Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44032 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44032 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a VILLARICCA il 12/02/1987 COGNOME NOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 01/01/1948
avverso l’ordinanza del 15/05/2024 del TRIBUNALE di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del congiunto ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 maggio 2024, il Tribunale di Napoli, con funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME volti ad ottenere la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di sgombero e di abbattimento emesso dal PM, avente ad oggetto un manufatto sito in Giugliano, meglio in atti descritto catastalmente.
Hanno proposto congiunto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del comune difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, di seguito
enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deducono, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione in relazione agli artt. 666, cod. proc. pen., l. 326 del 2003, art. 9bis , DPR n. 380 del 2001, l.reg. Campania n. 15 del 2000, l. reg. Campania n. 19 del 2009 e l. reg. Campania n. 13 del 2022.
In sintesi, premesso il contenuto dell’ordinanza impugnata, il ricorrente sostiene che dalla lettura del provvedimento sarebbe data evincere la sussistenza della legittimazione degli istanti ad avanzare domanda di condono anche in presenza di acquisizioni al patrimonio, anche se già perfezionati, derivanti da inottemperanza ad ordini di demolizione nonché l’ammissibilità di plurime domande di condono effettuate a seguito della suddivisione fisica di porzioni di fabbricato, prodotte anche dal medesimo richiedente, pur unificando le stesse ai fini del computo complessivo per la verifica del limite volumetrico imposto dalla legge in 750 m³. Sarebbe possibile rilevare un primo macroscopico errore laddove si ritiene infondata l’osservazione difensiva contenuta nella consulenza tecnica di parte, in cui si è sostenuto che la tipologia di abuso, indicata nella domanda di condono del locale commerciale, sarebbe stata erroneamente indicata da COGNOME NOME come la tipologia numero 1 e non già la numero 5. Diversamente, la tipologia invocata, ossia la numero 5, è quella giusta avendo indicato il richiedente nella apposita casella della domanda di condono proprio la tipologia di abuso numero 5, come corroborato dalla copia della domanda allegata alla consulenza tecnica della difesa, di cui in ricorso viene riproposto un estratto. Censurabile sarebbe poi il provvedimento impugnato laddove si afferma che tale argomentazione non troverebbe alcun riscontro in atti in quanto espressamente contraddetta dalla lettura della domanda di condono per nuove opere abusive, contenuta nell’allegato A della consulenza tecnica di parte, dove si fa riferimento alla tipologia di abuso numero 1, confermata anche dalla modalità di calcolo dell’oblazione e degli oneri di concessione. Si tratterebbe tuttavia di un assunto errato in quanto, proprio dall’allegato richiamato, emergerebbe indiscutibilmente che la tipologia di abuso indicata nella domanda di condono del 9 dicembre 2004 ed afferente l’immobile esistente in data anteriore al 1967 è la numero 5, e la relativa modalità di calcolo dell’oblazione è stata calcolata a forfait , ciò che confermerebbe quanto sostenuto dalla difesa, che a tal fine ripropone un estratto della domanda di condono in ricorso. Detta scelta tipologica sarebbe altresì confermata dall’accettazione da parte del Comune del pagamento effettuato, il quale, provvedendo alla successiva istruttoria, ha poi provveduto al materiale rilascio del permesso di costruire in sanatoria nell’anno 2018 e richiamando in detto titolo i pagamenti operati. Del resto, si osserva, la domanda di condono era stata correttamente formulata con tipologia numero 5 in quanto la stessa si riferiva ad un immobile per il quale si era dimostrata la preesistenza volumetrica in epoca anteriore al
1967, allegando alla consulenza della difesa documentazione a sostegno, in particolare costituita dal certificato di residenza storica, dalla documentazione fotogrammetrica e dall’estratto fotogrammetrico, nonché dal rilievo planimetrico-altimetrico della preesistenza edilizia pari a 700 m³ effettuato dal geometra COGNOME: dall’analisi del manufatto esistente, dunque, si sarebbe potuto verificare che l’abuso è riconducibile ad un intervento compatibile con gli elementi tipologici formali e strutturali del manufatto preesistente, tipizzanti ab origine il complesso edilizio, e non presenterebbe caratteristiche di novità rispetto a quanto rilevato nell’indicata perizia di cui alla lettera 9. Su tale punto, tuttavia, il tribunale di Napoli avrebbe totalmente omesso di motivare. Si aggiunge come la volumetria sanata con la domanda di condono secondo la tipologia numero 5 non avrebbe dovuto essere conteggiata ai fini del computo complessivo del volume per la verifica del limite volumetrico previsto dalla legge n. 326 del 2003 in quanto si trattava di un manufatto investito da intervento di risanamento compatibile con la preesistenza edilizia, per la quale era stata dimostrata l’esistenza in data anteriore al 1967. Peraltro, si sarebbe evidenziato come, per mero refuso presente nel ciclostile utilizzato dal dirigente nel rilasciare il titolo edilizio in sanatoria, era stata erroneamente indicata la tipologia numero 1 anziché la tipologia numero 5. Sotto un diverso profilo, si osserva, il sottotetto, oggetto del verbale di sequestro nel 2015, era interessato da lavori di ripristino alle condizioni ante operam eseguiti volontariamente da COGNOME NOME attraverso la SCIA del 16 maggio 2019 riportandolo nelle condizioni di non abitabilità. Richiamata la giurisprudenza del Consiglio di Stato – secondo la quale il sottotetto è volume tecnico non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita e che indice rivelatore dell’intenzione di rendere abitabile in via permanente un sottotetto è la materiale suddivisione in vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante scala interna o che il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, costituisca in realtà una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda – si osserva come in occasione dell’ultimo sopralluogo effettuato in INDIRIZZO si sarebbe riscontrato che il sottotetto in questione è composto da quattro falde inclinate spioventi fino alla linea di gronda e presenterebbe caratteristiche incompatibili con la destinazione ad uso residenziale ed abitabile. Sarebbe dunque evidente che, per la verifica circa il superamento del limite volumetrico di condonabilità di 750 m³, doveva prendersi ad oggetto esclusivamente la volumetria di cui alla domanda di condono numero 2, ovvero quella assunta al protocollo del 9 dicembre 2004, poi sfociata nel rilascio del permesso di costruire in sanatoria dell’anno 2018 avente ad oggetto il solo piano rialzato. Ancora, il volume di cui alla domanda di condono numero 1, quantificato in 218,30 m³, andava escluso dal computo del limite massimo di abitabilità, in quanto si trattava di volumetria appartenente a un manufatto preesistente all’anno 1967 per il quale l’istante avrebbe fornito prova circa la risalente epoca di costruzione. Di tale manufatto, peraltro, si osserva come, all’epoca della sua costruzione, non fosse
obbligatorio acquisire il titolo abitativo edilizio, ciò in base all’articolo 9 bis, comma 1-bis dell’attuale testo unico sull’edilizia. A tal fine si osserva come, nel corso del procedimento di esecuzione, sarebbero stati prodotti ed acquisiti i documenti attestanti tale condizione, da tanto discendendo l’esclusione del volume di tale manufatto dal computo della volumetria massima condonabile. Per quanto invece concerne la cubatura o volumetria di quanto legittimato con permesso di costruire rilasciato nel 2018, la consistenza volumetrica è risultata essere pari a mc. 581,90. Si osserva, pertanto, come il giudice, nel recepire acriticamente quanto osservato dall’architetto COGNOME, avrebbe correttamente concluso per l’estensione superficiale pari a 187,73 mq., ma avrebbe completamente omesso di motivare in ordine al fatto che l’altezza lorda del piano non è di metri 3,22 ma bensì di metri 3,15, parametro da cui si ricava un volume riferito al piano rialzato di 581,90 m³ e non già di 594,83 m³. Ad analoga soluzione deve peraltro pervenirsi con riferimento al cosiddetto piano seminterrato, ossia la cantina del fabbricato destinata nel caso di specie al garage per il posteggio auto che, ai sensi del vigente regolamento edilizio, andava senz’altro escluso dal computo della volumetria. A tal fine il tribunale avrebbe trascurato di considerare che dalla lettura dell’articolo 42, capo 1 del titolo III di tale regolamento, emerge chiaramente la volontà dello stesso di escludere dal computo della volumetria anche le cantine e i garage la cui altezza utile sia superiore a 2,50 ml. per cui, nel detto regolamento, viene espressamente abrogato il comma 5 del medesimo art. 42, che precedentemente includeva in tale computo anche cantine e garage di altezza superiore a metri lineari 2,50, come emergerebbe dall’estratto del regolamento edilizio vigente nel Comune che viene riprodotto a pagina 7 del ricorso. Ne consegue, dunque, che l’occasionale circostanza per la quale, al momento del sopralluogo, il consulente tecnico del pubblico ministero aveva riscontrato nell’indicato garage-cantina la presenza di attrezzature da bricolage o comunque materiali per il fai da te , non sarebbe stato certamente sufficiente per poter determinare una modifica di destinazione d’uso funzionale dell’anzidetto locale da garage ad officina-deposito. Dunque, il consulente tecnico del pubblico ministero avrebbe attribuito al garage-cantina una destinazione d’uso specifica, ossia quella di officina-deposito, conferendo così alla consistenza dello stesso il rango di superficie utile, al solo fine di farla concorrere al calcolo della volumetria: ciò che tuttavia costituirebbe un errore. Infine, si osserva come, con la legge regionale Campania n. 15 del 2000, la regione avrebbe consentito, in deroga agli strumenti urbanistici, il recupero abitativo dei sottotetti esistenti purché possedessero un’altezza media minima di 2,40 ml. I termini di tale legge regionale sarebbero stati ripresi dalla successiva legge sul piano casa del 2009 nonché dall’ultima legge regionale Campania n. 13 del 2022, di disciplina del recupero dei sottotetti esistenti, che ha esteso i limiti temporali ai fini del possibile recupero abitativo fino alla data del 23.08.2022. In definitiva, attualmente sarebbe senza alcun dubbio possibile il recupero abitativo del sottotetto in questione apportandovi delle modifiche interne per il
raggiungimento dell’indicata altezza media di 2,40 mt.: qualora tale recupero superasse per il sottotetto in questione la superficie abitabile, potrebbe apprezzarsi al massimo in 39 mq. circa, superficie per la quale la legge regionale Campania riconosce la possibilità di imprimere l’uso abitativo in considerazione dell’altezza media minima di 2,40 mt; di conseguenza il volume lordo esprimibile potrebbe essere pari a 105,30 m³.
Il Procuratore Generale presso questa Corte con requisitoria scritta del 25 ottobre 2024, ha concluso per l’inammissibilità del congiunto ricorso.
In particolare, secondo il PG, il ricorso reitera le medesime argomentazioni oggetto dell’istanza proposta al GE senza evidenziare, effettivamente, alcuna violazione del percorso motivazionale del provvedimento impugnato. Non si confronta, infatti, il ricorso, adeguatamente con la circostanza che i titoli presuntivamente sananti avrebbero dovuto essere valutati unitamente, da ciò emergendo, non solo secondo l’organo giudicante ma anche e soprattutto in ragione delle conclusioni assunte dal CT nominato, il superamento della volumetria massima di 750 mc consentiti dalle disposizioni in materia di condono all’epoca vigenti. A poco importa, ciò evidenziando, che erroneamente sia stata indicata la tipologia di abuso n. 1 (anziché n. 5) nulla spostando tutto ciò, e qua nt’altro indicato dalla difesa, in termini di volumetria complessiva (superiore ai limiti consentiti) del manufatto osservato nel suo complesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il congiunto ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.
È rilevabile, in particolare la causa di inammissibilità in quanto generico per aspecificità e manifestamente infondato.
2.1. Come correttamente osservato dal PG nella sua requisitoria scritta, infatti, il ricorso congiunto mostra all’evidenza di non confrontarsi con quanto argomentato puntualmente dal giudice di merito, le cui argomentazioni, confutative di quanto acriticamente riproposto davanti a questa Corte di legittimità, rendono evidente la genericità del ricorso. È stato infatti più volte affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970 -01).
2.2. Il motivo è poi manifestamente infondato.
Il giudice di merito ha infatti chiarito nel provvedimento le ragioni per le quali ha ritenuto prive di pregio le argomentazioni difensive circa la condonabilità degli interventi. In particolare, risulta dagli atti valutabili da questa Corte che a COGNOME NOME, ai sensi della legge n. 326/2003, risultano rilasciati due condoni edilizi dal Comune di Giugliano in Campania per le opere oggetto di ordine di demolizione: 1) il permesso in sanatoria n. 200 del 5/07/2018, per la tipologia di abuso di tipo 1, avente ad oggetto le opere abusive costituite dal fabbricato composto dal piano seminterrato adibito a deposito, da un appartamento al piano rialzato e da un sottotetto termico non accessibile; 2) un secondo permesso in sanatoria, n. 198 del 5/7/2018, per tipologia di abuso n. 1, avente ad oggetto un locale al piano rialzato adibito ad attività commerciale. Tutti gli abusi sanati si riferiscono ad un’unica unità immobiliare e sono oggetto dell’ordine di demolizione di cui alla Sentenza del Tribunale di Napoli – sez. dist. di Marano – n. 1518 del 10/10/2000, divenuta irrevocabile il 9 marzo 2001, che fonda il procedimento esecutivo di demolizione oggetto del presente ricorso. Orbene, dalle due relazioni di consulenza tecnica relative alla procedura RESA n. 337/2002 (redatte dall’architetto NOME COGNOME e dall’architetto NOME COGNOME, rispettivamente nella seconda e terza fase dell’esecuzione penale di demolizione) emerge inequivocabilmente -si legge nel provvedimento impugnato – che i due provvedimenti di condono edilizio nn. 198 e 200 del 2018 riguardano un unico edificio (riportato al catasto fabbricati al foglio 52, particella 983, sub 2, 3 e 4) che all’epoca delle richieste di condono (dicembre 2004) era nella esclusiva disponibilità di COGNOME NOME, richiedente entrambi i provvedimenti di sanatoria. Solo nel 2007, infatti, la proprietà dell’intera unità immobiliare abusivamente costruita, composta dal piano seminterrato, dall’appartamento e dal locale commerciale al piano terra nonché dal sottotetto, veniva donata al figlio COGNOME NOME, mantenendo COGNOME NOME la disponibilità quale usufruttuario ‘vita natural durante’ dell’appartamento al piano terra. La richiesta di condono dell’intera unità immobiliare, pertanto, proprio alla luce della giurisprudenza di legittimità e della Corte costituzionale n. 302/1996 (richiamata nella stessa CT di parte del geom. COGNOME a pag. 5 e ss.) non doveva essere frazionata, per cui il calcolo del limite volumetrico di 750,00 metri cubi va verificato sommando i volumi dell’intera unità immobiliare, oggetto dei due condoni.
2.3. Sul punto, venendo al primo dei profili di doglianza svolti dai ricorrenti, corretta è l’affermazione del T ribunale, giudice dell’esecuzione, che ha ritenuto del tutto priva di pregio l’osservazione difensiva contenuta nella relazione di consulenza di parte, secondo cui la tipologia di abuso indicata nella richiesta di condono del locale commerciale è erroneamente indicata in quella 1 (di nuova costruzione) e non in quella 5 (di restauro e risanamento conservativo), sicché i volumi sanati in essa previsti non andavano sommati alla diversa tipologia di abuso della seconda istanza di sanatoria. Tale deduzione -puntualizza il tribunale – non trova alcun riscontro in atti, è contraddetta espressamente dalla lettura della domanda di condono (allegato A della CT di parte) dove si fa riferimento
alla tipologia di abuso n. 1, confermata anche dalle modalità di calcolo dell’oblazione e degli oneri di concessione. A nulla rilevando -si aggiunge nell’ordinanza del giudice dell’esecuzione – la documentazione fornita dalla difesa in merito a presunti fabbricati già esistenti, atteso che la richiesta di condono per nuove opere abusive (dalla stessa parte dichiarate come di tipologia 1) ha impedito di verificare la riconducibilità dell’abuso a modifiche d’uso astrattamente ammissibili in relazione ad interventi di “restauro” o “risanamento conservativo” ex art. 3, comma 1, lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che per legge devono essere compatibili con gli elementi tipologici, formali e strutturali del manufatto preesistente, tipizzanti ab origine il complesso edilizio, e non presentare caratteristiche di novità rispetto ad esso, essendo configurabile, diversamente, un intervento qualificabile come “nuova costruzione”.
2.4. Quanto argomentato dal tribunale non presenta alcun vizio logico -giuridico. Ed infatti, le asserzioni difensive, basate su un asserito travisamento probatorio della documentazione allegata (basate sul ‘copia -incolla’, estratto della domanda di condono 9.12.2004), non hanno all’evidenza alcun pregio, perché si espongono al vizio di genericità, non avendo provveduto la difesa dei ricorrenti all’allegazi one di tale atto, così da consentire a questa Corte di verificare la effettiva sussistenza del travisamento denunciato. Non può, infatti, considerarsi sufficiente la mera riproduzione, per estratto, nel testo del ricorso di una parte del documento cui la difesa fa riferimento (ossia la domanda di condono, prot. 47838 del 9.12.2004), al fine di sostenere l’esistenza di un travisamento probatorio. Questa Corte ha infatti già più volte chiarito come in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione. (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071 -01). Sarebbe stata, quindi, sufficiente la mera allegazione della domanda di condono o la integrale trascrizione del suo contenuto, non operata per estratto come invece avvenuto nel caso di specie, per consentire a questa Corte di apprezzare il vizio denunciato. Non avendovi la difesa provveduto il profilo di doglianza è pertanto inammissibile.
2.5. Il giudice, peraltro, prosegue nella delibazione dell’istanza difensiva proposta in sede di incidente di esecuzione, evidenziando poi come, in relazione alla verifica della cubatura unitariamente considerata nei due condoni edilizi, emergesse chiaramente il superamento del limite di condonabilità quantitativo previsto dal d.l. 269/2003 (cubatura max. di 750 mc.). Si legge infatti come, dalla nota tecnica del 26.4.2024, redatta dal direttore dei lavori arch. NOME COGNOME nominato dall’ufficio di Procura per la demolizione delle opere abusive della presente procedura esecutiva, emergeva la palese erroneità dei volumi dichiarati nelle istanze di condono (218,30 mq. per la domanda n. 47838/2004 e 471,70 per la domanda n. 47844/2004), di gran lunga inferiore ai volumi reali. In particolare, si precisa nel provvedimento impugnato, manca del tutto la
valutazione volumetrica del sottotetto, che è stato valutato dal CT del PM arch. COGNOME nella misura di mq. 220, per una volumetria di 330 mc.; è risultato sottostimato il volume della restante parte dell’immobile (piano rialzato e piano seminterrato), poiché, contrariamente a quanto prevede la normativa tecnica richiamata a pag. 4 della nota citata, i volumi, solo parzialmente indicati, sono stati peraltro calcolati erroneamente al netto e non al lordo. Per altro verso, nel calcolo della volumetria non sono stati compresi il sottotetto ed il piano seminterrato, che per volumetria, autonomia funzionale e caratteristiche fisico-morfologiche, come specificate nella richiamata CT, andavano considerati. A riprova dell’abitabilità del sottotetto -che, precisa il giudice di merito, contrariamente a quanto sostenuto nelle controdeduzioni della difesa non può ritenersi volume tecnico quando è suscettibile di abitabilità o comunque è di altezza tale da assolvere a funzioni abitative complementari, quale quella ad esempio di deposito di materiali (cfr. TAR Campania sez. VIII n. 399012015) si rileva nell’ordinanza impugnata che lo stesso è stato oggetto di sequestro preventivo nel 2015 in quanto il ricorrente aveva provveduto al cambio di destinazione d’uso da sottotetto a civile abitazione, mediante l’esecuzione di ulteriori opere abusive. Pertanto, le volumetrie realizzate al momento delle due richieste di condono andavano diversamente calcolate: per quella assentita con PdC n. 198/2018 in 214,93 mc. e per quella del PdC n. 200/2018 in quella di mc. 1.399,53, volumetrie che, dovendo essere sommate in un’unica istanza di condono, per quanto sopra precisato, superavano ampiamente i limiti quantitativi di condonabilità previsti dal legislatore per sanare piccoli abusi, rendendo il rilascio dei permessi in sanatoria palesemente illegittimi. Va inoltre evidenziato che, prosegue l’ordinanza impugnata, con nota integrativa depositata il 13 maggio 2024, il CT del PM, a seguito di sopralluogo eseguito presso l’immobile, ha confermato le conclusioni in precedenza svolte. Il sopralluogo eseguito, infatti, ha escluso di poter ritenere il piano seminterrato escluso dalla volumetria calcolabile, poiché, da un lato, esso non è destinato ad autorimessa, a cantina o a servizi tecnici, trattandosi di officina-deposito. Come lo stesso tecnico della difesa indica, lo stesso è dunque secondo l’art. 41 del R.E. un locale accessorio quale magazzino-deposito in genere, appartenente alla categoria S2, e come tale risulta individuato nell’istanza di condono edilizio prot. 47844 come Superficie non residenziale (deposito e pertinenze) per 98,30 mq. A seguito del sopralluogo eseguito, il solo piano rialzato è risultato essere di 184,73 mq, con un volume pari a mq. 594,83. Il piano rialzato contenuto del PdC n. 200/2018 (escludendo seminterrato e sottotetto), se dunque sommato al PdC n. 198/2018, quale unità abitativa unica nella esclusiva disponibilità di COGNOME NOME, supera da solo i limiti di condonabilità di 750 mc. (594,83 mc. + 214,93 mc. = 809,76). Calcolando invece l’intera volumetria che ricompresa nel volume oggetto di sanatoria, il seminterrato il sottotetto ed il piano rialzato raggiungono una volumetria complessiva di mc. 1.372,36, come tale non condonabile. Il CT arch. COGNOME peraltro, ha precisato che ha seguito del sopralluogo eseguito l’11/5/2024, ad
una verifica con l’utilizzo di immagini satellitari storiche estratte da Google Eearth – Maps, il subalterno 2 (locale commerciale condonato con P.d.c. n. 198/2018) è risultato già oggetto di un ampliamento verso la INDIRIZZO, ampliamento che l’amministrazione avrebbe dovuto verificare in sede di cd. doppia congruità.
2.6. Al cospetto di tale apparato argomentativo le doglianze della difesa dei ricorrenti si appalesano dunque prive di pregio, in quanto si risolvono nel ‘dissenso’ sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la ordinanza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 3416 del 26/10/2022 -dep. 26/01/2023, Lembo, n.m.; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, COGNOME, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246552).
2.7. Orbene, dalla lettura del provvedimento impugnato, ciò che emerge in maniera inequivocabile è che – anche laddove si fossero esclusi dal computo volumetrico il locale sottotetto ed il locale seminterrato -proprio a seguito del sopralluogo eseguito, il solo piano rialzato è risultato essere di 184,73 mq, con un volume pari a mq. 594,83. In altri termini, il piano rialzato contenuto del PdC n. 200/2018 (escludendo seminterrato e sottotetto), se sommato al PdC n. 198/2018, quale unità abitativa unica nella esclusiva disponibilità di NOME NOME supera da solo i limiti di condonabilità di 750 mc. (594,83 mc. + 214,93 mc. = 809,76) e, pertanto, esclude la legittimità dei titoli abilitativi sananti.
2.8. Non ha quindi alcun rilievo la censura difensiva volta a contestare la mancata esclusione del sottotetto e del seminterrato dal computo volumetrico nonché l’asserita violazione dell’art. 9 -bis, comma 1-bis, d.P.R. n. 380 del 2001 e delle disposizioni delle leggi reg. Campania, susseguitesi nel tempo, riguardanti il recupero abitativo dei sottotetti, proprio perché quanto argomentato dal giudice di merito, pur escludendo detti locali dal predetto computo, ha concluso del tutto logicamente, sulla base di un mero calcolo aritmetico, che si trattava di unità non condonabile in quanto risultava superato il limite dei 750 mc. Donde ne discende l’assoluta ineccepibilità del provvedimento che non si espone ad alcuno dei vizi denunciati.
Il congiunto ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 14/11/2024