Condizioni Detentive: Quando un Ricorso è Inammissibile?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3272 del 2024, si è pronunciata su un tema cruciale del diritto penitenziario: le condizioni detentive e la loro conformità ai principi sanciti dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Il caso analizzato offre spunti fondamentali non solo sulla valutazione della vivibilità degli spazi carcerari, ma anche sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi presentati dai detenuti.
I Fatti del Caso: La Vita in Cella
Un detenuto ha presentato ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, lamentando che le condizioni sofferte durante un periodo di reclusione, tra il 2019 e il 2021, costituissero un trattamento inumano e degradante. Il ricorrente sosteneva, in sostanza, che la sua permanenza in carcere violasse i suoi diritti fondamentali.
Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, aveva già respinto il reclamo, basando la sua decisione su una serie di elementi fattuali precisi:
1. Cella singola: Al detenuto era stata assegnata una cella individuale.
2. Spazio adeguato: La cella aveva un’ampiezza di 9 metri quadrati, uno spazio ritenuto sufficiente.
3. Privacy e igiene: Il bagno all’interno della cella era separato dal resto dell’ambiente tramite un separé, garantendo così riservatezza e condizioni igieniche adeguate.
4. Regime di ‘celle aperte’: Il detenuto poteva trascorrere fino a dodici ore al giorno al di fuori della camera di detenzione, mitigando significativamente il rigore della reclusione.
Le Motivazioni della Cassazione sulle condizioni detentive
La Suprema Corte ha esaminato i due motivi di ricorso presentati dal detenuto, giungendo a una declaratoria di inammissibilità. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni.
Primo Motivo: L’Infondatezza della Violazione dell’Art. 3 CEDU
La Corte ha ritenuto il primo motivo di ricorso ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno confermato la validità del ragionamento del Tribunale di Sorveglianza, sottolineando come la valutazione delle condizioni detentive debba avvenire in modo complessivo. La combinazione di una cella singola di 9 mq, la separazione del bagno e, soprattutto, l’accesso al regime di ‘celle aperte’ per gran parte della giornata, escludeva in radice la violazione dell’art. 3 CEDU.
Il ricorrente aveva tentato di sostenere la sua tesi citando un precedente giurisprudenziale in cui la separazione del bagno era stata giudicata ‘tutt’altro che effettiva’. La Cassazione ha però smontato questo paragone, evidenziando come nel caso di specie la separazione fosse stata accertata come reale ed efficace, rendendo il precedente non pertinente.
Secondo Motivo: La Genericità del Ricorso
Il secondo e ultimo motivo di ricorso è stato giudicato ‘palesemente ed irrimediabilmente generico’. Il detenuto non aveva specificato con sufficiente precisione quali fossero le doglianze, già presentate in sede di reclamo, che il Tribunale di Sorveglianza avrebbe omesso di esaminare.
Questo punto è fondamentale: in un ricorso per cassazione, non è sufficiente lamentare genericamente una mancanza. È necessario indicare in modo puntuale e dettagliato quali argomenti non sono stati presi in considerazione dal giudice precedente. La mancanza di tale specificità rende il motivo inammissibile, poiché impedisce alla Corte di Cassazione di svolgere il proprio ruolo di controllo sulla legittimità della decisione impugnata.
le motivazioni
La decisione della Corte di Cassazione si basa su due pilastri fondamentali. In primo luogo, la valutazione delle condizioni detentive non può limitarsi a un singolo aspetto, ma deve considerare l’insieme delle circostanze concrete. Una cella con spazio adeguato, privacy e la possibilità di trascorrere molte ore all’esterno è considerata compatibile con i diritti fondamentali del detenuto. In secondo luogo, il rigore processuale impone che i motivi di ricorso siano specifici e non generici. L’onere della prova e della chiarezza spetta a chi impugna il provvedimento, che deve indicare con precisione le presunte mancanze della decisione contestata. La mancanza di specificità porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
le conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: i ricorsi devono essere fondati su motivi specifici e non su lamentele generiche. Per i detenuti e i loro difensori, ciò significa che qualsiasi reclamo sulle condizioni detentive deve essere supportato da elementi precisi e dettagliati, sia per quanto riguarda la presunta violazione dei diritti, sia per contestare le eventuali omissioni dei giudici di merito. La decisione ha come conseguenza non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Quali sono le condizioni detentive che non violano l’art. 3 della CEDU secondo questa ordinanza?
Secondo l’ordinanza, non si verifica una violazione se al detenuto è assegnata una cella singola di 9 mq, con un bagno separato da un divisorio (separé) che garantisce igiene e riservatezza, e se il detenuto fruisce di un regime di ‘celle aperte’ che gli consente di rimanere fuori dalla cella fino a dodici ore al giorno.
Perché il richiamo a un’altra sentenza è stato ritenuto non pertinente dalla Corte?
La Corte ha ritenuto il precedente non pertinente perché si riferiva a un caso in cui la separazione del bagno era stata giudicata ‘tutt’altro che effettiva’, mentre nel caso in esame era stato accertato che la separazione garantiva privacy e igiene, rendendo le due situazioni di fatto diverse.
Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico’ e quali sono le conseguenze?
Un motivo di ricorso è ‘generico’ quando non indica con sufficiente precisione le doglianze e le critiche mosse al provvedimento impugnato. La conseguenza è la declaratoria di inammissibilità del ricorso, il che significa che la Corte non può esaminarne il merito, e comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3272 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3272 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/04/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata; letti i motivi del ricorso;
considerato che il primo motivo è manifestamente infondato, perché il Tribunale di sorveglianza, occupandosi del periodo di detenzione decorso tra il luglio 2019 sino al 26 luglio 2021, durante il quale NOME è stato ristretto carcere di Roma Rebibbia, ha escluso che si sia verificata la dedotta violazio dell’art. 3 CEDU, atteso che al condannato è stata assegnata una cella singol dell’ampiezza di 9 mq., nella quale il bagno era separato dal resto dell’ambie con un separé, in modo da garantire riservatezza ed igiene, e che le complessive condizioni detentive devono essere apprezzate tenendo conto, ulteriormente, del fatto che NOME ha costantemente fruito del regime di «celle aperte», che gl consentiva di permanere sino a dodici al giorno fuori dalla camera di detenzione che, a fronte di una motivazione esente da pecche logiche e coerenti con i quadro normativo interno e sovranazionale, il ricorrente replica richiamando un diverso indirizzo ermeneutico (espresso da Sez. 1, n. 13660 del 25/02/2022, COGNOME, non massimata) che, tuttavia, attiene ad un caso in cui, come è dat evincersi dalla lettura della motivazione (cfr., in specie, pag. 3), la separ del bagno era, diversamente da quanto accertato in quello che qui viene i rilievo, tutt’altro che effettiva;
che il secondo ed ultimo motivo di ricorso è palesemente ed irrimediabilmente generico, non essendo state indicate, con sufficient precisione, le doglianze, rivolte, in sede di reclamo, contro il provvedimento Magistrato di sorveglianza, che il Tribunale di sorveglianza avrebb colpevolmente trascurato di esaminare;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricor con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione del causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favor della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 26/10/2023.