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Condizioni detenzione inumane: onere della prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto per il ristoro legato a presunte condizioni detenzione inumane. La sentenza chiarisce che, sebbene le allegazioni del detenuto godano di una presunzione di veridicità, questa può essere superata dalle relazioni dell’amministrazione penitenziaria. In tal caso, il ricorrente non può limitarsi a ribadire le proprie lamentele, ma deve fornire elementi concreti per contestare le prove contrarie.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Condizioni Detenzione Inumane: Quando la Parola del Detenuto Non Basta

Il tema delle condizioni detenzione inumane è centrale nel dibattito sulla dignità della pena e sul rispetto dei diritti fondamentali. La legge italiana, con l’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario, offre uno strumento di tutela per chi subisce trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23536/2024) fornisce chiarimenti cruciali sull’onere della prova in questi procedimenti, stabilendo i limiti della presunzione di veridicità delle dichiarazioni del detenuto.

I Fatti del Caso

Un detenuto aveva presentato un reclamo chiedendo un ristoro per le condizioni detenzione inumane che sosteneva di aver subito in diversi istituti penitenziari. In prima istanza, il Magistrato di sorveglianza aveva accolto solo parzialmente la sua richiesta. Successivamente, il Tribunale di sorveglianza, in sede di reclamo, aveva rigettato completamente le ulteriori doglianze del detenuto.

Contro questa decisione, il difensore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e del diritto di difesa. In particolare, si contestava il mancato svolgimento di una perizia tecnica per accertare le effettive condizioni dei luoghi di detenzione, insistendo sulla natura degradante del trattamento subito.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione conferma la correttezza del provvedimento del Tribunale di sorveglianza, ritenendo la sua motivazione esauriente e priva di vizi logici o giuridici.

Le Motivazioni: l’Onere della Prova nelle Condizioni Detenzione Inumane

Il cuore della sentenza risiede nel bilanciamento dell’onere della prova. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: le allegazioni del detenuto, a fondamento di una domanda di ristoro, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità. Questo significa che, inizialmente, spetta all’Amministrazione penitenziaria fornire elementi di segno contrario per smentire quanto affermato.

Nel caso specifico, l’Amministrazione aveva prodotto relazioni che contraddicevano le lamentele del detenuto. A questo punto, secondo la Corte, la presunzione a favore del detenuto viene meno. Il Tribunale di sorveglianza aveva correttamente osservato che il reclamante non aveva fornito alcun elemento concreto a sostegno di una possibile erroneità o falsità delle attestazioni ufficiali.

La Cassazione ha chiarito che non è sufficiente, per il detenuto, ‘persistere nel concettualizzare manchevolezze meramente ipotetiche’ o ‘contraddire apertamente le risultanze semplicemente ripetendo affermazioni che risultano già smentite’. In assenza di specifici e nuovi elementi probatori offerti dal ricorrente, il giudice non è tenuto a disporre ulteriori accertamenti tecnici, come una perizia. Il ricorso in Cassazione è stato quindi giudicato generico e ripetitivo, poiché si limitava a riproporre censure già adeguatamente esaminate e respinte nel merito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia offre importanti indicazioni pratiche. Se da un lato il sistema tutela il detenuto attraverso una presunzione di veridicità delle sue affermazioni, dall’altro tale presunzione non è assoluta. Quando l’Amministrazione penitenziaria fornisce documentazione che contrasta la versione del detenuto, l’onere probatorio si sposta nuovamente. Il detenuto che intende proseguire nella sua azione deve fare di più che semplicemente insistere: deve contestare in modo specifico le prove avversarie, adducendo elementi che ne minino l’attendibilità. La mera ripetizione delle proprie lamentele, di fronte a prove contrarie, è destinata a non trovare accoglimento.

Le dichiarazioni di un detenuto sulle condizioni di detenzione sono sempre sufficienti a provare un trattamento inumano?
No. Le sue dichiarazioni sono assistite da una presunzione iniziale di veridicità, ma se l’Amministrazione penitenziaria fornisce prove contrarie (come relazioni ufficiali), il detenuto deve offrire elementi specifici per contestarle, non potendo limitarsi a ripetere le sue affermazioni.

Cosa deve fare l’amministrazione penitenziaria per contestare le affermazioni di un detenuto?
L’Amministrazione penitenziaria deve fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario, come relazioni dettagliate sulle condizioni della cella e dell’istituto, che smentiscano le doglianze formulate dal detenuto.

Perché la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del detenuto in questo caso?
La Corte lo ha rigettato perché le lamentele del detenuto erano state efficacemente contraddette dalle relazioni dell’autorità penitenziaria. Il ricorrente, a sua volta, non ha fornito alcun elemento concreto per dimostrare l’erroneità o la falsità di tali relazioni, limitandosi a ripetere in modo generico le sue accuse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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