Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 694 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 694 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Afragola il 29/04/1971
avverso l’ordinanza del 05/03/2023 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di NOME COGNOME ad oggetto sospensione e/o la revoca dell’ordine di demolizione emesso dal Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in forza della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 3 novembre 2000, irrevocabile il 20 novembre 2001, con la quale la ricorrente era stata condanna rt per il reato edilizio, con conseguente ordine di demolizione delle opere abusive, consistenti in un corpo di fabbrica costituito da tre piani fuori terra.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 32 I. n. 326 del 2003. Dopo aver riportato il dato normativo, rappresenta il ricorrente che, dalla lettura del norma in esame, non vi è un’esclusività in capo al proprietario dell’opera abusiva della presentazione della domanda di sanatoria, la quale può essere avanzata anche da altri soggetti interessati, come, nella specie, la ricorrente, in quanto residente nello stabile oggetto dell’ordine di demolizione. La motivazione, laddove ha ritenuto che solo NOME COGNOME – madre della ricorrente – in quanto unica proprietaria dell’immobile, avrebbe potuto e dovuto presentare l’istanza di condono, sarebbe perciò errata. Ad avviso del difensore, invece, ai sensi dell’art. 31, comma 3, I. n. 47 del 1985, la presentazione delle singole domande da parte dei figli della COGNOME – tra cui la ricorrente – soggetti tutt legittimati per legge, per singole frazioni autonome e catastalmente censite, non costituisce affatto – come invece ritenuto dal Tribunale – un escamotage per eludere i limiti volumetrici, anche considerando che le domande sono state valutate separatamente dagli uffici tecnici comunali in relazione, appunto, al rispetto di detti limiti. Sarebbe errata, inoltre, la motivazione laddove, pe giustificare l’assenza in capo alla ricorrente – e agli altri figli della COGNOME della legittimazione a chiedere il condono, ha fatto riferimento alla circostanza che l’atto unilaterale d’obbligo a destinare il porticato al piano terra sia sta sottoscritto dalla sola Pennacchio, in quanto tale atto è ben diverso della richiesta del titolo abitativo edilizio in sanatoria. Aggiunge, infine, il difensore anche gli altri richiedenti hanno avanzato istanze di impegno, con cui si chiedeva la rideterminazione del conguaglio dell’obbligazione e degli oneri accessori, e si comunicava l’impegno alla demolizione delle opere scorporabili.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione al punto 4 della Circolare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005. Assume la ricorrente che il Tribunale non ha considerato l’indicata circolare – il cu contenuto viene riportato nel ricorso – , secondo cui la riconduzione al limite assentibile di 3.000 mc. deve essere effettuato notificando al Comune l’intendimento dell’interessato a demolire, con annessa perizia giurata, come avvenuto nel caso di specie, in quanto la ricorrente, unitamente agli altri interessati, ha comunicato il proprio intento di demolire le opere eccedenti il limite volumetrico assentibile attraverso la presentazione di una CILA. Osserva, ancora,la ricorrente che il porticato, privato delle tamponature perimetrali, non può costituire un carico urbanistico, sé un volume assentibile ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 8 C.E.D.U. Rappresenta il difensore che il Tribunale ha omesso di rispondere alla richiesta di sospensione o di revoca dell’ordine di demolizione per violazione dell’art. 8 C.E.D.U, che riconosce e tutela il diritto all’inviolabilità del domicilio. Nel caso di specie, la costruz gravata da ordine demolitorio è abitata da categorie deboli, tra cui minori, anziani e da persone affette da gravi disabilità; si tratta di circostanze che, quantomeno, avrebbero dovuto indurre il Tribunale a sospendere la sospensione dell’ordine di demolizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di tutti i motivi dedotti.
Quanto al primo motivo, si rammenta che l’applicazione del condono dall’art. 32, comma 25, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. da I. 24 novembre 2003, n. 326 esige, tra l’altro, il concomitante rispetto di un duplice limite di cubatura: 750 mc in relazione a ciascuna unità abitativa, e 3.000 mc in relazione all’intera costruzione.
A tal proposito, questa Corte ha costantemente interpretato l’art. 39, comma 1, I. n. 724 del 1994, nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest’ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della
norma è di non consentire l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso edificatorio (ex multis, cfr. Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013 – dep. 17/03/2014, COGNOME, Rv. 259292; Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, COGNOME, Rv. 231643; Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002, Zagaria, Rv. 223861; Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592).
Dalle considerazioni che precedono, ne discende che non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l’unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l’espediente di denunciare fittiziamente la realizzazion di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015 – dep. 18/05/2015, COGNOME, Rv. 263639). Il riferimento oggettivo all’unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, perciò, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è) quella sanare abusi modesti.
In altri termini, in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994, n. 724, ai fini dell’individuazione dei limiti stabiliti per concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera. Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280: fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inapplicabile il condono, essendo emerso che l’immobile era stato interamente realizzato ed era di proprietà di un unico soggetto).
Di conseguenza, va riaffermato il principio giusto il quale, in tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto (Sez. 3, n. 2840 del
18/11/2021, dep. 2022, COGNOME Vicale, Rv. 282887: fattispecie relativa a nuova costruzione avente volumetria complessiva di circa 2.200 mc., composta da quattro unità immobiliari, rispetto alla quale risultavano presentate, da soggetti diversi dall’autore dell’edificazione, due istanze di condono per unità di volumetria inferiore a 750 mc.; Sez. 4, n. 10017 del 03/03/2021, P.G., Rv. 280700; Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019, Caputo, Rv. 276084)
Nel caso in esame, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi ora evocati, evidenziando come si sia proceduto a frazionamento illegittimo delle sei domande di condono, presentate da NOME COGNOME – unica proprietaria dell’immobile – e dai sui cinque figli – tra cui l’odierna ricorrente -, i qua erano dichiari possessori e futuri donatari dell’immobile.
Per quanto ricostruito dal giudice di merito, rispetto all’intero edificio pacificamente di proprietà della madre della ricorrente – si sarebbe semmai dovuta presentare un’unica istanza di sanatoria da parte dell’unico soggetto legittimato, istanza che, tuttavia, non avrebbe potuto essere accolta per l’assorbente ragione che il titolo edilizio avrebbe avuto riguardo ad una volumetria eccedente il limite di 3.000 mc. previsto dalla legge.
Una conclusione del genere – venendo così al secondo motivo – non è affatto smentita dalla circolare ministeriale n. 2699 del 7 dicembre 2005, con la quale è stata riconosciuta la condonabilità delle nuove costruzioni a destinazione non residenziale, esclusa invece dall’art. 32 d.l. n. 269 del 2003.
Richiamando, infatti, quanto già evidenziato dalle Sezioni Unite civili secondo cui la circolare con la quale l’Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente, oltre che per gli uffici, per la stessa autorità ch l’ha emanata e per il giudice (Sez. U, n. 23031 del 02/11/2007, Rv. 599750) -, questa Sezione ha affermato il principio, qui da confermare, che la circolare in esame, rappresentando un atto interno alla P.A., si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, e, quindi, non può comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo (Sez. 3, n. 6619 del 07/02/2012, COGNOME, Rv. 252541; in senso conforme, Sez. 3, n. 19330, 17/05/2011).
Ad abundatiam, si rileva che il Tribunale, con un percorso argomentativo immune da errori di diritto e da vizi logici, ha comunque ritenuto, per un verso, che le demolizioni eseguite non potevano essere assentite dalla semplice presentazione di una C.I.L.A., trattandosi di un intervento comportante anche la
modifica dell’aspetto esteriore del fabbricato, il che avrebbe richiesto il rilascio d un permesso di costruire; per altro verso, che il volume al piano terra, nonostante la demolizione di tramezzi e parte della muratura di tompagno deve comunque essere ritenuto (ancora) sussistente, in considerazione delle sue caratteristiche tipologiche, ossia la presenza della scala di accesso alle abitazioni private e il collegamento diretto al cortine interno privato.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, appare chiaro che il provvedimento impugnato è del tutto conforme a legge e la infondatezza delle censure mosse in ricorso è di macroscopica evidenza, in quanto il Tribunale ha correttamente considerato come non suscettibile di condono l’immobile, la cui volumetria totale super i 3.000 mc.
6. Manifestamente infondato, infine, è anche il terzo motivo.
6.1. E’ orientamento costante di questa Sezione il principio secondo cui, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individual vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto dell collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24 del 26/04/2018, COGNOME, Rv. 273368).
In coerenza con le indicate decisioni, questa Sezione ha chiarito che il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, COGNOME e COGNOME c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, COGNOME c. Lituania, considerando l’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all’art. 8 della CEDU valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280270); con l’ulteriore precisazione è precipuo onere del ricorrente allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzione (Sez. 3, n. 21198 del
15/02/2023, COGNOME, Rv. 284627), fatti che non possono dipendere dalla inerzia dell’autore dell’abuso ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell’ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l’ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia.
6.2. Nel caso di specie, il motivo appare del tutto generico, in quanto la circostanza che l’immobile sarebbe abitato da persone affette da grave disabilità è affermata in maniera del tutto apodittica, e, in ogni caso, la ricorrente non allega di aver interpellato i servizi sociali per ottenere un’altra soluzione abitativ nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica, tenuto anche conto che l’ordine di demolizione è suscettibile di esecuzione sin dal 2001.
Essendo il ricorso inammissibile e ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14/12/2023.