LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Condotta arbitraria e oltraggio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per oltraggio a pubblico ufficiale. L’imputato sosteneva che la sua reazione fosse giustificata da una presunta condotta arbitraria degli agenti. La Corte ha respinto il ricorso perché non contestava specificamente le motivazioni della Corte d’Appello, la quale aveva già accertato l’assenza di qualsiasi condotta arbitraria o persecutoria da parte delle forze dell’ordine.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Condotta Arbitraria e Oltraggio a Pubblico Ufficiale: Quando la Reazione Non è Giustificata

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 35902/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato: i confini tra il reato di oltraggio a pubblico ufficiale e la reazione del cittadino di fronte a una presunta condotta arbitraria da parte delle forze dell’ordine. La decisione sottolinea un importante principio processuale: per contestare una condanna, non basta ripetere le proprie ragioni, ma è necessario confrontarsi punto per punto con la motivazione del giudice precedente.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale. L’imputato, ritenendo di aver subito un’azione ingiusta da parte degli agenti, aveva presentato ricorso in appello, invocando l’applicazione dell’articolo 393-bis del codice penale. Questa norma prevede una causa di non punibilità per chi commette reati come violenza, minaccia o oltraggio in reazione a un atto arbitrario del pubblico ufficiale.

La Corte d’Appello di Bologna, tuttavia, aveva respinto questa tesi, confermando la condanna. Secondo i giudici di secondo grado, dall’analisi delle prove emerse in giudizio (il cosiddetto compendio probatorio), la condotta tenuta dagli agenti non era stata affatto arbitraria né persecutoria. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione.

La Questione Giuridica: Condotta Arbitraria e Onere della Prova

Il cuore della questione legale risiede nell’interpretazione dell’art. 393-bis c.p. La norma mira a bilanciare la tutela del prestigio della pubblica amministrazione con il diritto del cittadino a non subire abusi. Affinché la reazione del privato sia giustificata, però, è necessario che l’atto del pubblico ufficiale sia oggettivamente “arbitrario”, ovvero compiuto al di fuori o in violazione dei propri doveri.

Nel caso specifico, la difesa puntava a dimostrare che le azioni degli agenti rientrassero in questa categoria, legittimando così la reazione dell’imputato. Tuttavia, l’onere di dimostrare la fondatezza delle proprie argomentazioni in sede di impugnazione è un passaggio cruciale e non scontato.

La Decisione della Corte sulla Presunta Condotta Arbitraria

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione non entra nel merito della vicenda, ovvero non stabilisce se la condotta arbitraria vi sia stata o meno. Piuttosto, si concentra su un vizio procedurale del ricorso stesso. I giudici di legittimità hanno osservato che l’imputato, con il suo ricorso, si è limitato a riproporre lo stesso argomento già presentato e respinto in appello, senza però contestare in modo specifico e puntuale le ragioni esposte dalla Corte territoriale.

In altre parole, non è sufficiente affermare di aver subito un’ingiustizia; è necessario spiegare perché la valutazione fatta dal giudice precedente, che ha escluso tale ingiustizia, sarebbe sbagliata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione “congrua” e logica sul punto. I giudici di secondo grado avevano esaminato le prove e concluso che “la condotta tenuta dagli agenti non era stata affatto arbitraria o persecutoria”. Di fronte a questa chiara presa di posizione, il ricorrente avrebbe dovuto smontare quel ragionamento, indicando, ad esempio, perché la valutazione delle prove fosse stata errata o illogica. Limitandosi a ripetere la propria versione dei fatti, il ricorso si è rivelato generico e, di conseguenza, inammissibile.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: nei processi di impugnazione, la forma è sostanza. Un ricorso, specialmente in Cassazione, non può essere una semplice riedizione delle difese precedenti. È indispensabile un confronto critico e analitico con la sentenza impugnata, evidenziandone le specifiche carenze logiche o giuridiche. La mancata contestazione delle motivazioni del giudice precedente equivale a un’arma spuntata, che porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente si è limitato a riproporre lo stesso argomento già dedotto in appello, senza confrontarsi criticamente con le puntuali risposte e motivazioni fornite dalla Corte territoriale.

Qual era l’argomento principale del ricorrente?
L’argomento principale era la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 393-bis del codice penale, sostenendo che la sua reazione (configurata come oltraggio) fosse stata provocata da una condotta arbitraria dei pubblici ufficiali.

Cosa aveva stabilito la Corte d’Appello riguardo la condotta degli agenti?
La Corte d’Appello, sulla base del compendio probatorio, aveva motivato che la condotta tenuta dagli agenti non era stata in alcun modo arbitraria o persecutoria, facendo così venir meno il presupposto per l’applicazione dell’art. 393-bis c.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati