi di reclusione, oltre che al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile NOME COGNOME
Le menzionate decisioni sono state adottate nell’ambito del procedimento scaturito dal ferimento, avvenuto il 28 aprile 2017 nella cittadina belga di Grace Hollogne, di NOME COGNOME colpito da un proiettile esploso da una pistola semiautomatica FN Browning cal. 7,65.
Nell’immediatezza del fatto, la vittima e la moglie riferirono che, intorno alle 23:45, dirigendosi, insieme al figlio, dal ristorante presso il quale entrambi svolgevano attività lavorativa verso la casa di abitazione, erano stati aggrediti da un uomo armato che aveva sparato all’indirizzo di Sacco alcuni colpi di pistola, uno dei quali, esploso nel corso della colluttazione che egli aveva ingaggiato con il malvivente, lo aveva raggiunto alla coscia.
La persona offesa, nell’ occasione, aggiunse che l’ignoto aggressore era, quindi, salito a bordo, dal lato anteriore passeggero, di una Alfa 147 di colore grigio metallizzato, lasciando in loco la pistola, della quale lo stesso COGNOME, dopo averla raccolta, si era servito per esplodere due colpi all’indirizzo del veicolo.
In relazione a tale episodio criminoso, si pongono, a carico di NOME COGNOME, le dichiarazioni confessorie rese negli interrogatori del 29 e del 30 maggio e dell’i giugno 2018, durante i quali egli ammise, tra l’altro, di essersi dedicato, in Belgio, al commercio di armi (che egli acquistava da trafficanti di origine balcanica e, dopo averne curato la manutenzione, rivendeva), una delle quali, una FN Herstal cal. 7,65, con il carrello verniciato in oro, aveva consegnato, in Italia, alla fine d 2016, a NOME COGNOME fratello della sua compagna NOME COGNOME.
Nei richiamati interrogatori, COGNOME aggiunse di essere stato coinvolto nell’attentato ai danni di NOME COGNOME ideato da NOME COGNOME e di avere partecipato all’agguato con ruolo di supporto all’esecutore materiale, cooperando, in specie, al reperimento del mezzo, sul quale erano state apposte targhe false, e dell’arma, ed ascrisse, in linea con quanto esposto da NOME COGNOME, al di lei fratello NOME la titolarità delle armi che, in occasione di una perquisizione, erano state rinvenute nel sottotetto dell’abitazione dell’uomo.
La successiva ritrattazione, a distanza di quasi un anno, della confessione così come delle accuse mosse a NOME COGNOME (calunniato, a dire di COGNOME, poiché contrario alla relazione sentimentale che egli intratteneva con la sorella NOME) non ha, tuttavia, indotto i giudici di merito a dubitare della sincerità dell’origina racconto, che hanno ritenuto, a dispetto delle generiche contestazioni dell’imputato, attendibile e credibile – perché preciso e circostanziato quanto al movente del delitto, alle sue modalità esecutive, ai ruoli ricoperti da ciascuno dei partecipi, all’arma ed ai mezzi utilizzati – vieppiù in quanto comprendente particolari (quali quelli concernenti: il colore dell’arma impiegata; la presenza di moglie e figlio della vittima; il modello dell’autovettura utilizzata per la fuga numero di colpi sparati; la pronta reazione della vittima, che era riuscita a disarmare il killer, a strappare il cappuccio della felpa che gli copriva il capo e ad esplodere alcuni colpi di pistola in direzione della macchina, attingendo la targa) che potevano essere noti solo a chi fosse stato realmente protagonista dell’episodio criminoso.
Giudice dell’udienza preliminare e Corte di appello hanno, sotto altro aspetto, concordemente attestato la correttezza della qualificazione giuridica della condotta illecita in termini di tentato omicidio anziché di lesioni personali, ricavando la prova dell’idoneità degli atti e dell’animus necandi dall’impiego di uno strumento ad altissima potenzialità offensiva, dall’esplosione dei colpi a breve distanza dalla vittima, dall’avere l’agente puntato l’arma alla testa di COGNOME, colpendolo alla gamba nel concitato contesto seguito alla colluttazione innescata dalla reazione della persona offesa.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali deduce vizio di motivazione per avere i giudici di merito illogicamente stimato l’attendibilità della sua confessione, successivamente ritrattata, ed essere, al contempo, pervenuti all’assoluzione di NOME COGNOME, pure raggiunto dalle originarie propalazioni, poscia radicalmente smentite.
Adombra, al riguardo, la possibilità che egli, essendo stato informato dagli autori materiali del delitto, abbia cercato di sfruttare le conoscenze maturate per lucrare eventuali benefici sul piano processuale e sanzionatorio per poi rinunciare a tale progetto perché spinto dal senso di colpa.
Segnala, ulteriormente, come la versione da lui esposta in prima battuta non sia confortata da alcun riscontro obiettivo di fonte esterna, quali le immagini registrate da apparati di videosorveglianza, l’esame dei tabulati telefonici e delle celle agganciate dal suo cellulare, il rinvenimento sull’arma di impronte a lui riconducibili.
Il ricorrente aggiunge, sotto altro aspetto, che la decisione impugnata appare palesemente contraddittoria nella parte in cui giustifica l’assoluzione di NOME COGNOME in ragione dell’assenza di riscontri alle sue originarie dichiarazioni accusatorie senza tener conto del contributo di NOME COGNOME in ordine alla titolarità, in capo al fratello, delle armi rinvenute presso la sua abitazione.
Con il secondo motivo, COGNOME lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica della condotta in chiave di tentato omicidio e non già di lesioni personali, che, a suo modo di vedere, avrebbe dovuto essere esclusa in considerazione del fatto che la persona offesa non è stata attinta in zone vitali né è stata esposta a pericolo di vita in conseguenza della ferita riportata agli arti inferiori.
Ricorda come, in proposito, la sussistenza degli elementi costitutivi, sul piano sia materiale che psicologico, del delitto ipotizzato deve essere apprezzata sulla base delle evidenze disponibili – in relazione, precipuamente: ai mezzi usati; alla direzione ed all’intensità dei colpi; alla distanza dal bersaglio; alle parti del corp attinte; alle situazioni di tempo e di luogo che hanno connotato l’azione cruenta tenendo conto sia degli atti preparatori che di quelli esecutivi ed avendo cura, in particolare, di acclarare, con il prescritto coefficiente di certezza, se la condott criminosa sia stata o meno sorretta da effettivo animus necandi, pervenendo, in caso di esito negativo dell’indagine, all’inquadramento del fatto nella meno grave figura delittuosa.
4. Il 22 novembre 2024 l’avv. NOME COGNOME ha depositato, nell’interesse della parte civile, NOME COGNOME conclusioni scritte con allegata nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, occorre rilevare come non possa tenersi conto, nel presente giudizio di legittimità, svoltosi nelle forme della trattazione orale, delle conclusio rassegnate per iscritto dalla parte civile, il cui difensore non ha partecipato all’udienza di discussione del ricorso.
Tanto, in ossequio al condiviso canone ermeneutico secondo cui «nel giudizio di legittimità non può tenersi conto delle conclusioni depositate in cancelleria dal difensore della parte civile, dovendo egli, in virtù dell’espresso richiamo effettuato dall’art. 614, comma 1, cod. proc. pen., alle norme regolanti lo svolgimento della discussione nei giudizi di merito di primo e di secondo grado, formulare e illustrare oralmente le proprie conclusioni in udienza, facendo seguire alle stesse la presentazione di una sintesi scritta, a norma dell’art. 523, comma 2, cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 51174 del 01/10/2019, COGNOME, Rv. 278012 – 02; Sez. 3, n. 47279
del 12/09/2019, A., Rv. 277348 – 01; Sez. 2, n. 38713 del 06/06/2014, COGNOME, Rv. 260519 – 01).
Il ricorso di NOME COGNOME è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che «In tema di valutazione della prova, la confessione può essere posta a base del giudizio -di colpevolezza dell’imputato anche in caso di ritrattazione, laddove il giudice, apprezzandone favorevolmente la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornisca ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto, e debba ritenersi inverosimile la successiva ritrattazione» (Sez. 1, n. 34356 del 20/06/2024, T., Rv. 266996 – 01; nello stesso senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 43681 del 13/05/2015, Tornicchio, Rv. 264746 – 01; Sez. 1, n. 14623 del 04/03/2008, Abbrescia, Rv. 240114 – 01).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno debitamente illustrato – nei termini sopra indicati e senza incorrere in profili di manifesta illogicità contraddittorietà – le ragioni che li hanno indotti a ritenere pienamente attendibile la confessione dell’imputato, a fronte delle quali il ricorrente si limita ad evocare, in modo tangibilmente generico, un presunto, ed indimostrato, travisamento delle emergenze istruttorie, nonché a proporre una lettura alternativa dell’incostante contegno processuale di COGNOME (il quale, venuto a parte di circostanze inerenti ad una vicenda cui egli era, in realtà, rimasto estraneo, avrebbe approfittato dell’acquisito bagaglio di conoscenze in vista della fruizione di eventuali benefici) intrinsecamente assai fragile già sul pietno razionale e, per di più, sfornita di qualsivoglia elemento di conferma.
La doglianza del ricorrente si palesa, dunque, priva di pregio; né, va opportunamente aggiunto, essa trova giovamento dall’evocazione della contemporanea assoluzione di NOME COGNOME in relazione ai reati ascrittigli ai capi D) ed E), originata dalla diversa valutazione delle dichiarazioni eteroaccusatorie rispetto a quelle confessorie e dal conseguente venir meno del riscontro esterno costituito dal rinvenimento delle armi in un locale accessibile allo stesso COGNOME, oltre che di NOME COGNOME; ragionamento, quello seguito dalla Corte di appello, che non contraddice, in diritto, la differente fiducia riposta nell dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’imputato, correlata alla elementare considerazione di ordine logico che induce ad apprezzare con maggiore cautela le accuse rivolte a terzi, rispetto alle ammissioni di propria responsabilità, oltre che alla comprovata inattendibilità della narrazione compiuta all’atto della ritrattazione.
Parimenti incensurabile è il ragionamento seguito dalla Corte di appello in ordine alla qualificazione giuridica della condotta, che si palesa pienamente sintonica con il pacifico indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di omicidio tentato, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell'”animus necandi” assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata “ex post” ma con riferimento alla situazione che si presentava “ex ante” all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso» (Sez. 1, n. 11928 del 29/01/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012 – 01).
Per quanto concerne, invero, l’idoneità ed univocità degli atti ed il requisito psicologico che ha connotato l’azione illecita, i giudici palermitani hanno tratto argomento, in perfetta coerenza con gli enunciati ermeneutici che governano l’istituto del delitto tentato, in primis dalla micidialità dell’arma impiegata nell’aggressione, che l’autore materiale puntò alla testa della vittima per poi esplodere, con il braccio teso, una pluralità di colpi che non ebbero conseguenze letali a cagione della reazione di COGNOME che impedì all’aggressore di raggiungere l’obiettivo, posto che uno solo dei proiettili esplosi si conficcò nella gamba della persona offesa la quale, subito dopo, riuscì a disarmare l’attentatore e ad impadronirsi, a sua volta, della pistola.
Priva di pregio si palesa pertanto l’obiezione difensiva imperniata sul rilievo che la vittima è stata attinta in zona del corpo non vitale e non ha mai corso pericolo di vita; stando, infatti, alla ricostruzione, esente da vizi logici di so operata dalla Corte di appello, l’insuccesso dell’azione omicida deve essere ricollegato alla resistenza della persona offesa anziché ad autonoma decisione dell’autore materiale di un’aggressione che, si ribadisce, si concretizzò nell’esplosione di reiterati colpi di pistola da parte di un agente che, a braccio teso, aveva mirato alla testa della vittima.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigétta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso il 26/11/2024.