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Condotta abituale: no tenuità per evasioni ripetute

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per evasione. La Corte ha confermato che non è possibile applicare la particolare tenuità del fatto a causa della condotta abituale del soggetto, evidenziata da tre episodi di evasione, di cui due legati ad altri reati.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Condotta Abituale e Tenuità del Fatto: Quando la Ripetizione del Reato Esclude il Beneficio

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, fornisce un importante chiarimento sui limiti di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis del codice penale. Il caso in esame riguarda un soggetto condannato per evasione dagli arresti domiciliari, il cui ricorso è stato respinto a causa della sua condotta abituale, ritenuta ostativa alla concessione del beneficio. Questa pronuncia ribadisce come la valutazione del giudice non possa limitarsi al singolo episodio, ma debba estendersi a un’analisi complessiva del comportamento dell’imputato.

I Fatti del Caso: Tre Evasioni e Altri Reati

L’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello che negava il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. La sua storia giudiziaria era segnata da tre distinti episodi di evasione dagli arresti domiciliari.

I primi due episodi, già oggetto di una precedente condanna irrevocabile e unificati dal vincolo della continuazione, non erano isolati. Erano infatti finalizzati alla commissione di altri reati: rispettivamente, la ricettazione di veicoli rubati e un danneggiamento aggravato. Il terzo episodio di evasione, avvenuto successivamente, era l’oggetto del giudizio in corso. La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, aveva evidenziato proprio questa sequenza di illeciti per negare il beneficio.

La Decisione della Cassazione sulla condotta abituale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando manifestamente infondati i motivi presentati. Secondo gli Ermellini, la motivazione della Corte d’Appello è immune da vizi logici e giuridici. La valutazione negativa non si basa solo sul numero di evasioni, ma sul contesto più ampio in cui queste si inseriscono. La condotta abituale dell’imputato emerge chiaramente dalla reiterazione dei comportamenti e dalla loro connessione con altre attività criminali.

Le Motivazioni: L’abitualità come Causa Ostativa

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del concetto di ‘abitualità’ come causa che preclude l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La Cassazione ha richiamato un importante principio stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18891/2022), secondo cui la pluralità di reati unificati dalla continuazione non esclude di per sé la tenuità del fatto, ma impone una valutazione complessiva e approfondita.

Il giudice deve considerare una serie di indicatori per determinare se il comportamento possa essere qualificato come abituale e, quindi, se escludere il beneficio. Tali indicatori includono:

* La natura e la gravità degli illeciti.
* La tipologia dei beni giuridici protetti violati.
* Le modalità esecutive delle condotte e le loro motivazioni.
* Le conseguenze dei reati.
* Il periodo di tempo e il contesto delle violazioni.
* L’intensità del dolo.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la valutazione della Corte d’Appello fosse corretta. Le evasioni non erano episodi sporadici, ma si inserivano in un contesto criminale più ampio, essendo finalizzate alla commissione di reati di diversa natura. Questa interconnessione ha dimostrato una persistenza nel delinquere che configura la condotta abituale e giustifica il diniego della non punibilità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso. La particolare tenuità del fatto non è un beneficio accessibile a chiunque commetta reati di modesta entità, ma è riservato a casi di offensività minima e, soprattutto, di non abitualità del comportamento. La decisione sottolinea che il giudice ha il dovere di effettuare un’analisi onnicomprensiva della fattispecie concreta. Non basta guardare al singolo reato, ma è necessario valutare l’intera storia criminale del soggetto, le motivazioni e il contesto. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente invocare la lieve entità del singolo fatto, ma occorre dimostrare che esso rappresenta un episodio isolato e non l’espressione di una tendenza a delinquere.

Più reati uniti dalla continuazione possono essere considerati di ‘particolare tenuità’?
Sì, in teoria è possibile, ma la decisione dipende da una valutazione complessiva della fattispecie concreta. La pluralità di reati, anche se unificati, non è di per sé ostativa, ma impone al giudice un’analisi più approfondita di tutti gli indicatori del comportamento, come la gravità, le modalità e le finalità degli illeciti.

Cosa si intende per ‘condotta abituale’ ai fini dell’esclusione della particolare tenuità del fatto?
Per ‘condotta abituale’ si intende la ripetizione di comportamenti illeciti che dimostrano una tendenza a delinquere. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che tre evasioni dagli arresti domiciliari, di cui due finalizzate a commettere altri reati (ricettazione e danneggiamento), configurassero una condotta abituale, precludendo l’applicazione del beneficio.

Quali elementi valuta il giudice per decidere sulla particolare tenuità del fatto in caso di reati ripetuti?
Il giudice deve considerare una serie di fattori, tra cui: la natura e la gravità degli illeciti, i beni giuridici violati, le modalità esecutive, le motivazioni, le conseguenze, il periodo di tempo e il contesto delle violazioni, l’intensità del dolo e i comportamenti successivi ai fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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