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Condizioni detentive: no risarcimento per mero disagio

Un detenuto ha richiesto un risarcimento per le condizioni detentive subite, lamentando poco spazio vitale e fattori degradanti come un bagno alla turca in cella. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, in presenza di uno spazio personale superiore a tre metri quadrati, i disagi che non raggiungono una soglia minima di gravità, qualificabili come ‘mero disagio’, non costituiscono trattamento inumano o degradante e quindi non danno diritto a un risarcimento.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Condizioni detentive: la Cassazione chiarisce la differenza tra ‘disagio’ e ‘trattamento inumano’

La vita in carcere comporta inevitabilmente restrizioni e sofferenze, ma esiste un limite oltre il quale le condizioni detentive diventano illegittime, violando i diritti fondamentali della persona. Con la sentenza n. 9672 del 2024, la Corte di Cassazione torna su questo delicato tema, tracciando una linea netta tra il ‘mero disagio’, che non dà diritto a risarcimento, e il ‘trattamento inumano o degradante’, vietato dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

I fatti del caso

Un detenuto presentava un reclamo per ottenere il risarcimento previsto dall’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, sostenendo di aver subito condizioni detentive inumane in diversi istituti di pena. Le sue lamentele si concentravano su due aspetti principali:
1. Sovraffollamento: la presunta violazione dello spazio vitale minimo, calcolato in tre metri quadrati per persona.
2. Fattori degradanti: la presenza in cella di un bagno ‘alla turca’ non adeguatamente separato, la limitata possibilità di fruire delle docce e delle ore d’aria, e una scarsa illuminazione gestita esternamente dal personale di polizia penitenziaria.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva già respinto il reclamo, ritenendo che il detenuto avesse sempre beneficiato di uno spazio superiore ai tre metri quadrati e che gli altri fattori lamentati non fossero abbastanza gravi da configurare una violazione dell’art. 3 della CEDU. Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La sentenza ribadisce principi consolidati in materia di condizioni detentive, basandosi sull’interpretazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Le motivazioni della Corte sulle condizioni detentive

La Corte ha articolato la sua motivazione distinguendo nettamente la questione dello spazio da quella degli altri fattori qualitativi della detenzione.

Il criterio dello spazio personale

I giudici hanno innanzitutto chiarito che, secondo la giurisprudenza europea (caso Mursic c. Croazia), la soglia critica è rappresentata dai tre metri quadrati di spazio personale.
Sotto i 3 mq: si presume fortemente una violazione dell’art. 3 CEDU.
Tra 3 e 4 mq: una violazione può essere riscontrata solo se l’esiguità dello spazio si accompagna ad altri fattori negativi (scarsa areazione, poca luce, cattive condizioni igieniche).
Sopra i 4 mq: come nel caso in esame, lo spazio non è più un fattore critico e la violazione può derivare solo da altre gravi carenze.

Poiché nel caso specifico il detenuto aveva sempre avuto a disposizione uno spazio superiore a tre metri quadrati, la Corte ha concluso che questo aspetto, da solo, non poteva fondare la richiesta di risarcimento.

La valutazione degli altri fattori: il ‘mero disagio’

Per quanto riguarda le altre lamentele (bagno alla turca, docce, ora d’aria), la Cassazione ha stabilito che queste non superavano la soglia del ‘mero disagio’. Il trattamento inumano o degradante, rilevante ai fini del risarcimento, deve provocare un’afflizione che ‘eccede l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione’.

Nello specifico, la presenza di un bagno alla turca, sebbene possa rappresentare una scomodità, non è stata ritenuta degradante in questo contesto, poiché era separato dal resto della cella da una porta (seppur amovibile) e ad uso esclusivo del ricorrente. Questo garantiva un livello minimo di riservatezza e igiene. Le altre lamentele sono state considerate disagi non prolungati e non così gravi da ledere la dignità della persona.

Le conclusioni

La sentenza n. 9672/2024 è importante perché riafferma un principio cruciale: non ogni difficoltà o scomodità della vita carceraria dà automaticamente diritto a un risarcimento. Per ottenere tutela ai sensi dell’art. 35-ter Ord. Pen., è necessario dimostrare che le condizioni detentive hanno raggiunto un livello minimo di gravità tale da poter essere qualificate come ‘inumane o degradanti’. La valutazione non si basa su singoli elementi isolati, ma su un’analisi complessiva della situazione, in cui lo spazio vitale rimane il primo e più importante indicatore. Se questo è garantito, gli altri fattori devono essere particolarmente gravi e cumulativi per giustificare un intervento risarcitorio.

Quando le cattive condizioni detentive danno diritto a un risarcimento?
Secondo la sentenza, si ha diritto a un risarcimento solo quando le condizioni di detenzione violano l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, causando una sofferenza che supera il livello inevitabilmente connesso allo stato di reclusione. Non è sufficiente un ‘mero disagio’ o una condizione poco confortevole.

La presenza di un bagno ‘alla turca’ in cella è sempre considerata un trattamento degradante?
No. La Corte ha chiarito che non è un fattore degradante in sé, specialmente se, come nel caso esaminato, il bagno è separato dal resto dell’ambiente da una porta (anche se amovibile) e il suo uso è esclusivo del singolo detenuto. Ciò che rileva è l’assenza di un’effettiva separazione che leda la privacy e l’igiene.

Qual è il criterio principale per valutare se lo spazio in cella è sufficiente?
Il criterio fondamentale è lo spazio personale a disposizione di ciascun detenuto. Una forte presunzione di violazione si ha solo quando lo spazio è inferiore a tre metri quadrati. Se lo spazio è superiore, come nel caso di specie, è molto più difficile che venga riconosciuto un trattamento inumano basato solo su altri fattori di disagio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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