Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1867 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1867 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/12/2022 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 17 marzo 2021 il Tribunale di Napoli in funzione di giudice dell’esecuzione revocò l’ordine di demolizione delle opere edili realizzate in Napoli, INDIRIZZO, contenuto nella sentenza della Pretura di Napoli n. 8557 del 21 novembre 1997, divenuta irrevocabile il 9 gennaio 2018 nei confronti di NOME COGNOME. La revoca fu disposta ac:cogliendo l’istanza proposta il 21 settembre 2019 da NOME COGNOME, erede della NOME, terza interessata nella procedura RESA n. 61/98. Il Tribunale rilevò: che, dopo la condanna, la NOME aveva presentato richiesta di condono ai sensi della legge 23 dicembre 1994 n. 724; che la richiesta di condono era stata accolta dal Comune di Napoli e, con delibera dirigenziale n. 32321/2013, i relativi abusi edilizi erano stati condonati.
A seguito del ricorso proposto dal Pubblico ministero, l’ordinanza fu annullata dalla Terza Sezione penale di questa Corte di cassazione con sentenza n. 5572/22 del 10 dicembre 2021. Al giudice di rinvio fu chiesto di esaminare «con puntualità i profili di fatto della vicenda» al fine di verificare se fossero maturate preclusion processuali. Il Pubblico ministero ricorrente, infatti, aveva documentato:
che a carico della COGNOME, per lo stesso immobile abusivo, erano state pronunciate tre sentenze di condanna irrevocabili a seguito delle quali erano state avviate due procedure RESA (la n. 413/98 e la n. 61/98);
che con riferimento a ciascuna di queste procedure erano stati proposti incidenti di esecuzione (da NOME COGNOME, quanto alla procedura RESA n. 413/98; da NOME COGNOME, quanto alla procedura RESA n. 61/98);
che, a sostegno della richiesta di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione, le eredi della COGNOME avevano fatto valere le istanze di sanatoria n. 9494/95 e n.9495/95;
che nella procedura avverso l’ingiunzione a demolire RESA 413/98 il Giudice dell’esecuzione di Napoli aveva dichiarato l’illegittimità del condono disposto con la delibera dirigenziale n. 32321/2013, trattandosi di provvedimento adottato in violazione dei limiti volumetrici e dei limiti temporali;
che, contro quella ordinanza, era stato proposto ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione, dichiarato inammissibile con sentenza n. 6336 del 02/12/2020.
Giudicando in sede di rinvio, il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile l’istanza di incidente di esecuzione proposta da NOME COGNOME il 21 settembre 2019 nella procedura RESA n. 61/98.
A sostegno di tale decisione ha osservato: che nella procedura RESA n. 413/98 la delibera dirigenziale n.32321/2013 è stata dichiarata illegittima; che il ricorso proposto contro tale statuizione è stato dichiarato inammissibile sicché
l’illegittimità della delibera sopra indicata è stata definitivamente accertata; ch pertanto la legittimità del condono, astrattamente idonea a comportare la revoca degli ordini di demolizione dell’immobile, è stata oggetto di decisione definitiva e la ricorrente non poteva proporla ancora una volta all’attenzione del Giudice dell’esecuzione.
2. Per mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza del 3 dicembre 2022. Il difensore deduce erronea applicazione di legge e vizi di motivazione. Si duole che la decisione definitiva adottata nella procedura RESA n. 413/98, con riferimento all’incidente di esec:uzione proposto da NOME COGNOME, sia stata ritenuta idonea a determinare l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione proposto da NOME COGNOME riguardante la procedura RESA n. 61/1998, avente ad oggetto l’ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna emessa dal Pretore di Napoli il 21 novembre 1997 (irrevocabile il 9 gennaio 1998).
La difesa osserva che NOME COGNOME è stata condanNOME con più sentenze per più violazioni della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non riguardanti un unico immobile, bensì più immobili attigui, che, dopo la sua morte, sono entrati in successione. Rileva che, a seguito di divisione ereditaria, NOME COGNOME è proprietaria esclusivamente dell’opera abusiva oggetto della sentenza di condanna del 21 novembre 1997, costituita da una «muratura di recinzione sormontata da trave in c.a. e struttura in ferro con copertura in lamiere, avente superficie di mq. 100 adibita a rimessa auto».
La difesa sostiene che quest’opera è stata oggetto della delibera dirigenziale n. 32321/2013 e, solo per quest’opera, oggetto dell’istanza di condono n. 9494/95, è stato rilasciato il permesso in sanatoria. Secondo la difesa, l’incidente di esecuzione proposto da NOME COGNOME nella procedura RESA n. 413/98 aveva ad oggetto un immobile diverso, oggetto della istanza di condono n. 9495/95.
La difesa osserva che la delibera dirigenziale n. 3232:L/2013 si riferisce soltanto all’immobile di proprietà di NOME COGNOME oggetto della sentenza del 21 novembre 1997 (irrevocabile il 9 gennaio 1998) e della procedura RESA n. 61/98. Sarebbe pertanto manifestamente illogico aver affermato che quella delibera sia stata disapplicata nel procedimento che aveva ad oggetto la procedura RESA n. 413/98 riguardante una diversa condanna (sentenza del Pretore di Napoli dell’8 novembre 1994, irrevocabile il 28 dicembre 1994) e l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un diverso immobile, attribuito nella divisione ereditaria a NOME COGNOME. Secondo la difesa, questo diverso immobile fu oggetto della domanda di condono n. 9495/95 che fu respinta dal Comune di Napoli perché
l’opera non era stata ultimata nei limiti temporali previsti dalla legge 724/1994. In sintesi, secondo la difesa:
l’ordinanza impugNOME avrebbe illogicamente ritenuto che l’incidente di esecuzione proposto in relazione al diverso immobile di proprietà di NOME COGNOME sia stato respinto in virtù della disapplicazione della delibera dirigenziale n. 32321/2013 che in quel giudizio non veniva in c:onsiderazione;
il giudice dell’esecuzione avrebbe disatteso le indicazioni della sentenza di annullamento perché non avrebbe esaminato con la dovuta puntualità i profili di fatto della vicenda.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Si deve subito osservare che il giudice dell’esecuzione si è attenuto alle indicazioni della sentenza di annullamento perché ha esaminato le tre sentenze di condanna pronunciate dal Pretore di Napoli nei confronti di NOME e ha valutato se gli ordini di demolizione RESA n. 413/98 e RESA n. 61/98, emessi per dare esecuzione a quelle sentenze, avessero ad oggetto lo stesso manufatto o manufatti differenti.
Dall’ordinanza impugNOME risulta quanto segue:
il 29 dicembre 1992 fu accertata la realizzazione di opere abusive, non ancora ultimate, «finalizzate alla copertura di una zona di circa nnq.100 da adibire a rimessa auto»; tali opere furono sottoposte a sequestro, e per tali abusi edilizi la COGNOME fu condanNOME con sentenza dell’8 novembre 1994, irrevocabile il 28 dicembre 1994;
il 22 febbraio 1993 si accertò che i sigilli apposti al manufatto erano stati violati e i lavori erano proseguiti realizzando una copertura in lamiere della superficie di 100 mq adibita a rimessa; per tali abusi edilizi (oltre che per la violazione dei sigilli) la COGNOME fu condanNOME con sentenza del 21 novembre 1997, irrevocabile il 9 gennaio 1998, con la quale fu disposta la demolizione delle opere abusive;
in data 6 agosto 1994 si accertò che i lavori «già denunciati il 22 febbraio 1993» erano proseguiti «mediante la realizzazione di un manufatto in tufo e c.a. con copertura in lamiera». Pertanto, nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
fu pronunciata sentenza di condanna del 4 maggio 1998 (irrevocabile il 25 giugno 1998) con la quale fu disposta la demolizione delle opere abusive.
Secondo l’ordinanza impugNOME, tutte le sentenze avevano ad oggetto il medesimo manufatto realizzato in Napoli INDIRIZZO. Col passaggio in giudicato delle sentenze di condanna furono posti in esecuzione due ordini di demolizione aventi rispettivamente n. 413/98 e n. 61/98 che avevano ad oggetto quel manufatto.
Contro l’ordine di demolizione n. 413/98, propose incidente di esecuzione NOME COGNOME evidenziando l’esistenza di istanze di sanatoria e opponendo il rilascio del condono da parte del Comune di Napoli. Il relativo procedimento si concluse con ordinanza di rigetto della domanda di revoca della demolizione che dichiarò l’illegittimità del condono concesso dal Comune con la delibera dirigenziale n. 32321/2013. Questa ordinanza fu impugNOME con ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione, ma il ricorso fu dichiarato inammissibile dalla Terza Sezione penale di questa Corte con sentenza n. 6336/21 del 2 dicembre 2020.
Secondo l’ordinanza impugNOME ciò comporta l’inammissibilità dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione n. 61/98 proposta da NOME COGNOME (che ha dato luogo al presente procedimento) perché questa istanza si fonda su una delibera dirigenziale già dichiarata illegittima e disapplicata con decisione definitiva.
La difesa contesta tali argomentazioni sostenendo che i due ordini di demolizione hanno ad oggetto manufatti diversi: uno di proprietà di NOME COGNOME, l’altro di proprietà di NOME COGNOME, odierna ricorrente. Osserva, inoltre, che l’immobile di proprietà di NOME COGNOME era stato oggetto della istanza di condono n. 9495/1995 che non è stata accolta dal Comune, sicché nell’incidente di esecuzione relativo a questo immobile non v’è stata disapplicazione della delibera dirigenziale e sulla legittimità di questa delibera non si è formato alcun giudicato.
3. Il ricorso non fornisce documentazione idonea a dimostrare che gli immobili oggetto dei due ordini di demolizione siano differenti e non si tratti – come affermato dall’ordinanza impugNOME (pag. 6) – di un unico manufatto la cui costruzione iniziò nel 1992 con la realizzazione di un muro in continuazione di uno preesistente, sormontato da travi per coprire una rimessa di auto di circa 100 mq; proseguì nel 1993, quando fu realizzata la copertura della rimessa (violando i sigilli apposti nel 1992), e proseguì ancora fino al 1994.
La circostanza che si tratti di immobili differenti, peraltro, è smentita dall lettura della sentenza n. 6336/21 del 2 dicembre 2020 pronunciata dalla Terza sezione penale di questa Corte nel procedimento relativo all’incidente di
esecuzione promosso da NOME COGNOME. Nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto contro l’ordinanza che aveva respinto la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione RESA n. 413/98, infatti, la sentenza n. 6336/21 dà atto (pag.3 e 4) che «con riferimento alla costruzione oggetto dell’ordine di demolizione emesso con la sentenza penale di condanna erano state presentate due differenti istanze di condono, relative a due diverse porzioni dell’unico immobile abusivo». Dalla lettura della sentenza emerge, inoltre (pag.4), che «il provvedimento di condono relativo ad una porzione dell’immobile abusivo» fu ritenuto illegittimo dal giudice dell’esecuzione proprio perché era stato pronunciato con riferimento a una delle due istanze di condono presentate da NOME COGNOME (n. 9494/95 e n. 9495/95) senza tenere conto che quelle domande avevano ad oggetto due parti di un’unica struttura ed erano state presentate separatamente al fine di eludere il limite di cubatura previsto dalla legge 724/1994. Ed invero, proprio la ritenuta unitarietà dell’opera abusiva autorizzava il giudice dell’esecuzione investito dalla domanda proposta da NOME COGNOME (erede della porzione di immobile oggetto della domanda di condono n. 9495/95) ad esaminare la legittimità del condono concesso dal Comune di Napoli con la disposizione dirigenziale n. 32321/2013 in relazione alla porzione dell’immobile oggetto della domanda di condono n. 9494/95 della quale, a seguito di divisione ereditaria, è proprietaria NOME COGNOME, odierna ricorrente.
Per quanto esposto, quando ha ritenuto che sull’illegittimità della delibera n. 32321/2013 si fosse già formato giudicato, l’ordinanza impugNOME ha compiuto una valutazione non illogica né contraddittoria. Ha constatato, infatti, che il Tribunale di Napoli quale Giudice dell’esecuzione con ordinanza del 27 febbraio 2020 si era già pronunciato in tal senso e che il ricorso proposto contro quella ordinanza era stato dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione con la citata sentenza n. 6336/21
4. Non rileva in contrario che la disapplicazione della delibera n. 32321/13 sia stata disposta nel corso di un incidente di esecuzione, promosso da NOME COGNOME, con riferimento a un ordine di demolizione diverso da quello oggetto del presente ricorso, emesso in esecuzione di una diversa sentenza di condanna. Nel respingere la domanda di revoca dell’ordine di demolizione RESA n. 413/98, infatti, il Giudice dell’esecuzione non si limitò a rilevare che, per la parte manufatto di proprietà di NOME COGNOME la domanda di condono n. 9495/95 non era stata accolta; evidenziò anche che in relazione ad un unico manufatto erano state presentate due domande di condono al fine di eludere i limiti previsti dalla legge n. 724/1994 per ottenere il permesso in sanatoria; chiarì, inoltre, che le due domande si riferivano in realtà ad un unico manufatto la cui
volumetria doveva essere unitariamente considerata sicché la sanatoria concessa in relazione alla parte di immobile oggetto della domanda n.9494/95 doveva essere disapplicata e poteva procedersi alla demolizione del manufatto unitariamente considerato.
A ciò deve aggiungersi che, come risulta dall’ordinanza impugNOME (pag. 4) la sentenza dell’8 novembre 1994 (irrevocabile il 28 dicembre 1994) – cui, secondo la ricorrente, si riferiva l’ordine di demolizione n. 413/1998 — aveva ad oggetto opere in corso di esecuzione che , fino a quel momento, avevano comportato: la realizzazione di un «tratto di muro di confine in tufo lungo metri 6, di altezza di metri 4,20 circa»; la sopraelevazione di un «preesistente tratto di muro lungo 13 metri, della altezza di m. 2,70 circa»; la costruzione di un trave in cemento armato (che sormontava quei muri) al quale era collegata una orditura in ferro sostenuta da quattro pilastri in ferro sulla quale doveva essere appoggiata una copertura; la installazione di due cancelli (uno scorrevole e uno pedonale di più piccole dimensioni) attraverso i quali si accedeva all’area, la cui superfice complessiva era di circa 100 mq.
Queste opere (oggetto della prima sentenza di condanna) furono sottoposte a sequestro il 29 dicembre 1992 ed è opportuno sottolineare che l’ordine di demolizione n. 61/98, oggetto del presente ricorso, è stato emesso in esecuzione della sentenza del 21 novembre 1997 (irrevocabile il 9 gennaio 1998) avente ad oggetto opere abusive consistenti nella realizzazione di una «muratura di recensione sormontata da trave in c.a. e struttura in ferro con copertura in lamiere, avente superficie di mq. 100, adibita a rimessa auto» che fu accertata il 22 febbraio 1993 (unitamente alla violazione dei sigilli apposti il 29 dicembre 1992). Quanto esposto infatti – come l’ordinanza impugNOME sottolinea – rende evidente non solo l’identità dei due manufatti, ma anche l’unlicità dell’immobile, pur fatto oggetto di due separate domande di sanatoria.
Si deve ricordare, allora, che la sanatoria prevista dalla legge 724/1994 poteva riguardare opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 e certamente le opere di cui si tratta non lo erano atteso che i lavori furono interrotti d sequestro del 29 dicembre 1992 e poi, nuovamente, il 22 febbraio 1993. Doveva trattarsi, inoltre, di opere tali da non comportare «ampliamento del manufatto superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, nonché per le opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia» e, per giurisprudenza consolidata, questa norma deve essere interpretata nel senso che, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti pe concedibilità della sanatoria, ogni edificio deve intendersi «quale complesso
unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso» (Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, RV. 231643; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 2014, Cantiello, Rv. 259292; Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280; Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019, COGNOME, Rv. 276084).
5. L’ordinanza impugNOME ha ritenuto inammissibile la domanda di revoca dell’ordine di demolizione n. 61/98 osservando che una nuova pronuncia era preclusa perché quella domanda era fondata sulla intervenuta sanatoria delle opere abusive, ciò avrebbe imposto al giudice dell’esecuzione di accertare incidentalmente la legittimità di un provvedimento di sanatoria che era già stato dichiarato illegittimo nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto il diverso ordine di demolizione n. 413/1998 relativo al medesimo immobile. A conferma di tali conclusioni, l’ordinanza ha sottolineato che la domanda di revoca dell’ordine di demolizione n. 413/1998, pur proposta da persona diversa e con riferimento all’esecuzione di una diversa sentenza, riguardava in realtà la demolizione del medesimo immobile ed era fondata sul medesimo provvedimento di sanatoria già ritenuto illegittimo proprio perché adottato senza tenere conto della data di ultimazione del manufatto unitariamente considerato e della sua volumetria complessiva.
Il ricorso non si confronta con tali argomentazioni, ma si limita a sostenere che l’incidente di esecuzione intentato da NOME COGNOME riguardava un manufatto diverso portando a sostegno di questo assunto la diversità delle pratiche di condono e delle procedure esecutive. Le censure formulate non sono corredate da documentazione idonea a contrastare le conclusioni cui l’ordinanza impugNOME è giunta e si fondano su argomenti formali che il Giudice dell’esecuzione ha considerato e confutato con argomentazioni complete e coerenti.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE
delle ammende, somma così determiNOME in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 28 novembre 2023
Il Consiglier estensore
Il Presidente