Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23547 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23547 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 20/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20/06/2023, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale, in data 13/12/2019, il magistrato di sorveglianza di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva respinto la sua istanza ex art. 35-ter, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354, con la quale lamentava condizioni detentive degradanti con riferimento al periodo trascorso presso l’RAGIONE_SOCIALE (dal 03/01/2013 al 05/05/2018) – accogliendo invece l’istanza relativamente a periodi trascorsi in altri istituti.
Il Tribunale, a fondamento del provvedimento reiettivo, richiamava la nota del DAP, nonché le informazioni richieste all’RAGIONE_SOCIALE Caserta ed alla Direzione carceraria dell’RAGIONE_SOCIALE in questione, dall’esame delle quali non si evidenziavano condizioni disumane e degradanti in violazione dell’art. 3 CEDU: quanto alla lamentata grave carenza idrica, la stessa era assicurata mediante il collegamento a due pozzi, e trattata con un impianti di potabilizzazione; il monitoraggio effettuato a cadenza mensile aveva consentito di accertare «quasi sempre una conformità dei valori ai parametri di legge»; inoltre a partire dal 2012 a tutti i detenuti era garantito il rifornimento di una bottigl d’acqua di 2 litri al giorno; dal 2018 incrementata a 4 litri al giorno. Quanto alla problematica legata alle emissioni provenienti dall’impianto di trattamento rifiuti posto nelle vicinanze dell’RAGIONE_SOCIALE, osservava il Tribunale come gli accertamenti effettuati sulla salubrità dell’aria avevano consentito di appurare come i valori medi giornalieri di acido solfidrico fossero al di sotto del limite.
Propone ricorso per Cassazione il difensore di NOME COGNOME, che lamenta violazione di legge e vizio della motivazione. Deduce in particolare il ricorrente come i Giudici del merito non abbiano adeguatamente valutato la situazione ambientale nel carcere, ovvero la grave carenza idrica e le emissioni maleodoranti provenienti dal limitrofo impianto di trattamento rifiuti, che avrebbe necessitato di un approfondimento istruttorio, mentre il Tribunale ha effettuato le proprie valutazioni sulle note del DAP , senza confrontarsi con le carenze lamentate; si duole altresì il ricorrente del fatto che analoga istanza avanzata da altro detenuto con identiche doglianze relative all’RAGIONE_SOCIALE fosse stata accolta dal medesimo Tribunale di sorveglianza.
Il Procuratore generale, AVV_NOTAIO, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Va premesso che in materia di rimedi risarcitori ex art. 35 ter Ord. pen., il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. Nel giudizio di cassazione, pertanto, è esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre il ricorrente ha la possibilità di denunciare un vizio di motivazione apparente, atteso che, in tal caso (e solo in tal caso), si prospetta la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che impone sempre l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. Questo vizio è ravvisabile solo quando la motivazione sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure quando le linee argomentative siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
Nel caso di specie, le doglianze formulate esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, essendo inerenti a vizi di motivazione del provvedimento impugnato. La motivazione del provvedimento impugnato, infatti, lungi dal potersi considerare apparente, si sostanzia in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche e del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico esperito dal giudice.
In particolare, il Tribunale di sorveglianza ha fatto buon governo dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, costituzionale e convenzionale espressi sul tema ed ha mostrato di avere tenuto in considerazione tutti i lamentati motivi di disagio dedotti dall’interessato, ritenendoli – con motivazione non manifestamente illogica – non incidenti sulla decisione discrezionale ad essa spettante.
In primo luogo, ha correttamente posto in evidenza la circostanza, non avversata dal ricorrente, che il detenuto aveva fruito di uno spazio pari o superiore a tre mq., e che il detenuto ha sempre partecipato alle attività trattamentali usufruendo di ore di passeggio e di socialità.
Ha, quindi, valutato le ulteriori condizioni negative dedotte dal detenuto (grave carenza idrica e miasmi provenienti dall’esterno) concludendo, con motivazione non apparente o manifestamente illogica, che il detenuto non fosse stato sottoposto ad un trattamento disumano e degradante.
In particolare, quanto alla carenza idrica, il Tribunale ha evidenziato tutte le cautele adottate dall’amministrazione penitenziaria per ovviare al problema, ovvero il collegamento a due pozzi, l’utilizzo di un impianto di potabilizzazione sottoposto a periodico controllo, la conformità dell’acqua così trattata ai parametri di legge ( ad
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eccezione di pochi giorni), la quotidiana distribuzione di bottiglie d’acqua ai detenuti, ogni qualvolta si verificavano guasti all’impianto.
Ugualmente, quanto alle emissioni provenienti dall’impianto di trattamento rifiuti, si è rilevato come gli accertamenti effettuati sulla salubrità dell’aria avessero consentito di appurare come i valori medi giornalieri di acido solfidrico si ponessero al di sotto del limite (previsto solo per la regione Basilicata e non per la Campania), mentre alcun rilievo in ordine a disturbi connessi alle emissioni, sia in ambito carcerario sia tra le popolazioni limitrofe all’impianto, era stato segnalato dalla Asl competente.
Il Tribunale ha fatto corretta applicazione quindi dei principi sanciti dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, per cui la condizione detentiva contraria all’art. 3 della CEDU, a differenza dell’ambito di applicazione dei rimedi preventivi di cui all’art. 35-bis, non è riconoscibile in presenza di una qualsiasi violazione dei diritti del soggetto detenuto, ma esclusivamente in caso di violazioni di tale entità da provocare all’interessato un’afflizione che eccede l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione (tra le altre, Sez. 1, n. 20985 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279220; Sez.1 n. 43722 del 11/06/2015, COGNOME; Sez. 1, n. 14258 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278898 secondo cui, «In tema di rimedi risarcitori ex art. 35-ter Ord. pen., non costituisce trattamento inumano o degradante, rilevante ai sensi dell’art. 3 della convenzione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, la situazione di “mero disagio” collegata a contesti di vita intramuraria poco confortevoli o alla necessità di subire, per periodi non prolungati, disagi non previsti, né prevedibili, la cui rimozione richiede tempi di intervento non sempre programmabili. (Fattispecie relativa ad un’infiltrazione piovana nella cella con caduta di residui di intonaco sul letto protrattasi per circa cinque mesi, in cui la Corte ha escluso che fosse configurabile il trattamento inumano o degradante, ravvisabile solo allorché sussista in concreto una situazione di tale gravità, da determinare una afflittività non giustificata dallo stato detentivo e non tollerabile nel comune sentire e in una condizione “civile” di vita del detenuto)». Ciò coerentemente con il criterio della c.d. soglia minima di gravità, costantemente utilizzato dalla Corte EDU per selezionare le condotte messe al bando ai sensi dell’art. 3 della Convenzione Gravità non riconoscibile nella situazione complessivamente denunciata dal ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Conclusivamente, nel caso in esame, tali concorrenti aspetti risultano oggetto di positiva valutazione da parte del Tribunale con motivazione che non risulta illogica e che appare fondata su una compiuta ricognizione delle circostanze rilevanti.
La diversa opinione esposta, sul tema, dal ricorrente non introduce profili di critica tali da determinare la riconoscibilità di un vizio motivazionale o di incompletezza rilevante dell’istruttoria, sollecitando al contrario una rivalutazione in fatto, preclusa tuttavia a questa Corte di legittimità; né a diverso avviso può condurre la circostanza che, in sede di merito, altro detenuto abbia ottenuto una pronuncia favorevole.
Alla luce delle esposte argomentazioni, va conclusivamente osservato come la motivazione della ordinanza impugnata non presenti aspetti di manifesta illogicità nel significato dell’art. 606, co. 1, lett. e), cod. proc. pen., ed il ricorso de conseguentemente essere respinto. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 21 febbraio 2024
Il onsigliere estensore
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Il Presidente