Condizioni Detentive: Quando un Ricorso è Troppo Generico per Essere Accolto
Le condizioni detentive rappresentano un tema centrale nel diritto penale, poiché toccano la dignità della persona anche durante l’espiazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del processo: per contestare una decisione, non basta lamentarsi, ma occorre formulare critiche precise e circostanziate. Vediamo nel dettaglio come la Suprema Corte ha affrontato un caso relativo a presunte violazioni dei diritti di un detenuto.
I Fatti del Caso
Un detenuto aveva presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza lamentando le condizioni di vita patite in diversi istituti penitenziari. In particolare, il ricorrente denunciava il sovraffollamento e altre carenze strutturali che, a suo dire, integravano un trattamento inumano e degradante, in violazione delle norme dell’ordinamento penitenziario.
Il Tribunale di Sorveglianza, dopo aver esaminato la documentazione fornita dall’amministrazione penitenziaria, aveva respinto il reclamo. Secondo il Tribunale, il detenuto aveva sempre usufruito di uno spazio individuale superiore ai quattro metri quadrati e non erano emerse criticità rilevanti riguardo ai servizi igienici, alla doccia, all’accesso alla luce, al riscaldamento o all’acqua potabile.
Insoddisfatto della decisione, il detenuto ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse errato nella valutazione delle prove.
La Decisione della Corte di Cassazione sulle Condizioni Detentive
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione (ovvero, se le condizioni detentive fossero effettivamente adeguate), ma si ferma a un livello precedente, quello procedurale. Secondo la Corte, il ricorso non superava il cosiddetto “vaglio di ammissibilità” perché le censure mosse erano generiche e manifestamente infondate.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha basato la sua decisione su alcuni pilastri argomentativi molto chiari:
1. Genericità delle Censure: Il motivo principale dell’inammissibilità risiede nella genericità del ricorso. Il detenuto non ha formulato una critica specifica e puntuale alle argomentazioni del Tribunale di Sorveglianza. Invece di smontare il ragionamento del giudice, si è limitato a riproporre la propria versione dei fatti e a sollecitare un nuovo apprezzamento delle prove, cosa che non è permessa in sede di legittimità.
2. Mancata Prova del Travisamento: Il ricorso non ha indicato alcun “travisamento” da parte del Tribunale. In altre parole, non è stato dimostrato che il giudice di sorveglianza avesse letto o interpretato male le prove documentali (come le relazioni dell’amministrazione penitenziaria). Presentare una “lettura alternativa” degli stessi elementi non è sufficiente per ottenere l’annullamento di una decisione.
3. Conferma della Valutazione del Tribunale: La Corte ha evidenziato come il Tribunale di Sorveglianza avesse correttamente valorizzato le informazioni fornite dagli istituti, dalle quali emergeva che i parametri minimi di vivibilità, a partire dallo spazio individuale, erano rispettati e non sussistevano situazioni di degrado.
Le Conclusioni
L’ordinanza è significativa perché ribadisce un principio cruciale per chiunque intenda impugnare un provvedimento giudiziario. Non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione; è necessario costruire un’argomentazione legale solida, che individui con precisione i vizi logici o giuridici del provvedimento impugnato. Nel contesto delle condizioni detentive, ciò significa che il ricorrente deve essere in grado di dimostrare, ad esempio, che i calcoli sullo spazio disponibile erano errati o che le relazioni amministrative sono state palesemente travisate dal giudice. In assenza di tali elementi, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure erano generiche, non criticavano specificamente le argomentazioni della decisione impugnata e si limitavano a proporre una lettura alternativa delle prove senza dimostrare un errore manifesto (travisamento) da parte del Tribunale di Sorveglianza.
Quali standard minimi per le condizioni detentive emergono dalla decisione?
La decisione evidenzia che uno standard chiave è la disponibilità di una superficie individuale superiore ai quattro metri quadrati. Inoltre, viene chiarito che le condizioni dei sanitari, della doccia, l’accesso alla luce, al riscaldamento e all’acqua potabile non devono presentare criticità tali da configurare un degrado della vita detentiva.
Cosa comporta una dichiarazione di inammissibilità per un ricorso palesemente infondato?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di denaro (in questo caso tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver promosso un’impugnazione colpevolmente priva di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26733 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26733 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ALBANO LAZIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso proposto da NOME COGNOME e l’ordinanza impugnata.
Rilevato che l’unico motivo dedotto non supera il vaglio di ammissibilità per la genericità delle censure ed è, comunque, manifestamente infondato perché non scandito da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione, finendo, nella sostanza, nonostante la formale denuncia del vizio di violazione di legge, per sollecitare nuovi apprezzamenti da sovrapporre a quelli, non manifestamente illogici, del Tribunale di sorveglianza.
L’ordinanza GLYPH impugnata, GLYPH valorizzando GLYPH le GLYPH informazioni GLYPH fornite dall’amministrazione penitenziaria, nemmeno contestate dal ricorrente, ha escluso la sussistenza delle condizioni legittimanti i rimedi previsti dall’art. 35-ter Ord. pen. con riferimento alle carcerazioni patite presso gli istituti penitenziari Velletri, Cassino e Roma Rebibbia, evidenziando che il detenuto, oltre ad avere avuto a disposizione, sulla base dei calcoli correttamente eseguiti dal Magistrato di sorveglianza, una superficie individuale superiore ai quattro metri quadrati, non aveva patito situazioni di degrado della vita detentiva. Alla luce della documentazione fornita dall’amministrazione penitenziaria, non hanno dato luogo a criticità rilevanti né le condizioni dei sanitari e della doccia né le modalità e tempi di accesso alla luce, al riscaldamento e all’acqua potabile. Il ricorrente si è limitato a prospettare una lettura alternativa degli stessi elementi probatori senza indicare gli specifici travisamenti in cui sarebbe incappato il Tribunale.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 20 giugno 2024.