Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1948 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1948 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 26/10/1988 a FASANO
avverso la sentenza in data 11/10/2023 della CORTE DI APPELLO DI LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la nota dell’Avvocato NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 11/10/2023 della Corte di appello di Lecce, che ha confermato la sentenza in data 04/10/2016 del Tribunale di Brindisi, che lo aveva condannato per il reato di ricettazione.
Deduce:
1. Violazione di legge e vizio di manifesta illogicità e di contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 648 e 648-bis cod. pen.
Il ricorrente assume che il Tribunale di Brindisi ha affermato la responsabilità dell’imputato per i reati di ricettazione e di riciclaggio di autovetture nonostante la
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piena e dettagliata confessione resa da COGNOME che si è dichiarato autore dei furti delle stesse autovetture oggetto delle condotte delittuose contestategli.
Deduce, poi, che la Corte di appello si è conformata alla sentenza del giudice di primo grado, che aveva contraddittoriamente ritenuto non attendibili le dichiarazioni confessorie, pur riconoscendo la sussistenza di circostanze attenuanti generiche proprio sulla base delle dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’imputato.
«Quindi -scrive la difesa- sembrerebbe che le dichiarazioni autoaccusatorie del Lacatena sarebbero vere al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche e all’unisono non attendibili laddove deve procedersi alla derubricazione dei reati contestati».
Denuncia, dunque, l’erroneità della qualificazione giuridica ritenuta dai giudici di merito, contestata sin dal primo grado di giudizio là dove era stato rimarcato come le dichiarazioni confessorie fossero circostanziate oltre che supportate dalle dichiarazioni rese dagli operanti di polizia giudiziaria.
A sostegno dell’assunto vengono riportate le dichiarazioni confessorie e le dichiarazioni dei testimoni di polizia giudiziaria; viene altresì enunciato il principi di diritto fissato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 46337 del 2019 che si assume applicabile alla fattispecie in esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e perché propone questioni non consentite in sede di legittimità.
1.1. Secondo il ricorrente la motivazione sarebbe contraddittoria perché i giudici della doppia sentenza conforme hanno negato la derubricazione della ricettazione e del riciclaggio in furto sul presupposto della inverosimiglianza delle dichiarazioni confessorie rese da COGNOME ma, al contempo, hanno riconosciuto le circostanze attenuanti generiche valorizzando proprio quelle stesse dichiarazioni confessorie prima ritenute inattendibili.
4:2.. Il vizio di contraddittorietà così denunciato, però, non trova riscontro e, anzi, viene smentito già dalla sentenza di primo grado, dove il giudice ha bensì espresso un giudizio opposto rispetto a quanto dichiarato da COGNOME, ma rispetto a due temi ben distinti in esse individuabil: l’uno riferito ai furti delle autovetture; l riferito al riciclaggio.
In tal senso, il giudice di primo grado ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni con cui COGNOME si autoaccusava dei furti, in quanto i dettagli da lui riferiti risultavano per tabulas dagli atti versati nel processo e visto che risultava reo confesso del reato di riciclaggio; al contempo, il giudice ha ritenuto credibile COGNOME nella parte in cui confessava le condotte di riciclaggio e, anzi, tali dichiarazioni -per come appena visto- venivano valorizzate per rimarcare l’inattendibilità della confessione relativa ai furti.
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La Corte di appello ha ulteriormente arricchito il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni confessorie rese da COGNOME sui furti.
A tal proposito ha osservato che esse non trovavano riscontro nelle dichiarazioni rese dagli operanti di polizia giudiziaria, in quanto queste non erano riferibili ai furti costituenti il reato presupposto dei delitti in contestazione. I giu della Corte di merito hanno altresì osservato che il narrato di COGNOME si presentava confuso, vago, contraddittorio e privo di dettagli ulteriori rispetto ai contenuti già evincibili dagli atti venuti a sua conoscenza nel corso del processo, così che non poteva ritenersi raggiunta la prova contraria dell’estraneità dell’imputato al reato presupposto.
Così chiarita la struttura argomentativa della doppia sentenza conforme, emerge che le dichiarazioni confessorie valorizzate per ritenere le circostanze attenuanti generiche sono quelle riferite al riciclaggio (e ritenute credibili), ma non anche quelle relative ai furti (ritenute inattendibili).
Da ciò la doppia ragione d’inammissibilità delle deduzioni difensive.
In primo luogo, manca palesemente la dedotta contraddittorietà della motivazione e da ciò discende la manifesta infondatezza dei motivi d’impugnazione in esame.
In secondo luogo, i giudici hanno correttamente negato la derubricazione con motivazione conforme al principio di diritto in forza del quale «ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione non occorre la prova positiva che l’imputato non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario (Sez. 2, n. 4434 del 24/11/2021, dep. 2022, Desideri, Rv. 282955 – 01).
Prova positiva che, per quanto esposto, è stata ritenuta mancante.
2. A tutto ciò si aggiunga che, a fronte di una motivazione adeguata, logica e non contraddittoria, le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto delle regole di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e dei principi di diritto vigenti in materia.
Questa Corte ha costantemente chiarito che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non
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assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso” (Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; non massimate: Sez. 2, n. 25517 del 06/03/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 19930 del 22/02/2019, Ferrari). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.
Vale ricordare, allora, che i vizi di motivazione possono essere esaminati in sede legittimità allorquando, non propongano censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr.,Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997) le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente e idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum.
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 dicembre 2024 Il Consigliere estensore
Il Presidente