Condotta riparatoria: non basta pagare per estinguere il reato
L’istituto della condotta riparatoria, introdotto dall’articolo 162-ter del codice penale, rappresenta un’importante opportunità per l’imputato di ottenere l’estinzione del proprio reato attraverso il risarcimento del danno. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 43299/2024) chiarisce i confini e i presupposti di questa norma, sottolineando che non ogni offerta economica è sufficiente a estinguere il procedimento. Vediamo nel dettaglio cosa ha stabilito la Suprema Corte.
I fatti del caso e le decisioni dei giudici di merito
Il caso nasce dal ricorso di un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro. L’imputato si era visto negare l’applicazione della causa di estinzione del reato per condotta riparatoria. A suo avviso, aveva adempiuto ai requisiti di legge, ma i giudici di merito avevano ritenuto la sua offerta risarcitoria non congrua a coprire l’intero danno derivante dal reato.
La difesa dell’imputato ha quindi deciso di presentare ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di legge e di motivazione nella decisione della Corte territoriale.
L’inammissibilità del ricorso e la valutazione della condotta riparatoria
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni fondamentali.
In primo luogo, ha evidenziato come i motivi del ricorso fossero una mera reiterazione di quanto già discusso e respinto in appello. Un ricorso in Cassazione, per essere valido, deve contenere una critica specifica e argomentata della sentenza impugnata, e non limitarsi a riproporre le stesse tesi. Questa mancanza di specificità rende il ricorso solo ‘apparente’ e, quindi, inammissibile.
In secondo luogo, e qui sta il cuore della decisione, la Corte ha confermato la correttezza del ragionamento seguito dai giudici di merito sulla condotta riparatoria.
Le motivazioni
La Suprema Corte ha spiegato che l’articolo 162-ter del codice penale affida al giudice un potere di valutazione discrezionale sulla ‘congruità’ della somma offerta a titolo risarcitorio. Questa valutazione non può essere superficiale o limitata al solo danno patrimoniale, ovvero alla perdita economica diretta subita dalla vittima.
Citando un proprio precedente (sentenza n. 21922 del 2018), la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la condotta riparatoria del reo deve essere valutata tenendo conto del danno nella sua interezza. Ciò significa che il risarcimento deve coprire adeguatamente:
1. Il profilo patrimoniale: il danno economico diretto e le perdite subite.
2. Il profilo morale: la sofferenza interiore, il turbamento e il pregiudizio alla dignità della persona offesa.
La Corte d’Appello, secondo i giudici di legittimità, aveva correttamente applicato questo principio, motivando in modo esauriente le ragioni per cui riteneva insussistenti i presupposti per la condotta riparatoria nel caso di specie.
Le conclusioni
La decisione in commento offre importanti spunti pratici. L’estinzione del reato per condotta riparatoria non è un automatismo legato a un semplice pagamento. È necessario che l’imputato compia uno sforzo reale e completo per elidere tutte le conseguenze negative della sua azione illecita. Il risarcimento deve essere ‘congruo’, ovvero proporzionato alla totalità del pregiudizio, includendo anche la sofferenza morale, spesso difficile da quantificare ma non per questo meno rilevante. Per la difesa, ciò significa che la semplice offerta di una somma di denaro potrebbe non essere sufficiente se non accompagnata da una valutazione attenta di tutti gli aspetti del danno causato.
È sufficiente offrire un qualsiasi risarcimento economico per ottenere l’estinzione del reato tramite condotta riparatoria?
No. Secondo la Cassazione, il giudice deve valutare la ‘congruità’ della somma offerta, ovvero la sua adeguatezza a coprire l’intero danno causato dal reato, sia sotto il profilo patrimoniale (economico) che sotto quello morale (la sofferenza della vittima).
Un ricorso in Cassazione può limitarsi a ripetere le argomentazioni già presentate in appello?
No. La Corte ha chiarito che un ricorso che si limita a reiterare i motivi già discussi e respinti nel grado precedente, senza formulare una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, è inammissibile per mancanza di specificità.
Qual è il ruolo del giudice nella valutazione della condotta riparatoria?
Il giudice ha un ruolo centrale e discrezionale. Deve apprezzare se l’offerta di risarcimento sia effettivamente sufficiente a riparare tutto il pregiudizio causato, considerando il danno derivante dal reato nella sua interezza e non solo per l’aspetto puramente economico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43299 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43299 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato a Siracusa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/01/2024 della Corte d’appello di Catanzaro
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di legge e di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 162-ter cod. pen., non è consentito in questa sede perché è fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, infatti, la Corte territoriale ha esplicato, con motivazione esente dai vizi contestati dall’odierno ricorrente (si veda la pag. 3 dell’impugnata sentenza), le congrue ragioni del suo convincimento circa l’insussistenza dei presupposti perché possa operare nel caso di specie la causa di estinzione del reato per intervenuta condotta riparatoria;
che, a tale proposito, si deve osservare, da un lato, come il disposto normativo di cui all’art.162-ter cod. pen. stabilisca come sia rimessa all’apprezzamento del
giudice la valutazione circa la congruità della somma offerta a titolo risarcitorio per il pregiudizio cagionato e, dall’altro lato, come giudici di appello abbiano correttamente sottolineato che la condotta riparatoria del reo si deve valutare tenendo conto del danno derivante dal reato nella sua interezza, tanto sotto il profilo patrimoniale, quanto sotto il profilo morale (Sez. 5, n. 21922 del 03/04/2018, Rv. 273187-01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024.