Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10243 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10243 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ISCHIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/04/2023 del TRIB.SEZ.DIST. di ISCHIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del tribunale di Napoli, sez. dist. RAGIONE_SOCIALE, del 6 aprile 2023, erano state rigettate le richieste formulate dalla difesa di COGNOME NOME nell’ambito dell’incidente di esecuzione avente ad oggetto l’istanza di revoca e/o annullamento dell’ingiunzione a demolire per le opere abusive relative a due immobili siti in RAGIONE_SOCIALE.
Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione cli legge in relazione all’art. 39, I. 724 del 1994 e correlato vizio di illogicità e contraddittorietà d motivazione.
In sintesi, la difesa ritiene non condivisibile quanto affermato dal tribunale circa l’epoca di realizzazione almeno al rustico delle opere oggetto di demolizione, avendo questi affermato che le opere sarebbero state realizzate fuori dal termine previsto per il condono, ossia oltre il 31.12.1993. In realtà, sostiene la difesa, l opere in questione, come emergerebbe dalle istanze di condor o e dalle fotografie allegate, che mostrerebbero lo stato di ultimazione dei lavori di costruzione dei manufatti, erano complete al rustico alla data del 31.12.1993, dovendosi intendere per ultimate alla data del 31.12.1993 ai sensi dell’art. 31, co. 2, I. 47 del 1985.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 17-bis, I. 241 del 1990, introdotto dalla c.d. riforma Madia, di cui alla I. 124 del 2015.
In sintesi, la difesa ritiene non condivisibile l’affermazione del tribunale che ha ritenuto come in materia edilizia il parere della Sovrintendenza debba essere manifestato in maniera espressa, non trovando applicazione nel caso di specie il silenzio assenso. Secondo la difesa, diversamente, l’art. 17-bis della I. 241 del 1990, introdotto dalla richiamata I. 124 del 2015, prevede il silenzio assenso, anche per quanto riguarda l’acquisizione degli atti di assenso, concerto o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistico territoriale, senza esclusione di sorta, quindi anche con riferimento al vincolo paesaggistico ambientale, come sarebbe stato confermato dalla giurisprudenza amministrativa, richiamando a tal proposito TAR Campania-Napoli, n. 5499 del 2018 e Tar Emilia Romagna, n. 153 del 20:21.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 39, I. 724 del 1994, con conseguente revoca della procedura esecutiva in base al combinato disposto degli artt. 38 e 39, I. 47 del 1985 e per l’acquisizione dei nuovi atti.
In sintesi, rileva la difesa che per le opere in questione sarebbero stati rilasciati all’interessato sia il permesso di costruire n. 24057 del 14.11.2003 sia il permesso di costruire in sanatoria n. 11 del 27.02.2020 sia, infine l’autorizzazione paesaggistica n. 73 dell’11.12.2019. Le opere in questione rientrerebbero a pieno titolo nel perimetro normativo tracciato dagli artt. 38 e 39, I. 47 del 1985, essendo state presentate per le stesse entro i termini di legge le richiamate istanze di condono. All’NOME, pertanto, a seguito dell’attestazione del versamento della somma prevista dall’art. 35, co. 1, I. 724 del 1994, sarebbero stati rilasciati i predet permessi di costruire. All’udienza del 6/04/2023 la difesa aveva prodotti i predetti titoli abilitativi che il tribunale ha considerato erroneamente strumentali, costituendo in realtà gli stessi elementi nuovi per la valutazione giuridica dei fatti, sic ché sarebbe chiaro come l’intervento edilizio realizzato avente ad oggetto la sostituzione del solaio in riferimento al manufatto di mq. 60, h. 3,20 ml., sarebbe stato autorizzato da un atto idoneo, ossia il p.d.c. n. 24057 del 14.11.2003, eseguito al fine unico ed esclusivo di conservare l’opera posto che ciò era consentito dall’art. 22 del regolamento edilizio comunale.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 19.12.2023, ha chiesto il rigetto del ricorso.
In sintesi, il PG evidenzia che il difensore basa la sua impugnazione su considerazioni precluse in questa sede, che non si confrontano con la puntuale motivazione dell’ordinanza in merito al potere di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione da parte del giudice dell’esecuzione, a cui è noto come sia demandato il compito di verificare che il titolo abilitativo sia effettivamente risponden alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 DPR 380/2001 e, in caso di condono, da quelle stabilite dalla L. 324/92, nella specie riferibi:i al condono di cui alla L. 724/94 (“Ai fini della revoca dell’ordine di demolizione ci un immobile . oggetto di condono edilizio, il giudice dell’esecuzione deve verificare la legittimità del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, tempestività della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilità dell’opera e, ove l’immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonché la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione
assentibili”: Sez. 3 n. 37470 del 22/05/2019, rv.277668). Invero, quanto al motivo relativo alla mancata realizzazione delle opere nei tempi previsti dal condono, risulta logica e ineccepibile l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo cui erano già emersi in occasione di precedenti istanze degli accertamenti sulla mancata conclusione degli interventi edilizi entro l’anno 1993, questione, per sua natura, di mero fatto, non verificabile da parte della Suprema Corte. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità è assolutamente consolidata nell’affermare come, in caso di opere eseguite in zona vincolata, ogni titolo abilitativo in sanatoria sia subordinato al conseguimento delle autorizzazioni delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, non essendo applicabile la procedura del silenzio-assenso (“In tema di tutela del RAGIONE_SOCIALE, il provvedimento autorizzatorio previsto dalla legislazione di settore deve avere forma espressa, atteso che il silenzio dell’amministrazione proposta alla tutela del vincolo non può avere valore di assenso stante la necessità di valutare da parte della p.a. equilibri diversi e tenere conto del concorso di competenze statali e regionali”: Sez. 3 n. 38707 del 28/05/2004, rv. 229599; Sez. 3 n. 30059 del 16/05/2018, rv. 273761), con la conseguenza per cui il permesso a costruire è stato adottato senza il preventivo rilascio da parte della Sovraintendenza dell’autorizzazione paesaggistica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarnnente ai sensi dell’art. 611, cod. proc. pen., è complessivamente infondato.
Il primo motivo è inammissibile in quanto proposto per motivi non consentiti dalla legge.
L’istante, infatti, con censura puramente contestativa, si limita a non condividere le conclusioni cui è pervenuto il giudice dell’esecuzione (in realtà dovendosi precisare che si tratta di istanza meramente reiterativa di una precedente, decisa sempre dal giudice dell’esecuzione con provvedimento del 3 febbraio 2021, in cui si evidenziava l’insussistenza dei presupposti temporali della ultimazione delle opere al 31.12.93, indispensabili per la applicabilità della disciplina ex L.724/94 in base alla quale NOME presentava istanza di condono il 27.2.95).
L’affermazione, contenuta in ricorso, secondo cui dalle istanze di condono e dalle fotografie allegate emergerebbe lo stato di ultimazione dei lavori al rustico prima della data del 31.12.1993 costituisce un’inammissibile censura in fatto, rispetto alla quale non è esercitabile il sindacato di legittimità di questa Corte.
2.1. Né è condivisibile quanto sostenuto dal ricorrente cie richiama la previsione normativa di cui all’art. 31, co. 2, I. 47 del 1985 ai fini di qualificare com ultimata l’opera, atteso che è stato già affermato da questa stessa Sezione che la realizzazione al rustico del manufatto, rilevante ai fini dell’assoggettabilità temporale dello stesso al condono, comporta il necessario completamento della copertura e il tamponamento dei muri perimetrali (Sez. 3, n. 13641 del 15/11/2019, dep. 2020, Rv. 278784 – 01). Quanto sostenuto collide con quanto emergente dal provvedimento reso in data 3.02.2021 dal precedente giudice dell’esecuzione, che, nel rigettare l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione, aveva sottolineato, con riferimento al manufatto di mq. 60, di h. :3.20 ml., lo stesso non poteva dirsi ultimato “posto che nel novembre 2002 la copertura era precaria in quanto costituita solo da pannelli di lamiera, e che nel novembre 2003 la copertura con solaio in latero – cemento era presente ma esisteva una baracca di cantiere, il che significa che tale copertura era stata realizzata da poco”.
Affermazioni, queste, che destituiscono di fondamento quanto sostenuto dalla difesa, essendo palese che alla data del 31.12.1993 il manufatto non potesse dirsi ultimato al rustico.
3. Il secondo motivo è invece infondato.
Il giudice dell’esecuzione, nel disattendere l’istanza difensiva, oltre alla mancata ultimazione dei lavori entro la data del 31.12.1993, aggiunge che il permesso già dichiarato illegittimo dal giudice dell’esecuzione cori il provvedimento del 3.02.2021 era stato adottato senza il previo rilascio da parte della Soprintendenza, ente competente, dell’autorizzazione paesaggistica (come peraltro evidente dalla stessa attestazione dell’ufficio condono dell’8.2.23 per richiamo implicito al cd. silenzio – assenso).
Sul punto, il giudice dell’esecuzione osserva che per l’autorizzazione paesaggistica opera il principio della necessità di pronunzia esplicita, non potendo il silenzio della P.A. avere valore di assenso, con la conseguenza che deve escludersi che il silenzio assenso valga per i provvedimenti in materia di tutela del RAGIONE_SOCIALE in linea con il principio generale stabilito dall’art. 20, 1.241/90 che vieta la forma zione per silentium del provvedimento conclusivo nei procedimenti implicanti la tutela di interessi sensibili, nei quali si iscrive la tutela del RAGIONE_SOCIALE avente valor di rango costituzionale (in tal senso, richiamando Cass. Pen., Sez. III 48931/22). È appena il caso di osservare, aggiunge il giudice dell’esecuzione, tenuto conto di quanto previsto ai sensi dell’art. 39,1.724/94, richiamato dall’art. 321.326/03, che è orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo cui non è applicabile la disciplina del silenzio assenso, per il conseguimento delle autorizzazioni delle
Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, in caso di opere eseguite in zona vincolata (il riferimento è a Cass. Pen., Sez. III, n. 30059/18).
3.1. Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tale assunto.
Questa Corte, come già affermato in precedente occasione (Sez. 3, n. 36580 del 17/05/2023, Rv. 284987), osserva che l’indirizzo sull’interpretazione dell’art. 146, d.lgs. 42 del 2004, invocato in ricorso, non rileva nel caso di specie, in quanto la stessa disciplina normativa non trova applicazione (al pari, peraltro, dell’art. 17-bis, I. n. 241 del 1990, citato dal ricorrente, che regola – in termini generali – il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra queste e gestori di beni o servizi pubblici).
L’art. 146, d.lgs. 42 del 2004 – come è fatto palese dal suo chiaro contenuto – regola, infatti, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica preventiva rispetto a interventi sui beni oggetto della speciale protezione, e l’iter ivi delineato può semmai estendersi al rilascio delle autorizzazioni in sanatoria previste dallo stesso d.lgs. n. 42 del 2004 e, in via analogica e soltanto in quanto applicabile, agli altr casi di sanatoria previsti da diverse disposizioni di legge.
Essa, però, certamente non vale in toto laddove esista una disciplina speciale di maggior rigore, quale quella prevista dalla legge sul condono edilizio nel caso di specie applicabile, ossia la I. 23 dicembre 1994, n. 724. In particolare, l’art. 32, I. n. 47 del 1985 – quale sostituito dall’art. 32, comrna 43, d.l. 30 s tembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni. dalla I. 24 novembre 2003, n. 326 – rubricato “opere costruite su aree sottoposte a vincolo” e richiamato dall’art. 39, I. 724 del 1994, al primo comma prevede, per quanto qui interessa, che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobi sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto». Il successiv quarto comma della disposizione specifica che, «ai fini dell’acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall’articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggisticoterritoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abili edilizio in sanatoria».
Nell’ambito del procedimento per il rilascio del provvedimento in sanatoria previsto dalla legge sul condono edilizio, dunque, il legislatore, da un lato, ha ritenuto di concedere alla Soprintendenza uno spatium deliberandi più ampio (180 giorni, anziché 45), d’altro lato ha previsto che il decorso del termine valga quale silenzio-rifiuto impugnabile in sede di giustizia amministrativa, specificando, senza possibilità di deroghe, che il parere sfavorevole espresso dalla stessa soprintendenza preclude il rilascio del titolo in sanatoria.
Tale disciplina, ben diversa da quella delineata nell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, trova giustificazione alla luce del differente contesto e dei beni che vengono in rilievo: se, infatti, può essere ragionevole consentire di superare l’inerzia della Soprintendenza laddove la stessa, non pronunciandosi nel termine, rischi di bloccare l’iniziativa del privato che abbia scrupolosamente seguito il preventivo iter previsto, sottoponendolo ad un ingiusto aggravio procedimentale, ben si giustifica un più rigoroso regime laddove si tratti di sanare un illecito commesso, onerando il trasgressore che voglia avvantaggiarsi degli effetti della sanai:orla di un più gravoso procedimento, che consenta in ogni caso di pervenire ad un effettivo vaglio di compatibilità paesaggistica dell’opera abusiva da parte dell’autorità preposta alla gestione del vincolo.
Richiamando proprio questi principi, costantemente ribaditi (tra le altre, Sez. 3, n. 10152 del 10/2/2023, Calise; Sez. 3, n. 388 dell’8/11/2022, COGNOME, non massimate), l’ordinanza ha quindi correttamente concluso che il silenzio serbato dalla Soprintendenza non poteva assumere – come invece ritenuto dal ricorrente – il valore di assenso, bensì quello di rifiuto, impugnabile in sede amministrativa.
4. L’ultimo motivo è inammissibile perché generico per aspecificità e manifestamente infondato.
Il giudice dell’esecuzione ha chiaramente evidenziato come fosse inconferente il richiamo, nella memoria difensiva depositata per l’udienza del 6.4.23, al rilascio di permesso di costruire del 14.11.03, pure allegato in atti, per la sostituzione di solaio di copertura ed impermeabilizzazione, permesso che dalla lettura dell’atto, era rilasciato su istanza di COGNOME, protocollata il 15.10.03 “in relazione fabbricato per il quale esiste domanda di condono edilizio n. 6169 del 27.2.95 ai sensi della L. 724/94”.
Aggiunge il giudice dell’esecuzione che il richiamo a tale permesso del 2003 ed alla nota dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’8.2.23 sono strumentali solo a far apparire la esistenza di elementi nuovi rispetto a quelli rappresentati nella precedente procedura esecutiva, cosa che non è per quanto in sintesi già argomentato.
4.1. Quanto affermato dal giudice nell’ordinanza impugnata è del tutto corretto e rispondente alle emergenze processuali.
È sufficiente, a tal fine, leggere il precedente provvedimento del giudice dell’esecuzione del 3.02.2021 per rilevare l’assoluta mancanza di pregio della deduzione difensiva. Detto giudice, infatti, valutava e dichiarava la illegittimità de permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune di RAGIONE_SOCIALE in data 27.2.20, avendo anche avuto a disposizione, e dunque valutato, l’autorizzazione paesaggistica n. 73 dell’11.12.19, entrambi provvedimenti amministrativi che sono richiamati nella memoria conclusiva depositata dalla difesa dell’istante per l’udienza del 6.4.23, in relazione ai quali si deduce dall’istante che in data 8.2.23 l’RAGIONE_SOCIALE del Comune di RAGIONE_SOCIALE aveva attestato, come da atto allegato alla memoria, che il permesso 11/20 e la autorizzazione paesaggistica 73/19 erano stati rilasciati “nel rispetto delle normative vigenti e delle procedure … “.
È quindi agevole rendersi conto come, a dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente, i predetti titoli abilitativi non costituivano elementi nuovi idonei ad u rinnovata valutazione giuridica dei fatti, essendo stati già tali titoli oggetto di lutazione da parte del giudice dell’esecuzione nel precedente provvedimento del 3.02.2021. Non può quindi parlarsi di “nuovi atti” come invece sostenuto dall’istante, trattandosi di quegli stessi titoli abilitativi sulla cui base era int nuto il precedente rigetto dell’istanza con l’ordinanza del 3.02.2021, rispetto ai quali l’attestato dell’ufficio tecnico del comune di RAGIONE_SOCIALE prot. NUMERO_DOCUMENTO del 8/02/2023 costituiva un mero atto ricognitivo dell’esistente, limitandosi ad “certificare” che predetti titoli abilitativi sarebbero stati legittimamente rilasciati (perdi più, si serva, commettendo il marchiano errore consistente nell’affermare che detti titoli abilitativi sarebbero stati rilasciati “previo parere favorevole della RAGIONE_SOCIALE verbale n. 25 del 10.09.2019 e della Soprintendenza di Napoli per scadenza termini”, in spregio dunque di quanto espressamente previsto dalla normativa applicabile in tema di condono in zona paesaggisticamente vincolata che, come visto in relazione al precedente motivo di ricorso, esclude che il silenzio della Soprintendenza sull’istanza sia qualificabile in termini di silenzio assenso).
5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616, cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proces- suali.
Così deciso, il 15 febbraio 2024
Il Consiglier
estensore
Il Presidente
NOME
Depositata in Cancelleria