Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5820 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5820 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NOCERA INFERIORE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/03/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento sopra indicato, la Corte di Appello di Salerno confermava la decisione del tribunale che aveva condannato NOME COGNOME per detenzione e porto di arma comune clandestina.
L’imputato ha confessato, con una dichiarazione scritta consegnata ai Carabinieri di Nocera Inferiore, di aver commesso una rapina il giorno prima, insieme a un complice armato di pistola giocattolo, aggiungendo che questo ultimo aveva anche la disponibilità di un’altra arma che egli consentiva di far rinvenire agli inquirenti, dietro un lavandino di un casolare abbandonato, all’interno di un borsello simile a quello indossato da uno dei rapinatori. Nel successivo interrogatorio, l’imputato ha confermato la precedente confessione, sostenendo la propria estraneità sull’arma di cui al capo d’imputazione e affermando di non averla mai “posseduta” ma di averlo saputo attraverso “voci da bar”. L’arma giocattolo, invece, non è mai stata ritrovata.
La sentenza impugnata ritiene che la rapina sia stata consumata utilizzando proprio la pistola con la matricola abrasa sulla base del confronto effettuato tra le foto del sequestro di tale arma e i fotogrammi estratti dalle riprese video acquisite durante le indagini.
Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione NOME COGNOME, con rituale ministero difensivo, affidandosi a due motivi.
Con il primo motivo, egli denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge processuale in relazione all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. e il vizio della motivazione su detto punto: la confessione scritta sarebbe dovuta essere considerata inutilizzabile come già eccepito in udienza; la motivazione sarebbe da ritenere viziata sulla ritenuta non attendibilità della diversa successiva versione resa dall’imputato in relazione all’arma clandestina e, poiché essa è stata assunta in violazione dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., non poteva essere utilizzata. Il ritrovamento dell’arma sulla base delle indicazioni rese dall’imputato non consentirebbe di dimostrare che egli l’abbia effettivamente detenuta e portata in luogo pubblico.
Si contesta, inoltre, la ritenuta corrispondenza dell’arma in sequestro con quella utilizzata per la rapina poiché essa non è stata oggetto di alcuna testimonianza da parte della polizia giudiziaria, né tale circostanza risulta essere stata considerata nell’informativa di reato.
Con il secondo motivo, egli denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod. pen., a seguito della modifica dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022,
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150, poiché la condotta susseguente al reato consistita nel far recuperare alla polizia giudiziaria l’arma clandestina dovrebbe consentire di applicare all’imputato la causa di non punibilità per la particolare tenuità dell’offesa.
È stata anche depositata dal difensore una memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale con cui insiste nell’accoglimento del ricorso.
Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi di ricorso risultano essere manifestamente infondati, quindi, meritevole di una dichiarazione d’inammissibilità.
Ferma restando la possibilità di acquisire, anche d’ufficio, qualsiasi documento proveniente dall’imputato ai sensi dell’art. 237 cod. proc. pen., non coglie nel segno la doglianza, già confutata dai giudici di appello, secondo cui la confessione scritta consegnata ai Carabinieri sarebbe inutilizzabile ai fini della decisione. Va considerato, infatti, che «i documenti prodotti nel corso delle sommarie informazioni testimoniali rese senza le garanzie difensive da una persona che doveva essere sentita fin dall’inizio in qualità di indagato sono utilizzabili, in quanto il divieto previsto dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pe riguarda solo le dichiarazioni e non anche i documenti o le memorie prodotte nel corso dell’atto istruttorio» (Sez. 3, n. 48831 del 04/05/2018, Rv. 274743).
In ogni caso, nel successivo interrogatorio reso dall’imputato con le garanzie difensive egli ha, come già correttamente scritto nella sentenza d’appello, sanato ogni vizio confermandone il contenuto, salvo modificare la parte in cui aveva affermato di sapere della detenzione di un’arma da parte del complice, aggiungendo di aver avuto tale notizia da una “voce da bar”. Tale assunto è peraltro smentito dal fatto che egli ha condotto i Carabinieri nel luogo in cui essa era occultata, così dimostrando di averne la diretta disponibilità, infatti, «ai fi della configurabilità del concorso in detenzione o porto illegale di armi, è necessario che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne» (Sez. 1, n. 6796 del 22/01/2019, Rv. 274806).
2.1. La doglianza relativa alla ritenuta mancanza di prova sulla corrispondenza dell’arma in sequestro con quella utilizzata per la rapina è altrettanto manifestamente infondata.
Va, infatti qui ribadito che «in tema di valutazione della prova, le percezioni che il giudice trae direttamente dal processo e dai suoi atti, avendo natura di dati ed elementi che ritualmente entrano a far parte della sfera di cognizione del predetto, ben possono essere oggetto di valutazione e confronto con le ulteriori acquisizioni probatorie. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la valutazione, come prova a carico, del confronto, operato dallo stesso giudice di merito, tra le immagini di videosorveglianza e quelle del cartellino di riconoscimento dell’imputato sul posto di lavoro, da cui si era inferita l’identità del volto dei soggetti effigiati)» (Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, Rv. 285441)
Riguardo al secondo motivo di ricorso, occorre osservare che la sentenza è stata emessa del 17 marzo 2023, quindi, in data successiva all’entrata in vigore (30 dicembre 2022) delle predette modifiche sull’art. 131-bis cod. pen. ad o ra dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 150 del 2022. Da ciò, la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, doveva essere oggetto di specifica richiesta nel processo d’appello e in difetto di tale richiesta il relativo motivo è da ritenere manifestamente infondato.
In ogni caso, questa Corte ha già affermato che la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, non potrà, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen.
Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere,~ dichiarato inammissibile, e il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
a COGNOME Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle O .(9,’ spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle a o · ) C2 . cv <n !- o .. COGNOME ammende.
COGNOME
Così deciso il 24/10/2023