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Condotte riparatorie: la valutazione del giudice

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27412/2025, ha stabilito che per l’estinzione del reato per condotte riparatorie non è sufficiente un accordo tra reo e vittima. Il giudice deve sempre valutare in modo autonomo la congruità della riparazione. Nel caso di un furto aggravato, la Corte ha ritenuto inadeguato un risarcimento parziale e la restituzione non spontanea della merce, confermando così la decisione dei giudici di merito di non estinguere il reato.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Condotte Riparatorie: La valutazione del giudice è decisiva

L’istituto delle condotte riparatorie, introdotto dall’articolo 162-ter del codice penale, rappresenta un’importante causa di estinzione del reato. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27412/2025) ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo tra l’imputato e la persona offesa non è sufficiente a garantire l’estinzione del reato. La decisione finale spetta sempre al giudice, che deve compiere una valutazione autonoma sulla “congruità” della riparazione. Analizziamo questa importante pronuncia.

I fatti del processo: un furto e una riparazione parziale

Il caso riguarda due persone indagate per furto aggravato. Erano state arrestate in flagranza di reato per aver sottratto merce del valore di circa 280 euro da un negozio, rimuovendo le placche antitaccheggio e commettendo quindi “violenza sulle cose”.

Successivamente, le indagate avevano chiesto l’estinzione del reato per condotte riparatorie. A sostegno della loro richiesta, evidenziavano di aver restituito la merce e di aver versato una somma di 150 euro, a loro dire concordata con i responsabili dell’esercizio commerciale come risarcimento congruo. Sia il Tribunale di primo grado che il Tribunale del riesame avevano però respinto la richiesta, ritenendo insussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 162-ter c.p.

La decisione della Corte di Cassazione

Le indagate hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’erroneità della decisione dei giudici di merito. Sostenevano che la merce era stata restituita integra e che la somma versata era stata accettata dal negozio. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni precedenti e fornendo chiarimenti cruciali sul ruolo del giudice nella valutazione delle condotte riparatorie.

Le motivazioni: la congruità delle condotte riparatorie va oltre l’accordo tra le parti

Il cuore della motivazione della Corte risiede nel potere-dovere del giudice di valutare autonomamente la congruità della riparazione, a prescindere da eventuali accordi intervenuti tra l’imputato e la persona offesa. La norma, infatti, rimette integralmente al giudice questo compito.

Nel caso specifico, la valutazione dei giudici è stata ritenuta logica e corretta sulla base di diversi elementi oggettivi:

1. Risarcimento Incompleto: La somma versata (150 euro) era palesemente inferiore al valore della merce sottratta (circa 280 euro).
2. Mancanza di Spontaneità: La restituzione dei beni non è avvenuta per iniziativa spontanea delle indagate, ma è stata una conseguenza diretta del loro arresto da parte della Polizia Giudiziaria.
3. Incertezza sulla Vendibilità: Non vi era alcuna prova che la merce, dopo la rimozione forzata delle placche antitaccheggio, fosse ancora in condizioni perfette per essere rimessa in vendita.

Questi fattori, nel loro complesso, hanno portato il giudice a escludere che la riparazione offerta fosse “congrua” e quindi idonea a determinare l’estinzione del reato.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza ribadisce che l’istituto delle condotte riparatorie non è un automatismo basato su accordi privati. Per poter beneficiare dell’estinzione del reato, l’imputato deve porre in essere una condotta che sia integralmente satisfattiva per la vittima e che il giudice, nella sua discrezionalità, ritenga adeguata a eliminare le conseguenze dannose del reato. Un risarcimento parziale, una restituzione forzata o una riparazione non completa non sono sufficienti. Questa decisione sottolinea l’importanza di una riparazione effettiva e totale, confermando che la finalità deflattiva della norma non può prevalere sulla necessità di una reale e congrua compensazione del danno provocato.

Un accordo tra l’imputato e la vittima sul risarcimento è sufficiente per ottenere l’estinzione del reato per condotte riparatorie?
No. La sentenza chiarisce che l’accordo tra le parti non è vincolante per il giudice, il quale deve sempre valutare autonomamente la “congruità” della riparazione ai sensi dell’art. 162-ter del codice penale.

Quali elementi valuta il giudice per decidere sulla congruità delle condotte riparatorie?
Il giudice valuta diversi elementi: l’entità del risarcimento economico rispetto al danno causato, la spontaneità della restituzione dei beni e lo stato dei beni restituiti (se sono ancora vendibili). Nel caso specifico, il risarcimento era parziale, la restituzione non spontanea e non c’era prova della vendibilità della merce.

La restituzione della merce rubata è sempre considerata una condotta riparatoria valida?
Non automaticamente. La Corte ha specificato che la validità della restituzione è compromessa se non avviene spontaneamente. Nel caso esaminato, la restituzione è stata una conseguenza dell’intervento della Polizia Giudiziaria dopo l’arresto, un fattore che ha inciso negativamente sulla valutazione della condotta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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