Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 640 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 640 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a GALLIATE il 21/03/1965 COGNOME nato a MILANO il 14/12/1979
avverso la sentenza del 18/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
.., letta la requisitoria del Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità deig ricorsi
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale il 26/05/2021 il TribLnale di Lodi aveva dichiarato, all’esito di rito ordinario, COGNOME NOME e COGNOME NOME responsabili del reato di cui agli artt.56,110, 624 e 625 n.2 cod. pen. perché, in concorso tra loro e al fine di profitto, avevano compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a impossessarsi di più prodotti (alimentari e non) del valore totale di euro 127,24 che, dopo aver prelevato dai banchi di vendita all’ipermercato «Famila» di Sant’Angelo Lodigiano, avevano occultato nelle proprie borse per poi dirigersi verso le casse effettuando unicamente il pagamento di altra merce; non riuscendo nell’intento per l’intervento degli operatori, che avevano seguito tutte le fasi dell’impossessamento fermandole dopo le casse. Fatto commesso il 17 febbraio 2017 1 in Sant’Angelo Lodigiano/con la recidiva specifica e infraquinquennale per COGNOME Rosa.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
con il primo motivo lamentano che la querela, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, non stata presentata dal direttore dell’ipermercato ma da altro soggetto, tale NOME COGNOME privo della qualifica in quanto il teste NOME COGNOME ha confermato la propria qualifica di direttore negando di aver presentato querela contro il responsabile del reato. La querela è stata presentata da soggetto che non è la persona offesa dal reato, essendo altresì privo di poteri di rappresentanza. Confondendo i due soggetti e attribuendo al secondo la qualifica di direttore, la Corte ha errato nel valutare le prove assunte in giudizio;
con il secondo motivo deducono l’erronea applicazione degli artt. 336 e 337, comma 3, cod. proc. pen. per mancanza della condizione di procedibilità e vizio di motivazione sul punto in quanto la Corte di appello, ritenendo inammissibile il relativo motivo, ha omesso di motivare le ragioni del rigetto. In primo grado era emerso che il sig. COGNOME indicato erroneamente come persona offesa nel decreto di citazione a giudizio, non rivestisse affatto tale qualifica, nè era stato provato chi avesse la titolarità dei beni di cui si era tentato il furto n chi fosse il soggetto che potesse essere qualificato come persona offesa dal reato. Il COGNOME, inoltre, era privo di procura speciale avendo allegato una procura rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE risalente a sei anni prima. Non è stata provata in giudizio la titolarità della RAGIONE_SOCIALE in relazione ai beni oggetto del reat contenuti nell’ipermercato e, d’altro canto, la procura conferita dalla RAGIONE_SOCIALE
al Verri non poteva considerarsi speciale, ossia riferita specificamente al caso in esame come richiesto dall’art.336 cod. proc. pen.;
con il terzo motivo deducono l’illegittima inversione dell’onere della prova in ordine alla validità della querela e della procura speciale. L’onere di allegare alla querela la procura speciale, con l’indicazione anche dei poteri di rappresentanza, è posto dalla legge a carico del querelante;
con il quarto motivo deducono inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 162 ter, comma 1, cod. pen. nonché vizio di motivazione sul punto in quanto le ricorrenti avevano riparato il danno attraverso le restituzioni prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e prima ancora dell’arrivo delle forze dell’ordine all’interno del supermercato. La motivazione offerta sul punto dalla Corte non è condivisibile, avendo le imputate restituito subito spontaneamente la merce e dovendosi considerare la loro condotta collaborativa, spontanea e libera, in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte territoriale. Inoltre, l’art.162 ter cod. pen. non subordina l’efficacia del beneficio al fatto che le restituzioni avvengano spontaneamente, per cui la Corte ha previsto una causa di esclusione del beneficio, ossia la spontaneità, non contemplata dalla normativa vigente;
con il quinto motivo deducono violazione dell’art. 162 ter, comma 2, cod. pen. nonché vizio di motivazione sul punto / in quanto le ricorrenti avevano chiesto, sin da prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e, successivamente, in sede di conclusioni finali, di poter risarcire il maggior danno che la persona offesa aveva patito, in caso di riqualificazione del fatto in tentato furto semplice, non essendo possibile l’applicazione dell’art.162 ter cod. pen. al tentato furto aggravato contestato, ma il -Tribunale non aveva preso in considerazione tale richiesta. Le imputate non hanno potuto presentare prima l’offerta reale risarcitoria in quanto la riqualificazione del fatto in tentato fu semplice è avvenuta solo con la sentenza di primo grado, per cui avrebbero avuto diritto ad essere rimesse in termini; ma la Corte milanese ha rigettato la richiesta sostenendo che le imputate avrebbero potuto farlo nelle more del giudizio di appello senza necessità di rimessione in termini. Tale motivazione non è corretta in quanto contraria al dispositivo del secondo comma dell’art. 162 ter cod. pen., che prevede espressamente che l’imputato debba formulare richiesta di concessione di un termine per procedere al pagamento e che questo termine venga assegnato dal giudice procedente, non essendo prevista la possibilità di pagare senza la predetta preventiva concessione di esso. Le ricorrenti hanno chiesto alla Corte di legittimità la rimessione in termini allegando al ricorso offerta reale del maggior importo di euro 200 rispetto al risarcimento dovuto secondo il ‘tribunale, pari a euro 150.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati in quanto in contrasto con la giurisprudenza espressa dal massimo consesso della Corte di legittimità (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01), laddove ha riconosciuto la legittimazione a presentare querela in capo al responsabile di un supermercato ancorchè non munito di poteri di rappresentanza del proprietario.
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato in quanto, secondo quanto già affermato dalla Corte di legittimità «La causa estintiva del reato per condotte riparatorie di cui all’art. 162 ter cod. pen. presuppone condotte restitutorie o risarcitorie spontanee destinate definitivamente ad incrementare la sfera economica e giuridica della persona offesa, non essendo configurabile nel caso di sola restituzione del bene sottratto» (Sez. 5, n. 2490 del 13/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280253 – 01).
Il quinto motivo di ricorso è infondato.
3.1. L’art. 162 ter cod. pen. prevede che «Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato». La medesima norma, inoltre, prevede la disposizione secondo la quale il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche se effettuato mediante offerta reale formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, se il giudice ritenga l’offerta congrua, e che, a determinate condizioni, il giudice può fissare un termine per consentire all’imputato di provvedere al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento.
3.2. Per i processi per i quali il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento si collochi in data successiva all’entrata in vigore della legge n.103 cit., come quello in esame, l’applicabilità della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 162 ter cod. pen., è subordinata alla triplice condizione che la condotta riparatoria sia intervenuta entro quel termine processuale, che siano
state sentite le parti e che la congruità della somma sia stata valutata dal giudice di merito.
3.3. A tale conclusione conduce il tenore letterale della disposizione in esame, secondo la quale, prima della pronuncia della sentenza di estinzione del reato, devono essere «sentite le parti e la persona offesa»; tale audizione, che indubbiamente spetta al giudice di merito, deve ritenersi funzionale alla valutazione della congruità delle restituzioni e dei risarcimenti e dell’eliminazione «ove possibile» delle conseguenze dannose o pericolose del reato in relazione ad una condotta riparatoria comunque avvenuta «entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado», I risarcimenti e le riparazioni possono essere ritenuti satisfattivi dal giudice, anche quando non accettati dalla persona offesa, ma tale valutazione di congruità è imprescindibile.
3.4. Nel caso in esame le ricorrenti invocano, in sostanza, un «adattamento» della indicata disciplina in relazione ai giudizi per i quali la procedibilità a querela sia conseguenza di una diversa qualificazione del reato allorchè il processo abbia già superato la fase di merito.
Per dare soluzione alla questione proposta con il ricorso, occorre ricordare che la disposizione di cui all’art. 162 ter cod. pen. prevede una nuova causa di estinzione «riparatoria» del reato con cui, da un lato, si valorizza un comportamento susseguente la condotta illecita che determina, nell’ambito di un conflitto di natura sostanzialmente privatistica (reato punibile a querela suscettibile di remissione), il venir meno dell’esigenza punitiva, a fronte della piena restaurazione dell’interesse leso; dall’altro, si pe’segue un intento deflattivo, giustificato dall’insussistenza della necessità riecLicativa a mezzo di ulteriori condotte risocializzanti, stante la neutralizzazione del danno arrecato alla vittima, in attuazione del principio dell’extrema ratio del ciritto penale.
4.1. In questa prospettiva il legislatore ha inteso proseguire nel solco già intrapreso con l’art. 35, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che ccnsente al giudice di pace di dichiarare l’estinzione dei reati di sua competenza in seguito a condotte riparatorie del reo, al di fuori dell’ipotesi di remissione della querela riconoscendo l’inutilità dell’accertamento del fatto lesivo di un interesse privato il cui disvalore sia stato concretamente annullato dalla condotta di colui che l’ha violato. Anche in questo caso, così come nell’ipotesi delineata dall’art. 35 cit., la valutazione della congruità del risarcimento è rimessa al giudice ed è indipendente dalla volontà della persona offesa, che deve essere semplicemente «sentita», ciò assicurando il contraddittorio in ordine all’entità della lesione, ma anche un meccanismo che consenta al giudice di superare il dissenso e l’eventuale perdurante volontà punitiva del querelante.
4.2. La disposizione in esame prevede che la condotta riparatoria debba precedere la celebrazione del processo, non realizzandosi altrimenti l’effetto deflattivo che condiziona l’istituto e che coniuga la neutralizzazione del danno e la rilevanza penale concreta del fatto con la necessità di evitare il processo, laddove il suo accertamento e l’applicazione della sanzione penale si dimostrino non solo un irragionevole dispendio di risorse, ma una sproporzionata reazione dello Stato rispetto a una condotta violativa di un interesse esclusivamente privato e ad un soggetto che ha volontariamente provveduto alla sua riparazione.
4.3. D’altro canto, è proprio la tempestività dell’offerta riparatoria che consente al giudice di verificare la congruità del risarcimento, in quanto portatore dell’interesse statuale alla deflazione processuale perseguita dall’ordinamento, essendo altrimenti rimessa, nel corso del procedimento, alla sola valutazione della persona offesa la possibilità di apprezzare l’insussistenza della permanenza del proprio interesse alla punizione, attraverso la remissione della querela.
4.4. Per assicurare il perseguimento di siffatto duplice scopo (riparazione e deflazione processuale) il legislatore scandisce il termine entro il quale deve intervenire il comportamento susseguente del reo, idoneo a elidere ex post il danno prodotto dal reato, attraverso un sistema che assicura sia il risarcimento del danno causato dal reato, sia la possibilità per il reo di provvedervi, in assenza dell’accettazione dalla persona offesa, attraverso l’offerta reale, sia, infine, nell’impossibilità non addebitabile di adempiere entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, quella di provvedervi ratealmente, attraverso la richiesta e la concessione di un termine non superiore a sei mesi, accompagnata dalla sospensione del processo e della prescrizione (ai sensi dell’ari:. 162 ter, comma 2 cod. pen.).
Occorre ora stabilire quale sia la procedura da seguire in caso di riqualificazione del reato contestato in furto semplice. Nel negare la sussistenza della condotta idonea alla riparazione, nel senso inteso dal disposto normativo, la Corte territoriale ha ritenuto, da un lato, che il rifiuto dell’istanza da parte de primo giudice fosse giustificata dal fatto che in quella fase non potesse procedersi alla riformulazione del capo d’imputazione; dall’altro, che non fosse stata eseguita alcuna offerta reale e che per tale ragione neppure in fase di appello potesse accedersi alla richiesta del termine «per formulare offerta reale risarcitoria», che si sarebbe potuta e dovuta formulare al più tardi con l’atto di appello.
5.1. A ciò le ricorrenti oppongono la violazione di legge e il vizio motivazionale, non avendo il giudice tenuto conto del fatto che non avessero potuto procedere al pagamento per fatto loro non imputabile, evidenziando di aver formulato tempestiva istanza. E’ bene considerare che l’ordinanza di rigetto dell’istanza da parte del giudice di primo grado, a fronte della perseguibilità d’ufficio del reato ritenuto aggravato dal mezzo fraudolento, svincolava le imputate dal rispetto delle formalità dell’offerta e dall’adempimento entro un termine non assegnato. In una simile situazione, non potendo riflettersi l’errore nella contestazione, acclarato con la sentenza di primo grado, sulla possibilità di estinguere il reato attraverso un attivo comportamento risarcitorio, a fronte di un reato perseguibile a querela, la Corte territoriale, preso atto della volontà riparatoria tempestivamente manifestata, ha evidentemente verificato le ragioni concrete dell’impossibilità di adempiere entro l’apertura del dibattimento, tenuto conto dell’incidenza dell’erroneità della contestazione sui requisiti di ammissibilità dell’istanza. Con riguardo, invece, all’istanza di concessione del termine di cui all’art. 162 ter cod. pen., il giudice di appello non ha ravvisato alcuna ragione per accoglierla.
5.2. La doglianza mossa dalle ricorrenti presuppone un’interpretazione del diritto all’assegnazione del termine previsto dall’art.162 ter, comma 2, cod. pen. che esula dalle finalità di tale disposizione, la cui ratio è quella di consentire al giudice di calibrare discrezionalmente i termini della condotta riparatoria, e la sua eventuale rateizzazione, tenendo conto di particolari condizioni soggettive dell’imputato, debitamente allegate. Nel caso in esame, dunque, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che l’istanza non potesse essere esaminata, avendo rilevato l’omessa offerta reale della somma riparatoria anche successivamente alla pronuncia di primo grado, in assenza di allegazioni a sostegno dell’istanza di concessione di un termine. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, tale fattore impeditivo ‘rispetto alla condotta riparatoria non avrebbe potuto identificarsi nella qualificazione del fatto come furto aggravato giacchè la derubricazione del fatto in furto semplice, per quanto idonea a giustificare l’applicazione della causa estintiva anche in ipotesi di condotte riparatorie poste in essere successivamente al termine previsto dall’art.162 ter, comma 1, cod. pen., non sarebbe stata di per sé sufficiente a giustificare anche la concessione del termine previsto dall’art.162 ter, comma 2 / cod. pen.
94/
Tali sono le ragioni per le quali i ricorsi devono essere rigettati, con GLYPH l condanna delle ricorrenti, ai sensi dell’art,616 cod. proc. pen., al pagamento , delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 novembre 2023
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