Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26163 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26163 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Lecce il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari in data 13/07/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 13 luglio 2023, il Magistrato di sorveglianza di Nuoro aveva accolto il reclamo con cui NOME COGNOME aveva dedotto di avere patito condizioni degradanti nel corso della detenzione presso l’Istituto penitenziario di Fossombrone in contrasto con l’art. 3 della Convenzione EDU, per avere fruito di un servizio igienico non adeguatamente separato dal resto della camera di pernottamento; e, per l’effetto, aveva condannato l’Amministrazione penitenziaria al pagamento della somma di 30.056 euro a titolo di ristoro per ben 3.757 giorni.
1.1. L’Amministrazione penitenziaria aveva, quindi, proposto impugnazione al Tribunale di sorveglianza di Sassari, il quale, con ordinanza del 7 aprile 2022,
aveva rigettato il reclamo, rilevando che la presenza di un muretto alto 1 metro e lungo 1,5 metri, e di una tenda che non impediva la diffusione degli odori sgradevoli del bagno nella camera di pernottamento e che essa, dunque, integrava un’ipotesi di trattamento inumano e degradante.
1.2. Con sentenza del 23 novembre 2022, la Suprema Corte annullò l’ordinanza, con rinvio per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Sassari, rilevando che il provvedimento impugnato non aveva considerato che il detenuto aveva a disposizione uno spazio pari a 9 metri quadri, normalmente areato, viveva da solo e partecipava ad attività trattamentali che limitavano sensibilmente la sua permanenza nella camera detentiva.
1.3. Con ordinanza in data 13 luglio 2023, il Tribunale ha accolto il reclamo proposto nell’interesse dell’Amministrazione penitenziaria. Secondo il Collegio, la camera di pernottamento, occupata dal solo COGNOME, misurava 9 metri quadrati e il servizio igienico, utilizzato soltanto dal detenuto, presentava un muretto, alto circa 1 metro e lungo 1,5 metri, idoneo a garantire la separazione del servizio igienico dallo spazio utilizzabile per altri usi.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 35-ter Ord. pen. e 3 Convenzione EDU. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che COGNOME abbia subito una condizione detentiva inumana e degradante disponendo, per un lunghissimo periodo di tempo, di un servizio igienico annesso alla camera detentiva, non potendosi ritenere separato un vano diviso da un muretto, alto 1 metro e lungo 1,5 metri, sormontato da una sola tenda. Infatti, la totale assenza di privacy e l’insalubrità dell’aria sarebbero evidenti, senza che tale dato possa dirsi superato dalle dimensioni della cella detentiva. Come affermato dalla Prima Sezione penale con la sentenza n. 30030 dell’Il settembre 2020, relativa a un caso analogo a quello di COGNOME, in tema di rimedi ex art. 35-bis Ord. pen. nei confronti di detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., non è sufficiente, al fine di escludere la violazione dell’art. 3 CEDU, che la cella abbia dimensioni superiori a 3/4 metri quadri, dovendosi tenere conto delle ulteriori condizioni che possono rendere degradante il trattamento detentivo, quali la mancanza di illuminazione e l’aerazione dei locali o dei servizi igienici. Analogamente, con sentenza n. 16116 del 2021 la Prima Sezione penale ha chiarito, con riguardo alla medesima categoria di detenuti, che anche quando la superficie è superiore ai 4 metri quadrati, può sussistere violazione dell’art. 3 CEDU qualora ricorrano altre significative condizioni detentive «negative». Proprio
con riferimento alla materia dei servizi igienici annessi alla camera detentiva, la Corte di cassazione avrebbe qualificato quale trattamento rilevante ai sensi dell’art. 3 CEDU, la persistente presenza del WC all’interno del locale di pernottamento, dove il detenuto mangia e dorme, che si tradurrebbe in una violazione della privacy e della salubrità dell’aria (cita Sez. 1, n. 13660 del 25/02/2022, Putignano, non massimata).
In data 15 febbraio 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Va premesso che il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 35-ter Ord. pen. è esperibile da chi è stato ristretto in condizioni di detenzione tali da violare l’art della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, il quale recita che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. Secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, il trattamento è «inumano» quando la detenzione provoca sofferenze ingiustificate, fisiche o mentali, non compatibili con il comune sentire e che risultino di una certa intensità. Esso è, invece, «degradante», quando comporta umiliazioni COGNOME e finalità COGNOME di COGNOME annullamento della COGNOME persona, COGNOME attraverso COGNOME un ridimensionamento fisico o psichico, anche senza comportamenti materialmente ed effettivamente lesivi dell’altrui sfera materiale o psicologica.
2.1. La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha inoltre chiarito che, in AVV_NOTAIO, un comportamento, per essere rilevante nel senso anzidetto, deve raggiungere un livello di gravità apprezzabile, nel senso che la sofferenza o l’umiliazione devono andare al di là di ciò che inevitabilmente comporta una pena legittima, presentando un livello di gravità tale da risultare non tollerabile nel comune sentire, superando la cd. «soglia minima di gravità» (Corte EDU, 8/02/2006, Alver c. Estonia, § 49; COGNOME v. Lithuania, 24/07/2001, § 101; COGNOME c. Italia, 5/03/2013, § 47; Corte EDU, 22/04/2010, COGNOME c. Russia; Corte EDU, 25/03/2010, Mutlag c. Germania). La valutazione della soglia minima è per sua natura relativa, in quanto dipende dall’insieme delle circostanze della fattispecie (tra le tante, Corte EDU, GC, 22/05/2012, COGNOME c. Russia, § 91; Corte EDU, GC, 11/07/2006 COGNOME c. Germania, § 67; Corte EDU, COGNOME c. Russia, 15/20/2002, § 95; Corte EDU, 10/07/2001, Price c. Regno Unito, § 24; Corte EDU, Selmouni c. Francia 28/07/1999; Corte EDU, Tekin c. Turchia 9/06/1998), e,
pertanto, l’apprezzamento di un determinato comportamento e della sua portata lesivo-afflittiva verso i diritti del detenuto e verso i divieti di trattamenti inumani e degradanti, si può apprezzare soltanto attraverso una valutazione concreta della complessiva condizione di detenzione (così Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, COGNOME, in motivazione; tra le altre, Sez. 1, n. 20985 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279220 – 01). Dunque, non costituisce trattamento inumano o degradante, rilevante ai sensi dell’art. 3 della CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, la situazione di «mero disagio» collegata a contesti di vita intramuraria poco confortevoli o alla necessità di subire, per periodi non prolungati, disagi non previsti, né prevedibili, la cui rimozione richiede tempi di intervento non sempre programmabili (Sez. 1, n. 14258 del 23/01/2020, Inserra, Rv. 278898 – 01).
2.2. L’ampia casistica giurisprudenziale delle situazioni che possono configurare una situazione di trattamento inumano o degradante compendia, accanto all’ipotesi più frequente dell’assenza di uno spazio vitale adeguato all’interno della camera di pernottamento, altre significative condizioni detentive «negative», quali, ad esempio, l’insufficiente aerazione o luminosità della camera detentiva o, ancora, la carenza delle ordinarie condizioni igienico/sanitarie. E in tali casi, la violazione può essere apprezzata sia con riguardo a un particolare, determinato accadimento, sia con riferimento alla complessiva valutazione di più circostanze incidenti sul complessivo «trattamento detentivo», in conformità ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU, GC, 20/10/201, Mursic c. Croazia, che allo stato rappresentano un fondamentale punto di riferimento quanto all’applicazione dell’art. 3 CEDU, il cui contenuto è da delinearsi, secondo l’espresso rinvio contenuto nell’art. 35-ter Ord. pen., proprio in base alla giurisprudenza della Corte EDU (si veda il §140, che richiama la sentenza 20/10/2015, Story e altri c. Malta – § 112-113 – in cui sono state prese in considerazione altre condizioni di detenzione, tra cui l’accesso all’aria aperta e l’adeguatezza dei sistemi di riscaldamento/aerazione e dei servizi igienici; vedi altresì, Corte EDU, Kargakis c. Grecia, 14/01/2021, § 75-77). In definitiva, il riconoscimento di trattamenti disumani e degradanti ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen., è frutto di una valutazione multifattoriale della complessiva offerta trattamentale da parte dell’Amministrazione penitenziaria per cui, nell’ipotesi in cui non possa fondarsi sui parametri spaziali, ben possono venire in rilievo differenti fattori caratterizzanti l’effettiva condizione carceraria del detenuto (co Sez. 1, n. 16116 del 27/01/2021, COGNOME, in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto osservato, il provvedimento impugnato ha correttamente applicato il principio di diritto espresso dalla sentenza rescindente e, in AVV_NOTAIO, quelli enunciati, nella materia che occupa, dalla giurisprudenza di questa Corte.
COGNOME
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Va osservato, in primo luogo, che nel periodo di detenzione considerato COGNOME occupava da solo la camera assegnatagli. Da tale premessa consegue che, nella specie, non può farsi questione, in relazione alla presenza di un muretto alto 1 metro e lungo un 1,5 metri e di una tenda funzionali alla separazione dell’area adibita a servizi igienici dal resto della camera, della violazione del diritt alla riservatezza, che sarebbe venuta in rilievo ove egli avesse condiviso gli spazi in questione con altre persone.
Il profilo che, invece, viene in considerazione concerne la diffusione degli odori sgradevoli del bagno nella camera di pernottamento, non impedita dalla presenza della suddetta struttura muraria e dalla tenda. Sul punto, il Tribunale ha però dato atto che COGNOME poteva contare su uno spazio a disposizione certamente ampio (9 metri quadri) e in una camera detentiva singola, normalmente areata, e sulla possibilità di partecipare ad attività trattamentali che limitavano sensibilmente la sua permanenza nella stessa; e che in presenza di tali condizioni, le carenze riscontrate non potevano essere ritenute di gravità tale da condurre all’accoglimento dell’istanza, integrando al più una situazione di mero disagio.
Tale valutazione configura un apprezzamento di natura fattuale che pertiene, specificamente, al giudice di merito e non è, come tale, sindacabile in sede di legittimità. Né può configurarsi, nella specie, un’assenza e/o un’apparenza della motivazione, che la giurisprudenza di legittimità assimila alla violazione di legge, ovvero all’unico vizio del provvedimento deducibile in sede di ricorso per cassazione avverso la decisione del tribunale di sorveglianza in materia di reclamo ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen., giusta la previsione dell’art. 35-bis, comma 4bis, Ord. pen., applicabile ai reclami sui rimedi risarcitori.
Non pertinenti, per il resto, devono ritenersi i richiami giurisprudenziali contenuti nel ricorso, che riguardano, invero, situazioni diverse, in quanto riferite a camere detentive che ospitavano una pluralità di detenuti e in cui la separazione fisica tra i locali era ancor più precaria.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 20 marzo 2024
Il Consigliere estensore