Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23536 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23536 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
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Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 maggio 2023, il Tribunale di sorveglianza di Firenze rigettava il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso il 27 ottobre 2022 dal Magistrato di sorveglianza di Siena, che aveva accolto solo parzialmente, rigettandola per il resto, l’istanza volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen., ristoro per le condizioni di detenzion che, secondo il reclamo, NOME aveva subìto in alcuni istituti penitenziari.
Avverso il menzionato provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Firenze, il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con atto in cui deduce violazione di legge criticando il mancato espletamento di una perizia e lamentando la violazione del diritto di difesa. Sostiene che NOME è stato detenuto in condizioni inumane e degradanti anche nei periodi in relazione ai quali il reclamo è stato rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, in tema di rimedi ex art. 35-ter ord. pen., non è sufficiente, al fine di escludere la violazione dell’art. CEDU, che la cella abbia dimensioni superiori a 3/4 mq., dovendosi altresì tener conto delle ulteriori condizioni che possono rendere comunque degradante il trattamento detentivo. (Sez. 1, n. 16116 del 27/01/2021, Rv. 281356 – 01; Sez. 1, n. 30030 del 11/09/2020, Rv. 279793 – 01).
È stato chiarito che, nei procedimenti instaurati ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen., le allegazioni dell’istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte fondamento di una domanda sufficientemente determinata e riscontrata sotto il profilo dell’esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull’Amministrazione penitenziaria l’onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario. (Sez. 1, n. 23362 del 11/05/2018, Rv. 273144 – 01).
Rilevato in astratto quanto sopra, deve ritenersi, con riguardo al caso concreto in esame, e alla luce dei suddetti principi pienamente condivisibili, che la motivazione dell’ordinanza risulta esauriente e immune da vizi logici e giuridici.
Il Tribunale di sorveglianza ha chiarito che le doglianze formulate reclamante sono contraddette dalle risultanze contenute nelle relazi dell’autorità penitenziaria e che il reclamante non ha allegato – né emerge elemento a sostegno dell’ipotesi di sussistenza di erroneità tecnica o f ideologica delle attestazioni. Il Tribunale di sorveglianza ha spi congruamente che elementi in tal senso «non possono individuarsi nel fatto che l’interessato persista sia nel concettualizzare manchevolezze meramente ipotetiche delle risultanze contrarie alle proprie convenienze, sia nel contraddire apertamente le suddette risultanze semplicemente ripetendo affermazioni che risultano già smentite dall’autorità penitenziaria».
La motivazione resa dal Tribunale di sorveglianza espone con chiarezza un ragionamento convincente. Non emergeva, in tale situazione, alcuna necessità d disporre accertamenti tecnici.
Il provvedimento impugnato, quindi, supera il vaglio di legittimità demandat a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto dell della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzame delle circostanze fattuali. A fronte di tale esaustiva motivazione, il rico cassazione espone critiche generiche, ripetitive delle censure già adeguatame trattate dal giudice del merito.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 9 gennaio 2024.