Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9672 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9672 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORRE DEL GRECO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento, in data 21 marzo 2022, con il quale il Magistrato di sorveglianza aveva negato al ricorrente i rimedi risarcitori di cui all’art. ex art. 35-ter legge 26 luglio 1 354. (Ord. pen.) in relazione a periodi di detenzione patiti presso gli Istitu pena di Asti, Roma Rebibbia, Napoli Secondigliano nonché quella sofferta, nei periodi specificamente indicati nel provvedimento impugnato, negli Istituti di pena di Napoli Poggioreale, Foggia e Ariano Irpino.
Per ciò che qui interessa, il Tribunale di sorveglianza ha motivato il riget del reclamo, in primo luogo confermando la correttezza dei criteri di computo dello spazio individuale in cella collettiva, concludendo che l’istante ha, periodi in contestazione, fruito di uno spazio superiore a tre metri quadrat avuto riguardo a quanto risultante dalle relazioni trasmesse dagli Istit penitenziari ed ai criteri indicati dalla giurisprudenza, in punto di computa bil dei letti a castello e degli arredi fissi, con esclusione di arredi quali bilan tavoli ed altri arredi.
In secondo luogo, quanto ai fattori degradanti la detenzione, ha osservato come – con riferimento alla dedotta presenza nella cella singola di un bagno alla turca – essendo l’uso di tale servizio non promiscuo e separato dal resto del cella con una porta amovibile, tale dato non integrasse profili d’insalubrità, un mero indicatore da valutarsi nel complesso delle condizioni detentive che riteneva, dunque, non contrarie all’art. 3 della convenzione EDU.
Avverso detta ordinanza ricorre COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo, con un unico e articolato motivo, la violazione degli artt. 35-ter Ord. pen.
Deduce la sussistenza di tutte le condizioni per procedere al riconoscimento della detenzione non conforme e, senza avversare i criteri di calcolo dello spazio individuale da assicurare a ciascun detenuto, concentra le sue doglianze sulla mancata valutazione di ulteriori fattori negativi, diversi dal sovraffollamento, m comunque idonei a configurare la violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU.
Segnatamente, lamenta l’erroneità della motivazione del provvedimento impugnato laddove trascura il rilievo di elementi obiettivi che – pur se no oggetto dell’originario reclamo – sono comunque transitati nel patrimonio conoscitivo del giudice specializzato attraverso le memorie; sotto questo profilo, censura il mancato rilievo attribuito alla limitata possibilità di fruizione
docce e delle luci (i cui interruttori allocati fuori dalla cella erano gest personale della Polizia penitenziaria).
Ugualmente, lamenta – quanto alla detenzione presso il carcere di Poggioreale – la limitata possibilità di fruizione delle docce e l’esiguità del te da trascorrere all’esterno della cella.
Infine si duole dell’illogicità della motivazione con la quale si è esclusa rilevanza della presenza nella cella del bagno alla turca, non adeguatamente separato dal resto dell’ambiente, in evidente spregio dei principi espressi dal giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 1 n. 13660 del 25.02.2022) in un caso de tutto sovrapponibile.
Il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 14 giugno 2023, ha chiesto dichiara l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deduce censure infondate.
Com’è noto, il sistema di tutela a favore dei detenuti è stato rafforzat concretizzandosi in due azioni, autonome e complementari, disciplinate, rispettivamente, agli artt. 35-bis e 35-ter Ord. Pen., che consentono al detenuto di essere sottratto in modo tempestivo ad una condizione detentiva contraria al senso di umanità – per effetto di un intervento di tipo preventivo-inibitor con possibilità di esecuzione coattiva, in base all’art.35-bis – e, dall’alt conseguire un ristoro per la violazione già subita, grazie alla tutela risarcito compensativa di cui all’art. 35-ter (il riferimento è al decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge del 21 febbraio 2014, n. 10 e al decreto legge 26 giugno 2014, n. 92 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117).
L’essenziale caratteristica dell’art. 35-ter Ord. GLYPH pen. GLYPH consiste GLYPH nell’aver introdotto rimedi di tipo compensativo/risarcitorio, con estensione dei poteri d verifica e di intervento del magistrato di sorveglianza, allo scopo di rafforzare strumenti tesi alla riaffermazione della «legalità della detenzione». Si trat in sostanza, di misure che rappresentano un quid pluris rispetto al previgente sistema di tutela, essenzialmente incentrato sul potere del magistrato d sorveglianza di inibire la prosecuzione dell’attività GLYPH contra legem, in ottemperanza al GLYPH monito derivante dalla Corte EDU di introdurre ricorsi tali GLYPH «che GLYPH le GLYPH violazioni GLYPH dei GLYPH diritti GLYPH tratti GLYPH dalla GLYPH Convenzione
possano essere riparate in maniera realmente effettiva» (così, Corte EDU, 8/01/2013, COGNOME ed altri c. Italia, §98).
Il legislatore ha perimetrato il pregiudizio risarcibile ai sensi dell’art. 35-ter al fatto di aver subìto «condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dal Corte europea dei diritti dell’uomo».
Ciò premesso, rileva la Corte come il Tribunale di sorveglianza abbia fatto buon governo dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità costituzionale e convenzionale sul tema e ha mostrato di avere tenuto in considerazione tutti i lamentati motivi di disagio dedotti dall’interessa ritenendoli – con motivazione non manifestamente illogica – non incidenti sulla decisione discrezionale ad essa spettante.
3.1. In primo luogo, ha correttamente posto in evidenza la circostanza, non avversata dal ricorrente, che il detenuto aveva sempre fruito di uno spazio superiore a tre mq.
A tal proposito va ricordato come, a seguito di quanto chiarito nella pronuncia della Grande Camera del 20/10/2016 nel procedimento Mursic c. Croazia, mentre la costrizione di un detenuto in uno spazio inferiore a tre metr quadrati in una cella collettiva determina una “forte presunzione” di violazione dell’art. 3 CEDU, uno spazio personale dentro la cella compreso fra i tre e quattro metri quadrati può assumere rilievo nella prospettiva dell’art. 3 CEDU solo se l’esiguità della superficie si accompagna ad altri fattori di inadeguate del regime penitenziario (impossibilità di fare esercizio all’aria aperta, sc accesso alla luce naturale e all’aria, insufficiente sistema di riscaldamen omesso rispetto di basilari requisiti igienico-sanitari). Infine, in presenza di spazio personale dentro la cella superiore a quattro metri quadrati, come quello che riguarda l’odierno ricorrente, ai fini dell’eventuale violazione dell’art. 3 CED assumono rilievo aspetti diversi da quello dello spazio.
Sicché, sotto tale profilo, il Tribunale non ha trascurato le deduzio difensive, ma ha, di contro, valutato (p. 2 e 3 dell’ordinanza) le condizio negative dedotte dal detenuto (limitata possibilità di uso delle docce, ridot permanenza all’aria aperta, scarsa luminosità) e le ha reputate smentite dall informazioni acquisite e, comunque, ha correttamente ritenuto che tali situazioni, ove esistenti, non si erano tradotte nella sottoposizione del condannato a u trattamento disumano e degradante.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, la condizione detentiva contraria all’art. 3 della CEDU, a differenza dell’ambito di applicazion
dei rimedi preventivi di cui all’art. 35-bis, non è riconoscibile in presenza di una qualsiasi violazione dei diritti del soggetto detenuto, ma esclusivamente in cas di violazioni di tale entità da provocare ‘all’interessato un’afflizione eccede l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione (tra le altre, Se n. 20985 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279220; Sez.1 n. 43722 del 11/06/2015, COGNOME; Sez. 1, n. 14258 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278898 secondo cui, «In tema di rimedi risarcitori ex art. 35-ter Ord. pen., non costituisce trattamento inumano o degradante, rilevante ai sensi dell’art. della convenzione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, la situazione di “mero disagio” collegata a contesti di vita intramuraria poco confortevoli o alla necessità di subire, periodi non prolungati, disagi non previsti, né prevedibili, la cui rimozio richiede tempi di intervento non sempre programmabili».
Ciò coerentemente con il criterio della così detta soglia minima di gravità, costantemente utilizzato dalla Corte EDU per selezionare le condotte messe al bando ai sensi dell’art. 3 della Convenzione.
Gravità non riconoscibile nella situazione complessivamente denunciata dal ricorrente.
3.2. Quanto allo specifico tema della presenza, all’interno della cella, di bagno-doccia alla turca, il Collegio intende dare continuità al principio di diri espresso da questa Corte (Sez. 1, n. 15308 del 23/01/2019, COGNOME, non mass.) secondo cui «il periodo detentivo trascorso anche in camera detentiva singola, senza limitazioni di spazio vitale rilevanti, può rappresentare concreto indicatore di trattamento degradante, da valutarsi nel complessivo contesto delle condizioni detentive». E, in tale contesto, si è chiarito l’assenza di un’effettiva e completa separazione tra il locale-bagno e il resto d camera detentiva «è fattore potenzialmente produttivo di un trattamento inumano o degradante – sia in camera detentiva singola (per questioni di decoro ed igiene, oltre che per la probabilità di osservazione dall’esterno di quan accade nello spazio che dovrebbe essere riservato), sia in camera detentiva collettiva, se ed in quanto a tale condizione sfavorevole si associno altri aspe negativi della complessiva condizione vissuta dal soggetto recluso» e che «non può, pertanto, omettersi la verifica del complesso delle condizioni detentive fini di cui all’art. 35-ter ord. pen – lì dove risulti accertata, come nel caso in esame, l’esistenza del bagno “a vista” in camera detentiva singola» (Sez. 1, COGNOME, cit.).
Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale ha espresso le ragioni per le qual non si è ritenuto tale elemento di intollerabile afflittività, chiarendo che il b doccia era separato dal resto della cella da una porta, sebbene amovibile, che
considerata unitamente all’ uso esclusivo del bagno da parte del ricorrente escludeva la lesione del diritto alla riservatezza, così come quello alla salubr dell’ambiente, il cui corretto mantenimento non era compromesso da fattori esterni.
Conclusivamente, nel caso in esame, tutti i concorrenti aspetti segnalati dal ricorrente hanno costituito oggetto di ponderata valutazione da parte del Tribunale che ha fornito una motivazione che non risulta illogica e che appare fondata su una compiuta ricognizione di tutte le circostanze rilevanti.
La diversa opinione esposta, sul tema, dal ricorrente non introduce profili di critica tali da determinare la riconoscibilità di un vizio motivazionale d’incompletezza rilevante dell’istruttoria.
Dalle considerazioni svolte discende il rigetto del ricorso e, ai se dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spes del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 ottobre 2023
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