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Concussione per costrizione: la Cassazione chiarisce

Un pubblico ufficiale minacciava il titolare di un bar di effettuare ispezioni fiscali e sanitarie pretestuose per estorcergli del denaro. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di concussione per costrizione, distinguendolo dall’induzione indebita. L’elemento chiave è stata la minaccia di un danno ingiusto (controlli in mala fede), che ha posto la vittima in una condizione di coercizione, senza che questa cercasse un vantaggio personale illecito.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concussione per costrizione: la linea sottile con l’induzione indebita

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 43179/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale dei pubblici ufficiali: la distinzione tra il reato di concussione per costrizione (art. 317 c.p.) e quello di induzione indebita (art. 319-quater c.p.). Il caso esaminato riguarda un appartenente alla Guardia di Finanza che aveva minacciato il titolare di un bar di avviare controlli pretestuosi per estorcergli denaro. La decisione offre chiarimenti fondamentali su quando la pressione esercitata dal pubblico ufficiale si configuri come una vera e propria coercizione.

I Fatti del Caso

Un pubblico ufficiale, in servizio presso la Guardia di Finanza, si presentava presso l’esercizio commerciale di un barista. Abusando della sua qualità e dei suoi poteri, prospettava al commerciante l’esistenza di presunte irregolarità e la conseguente minaccia di imminenti controlli da parte della Guardia di Finanza e dell’autorità sanitaria locale (U.S.L.). Tali controlli, veniva lasciato intendere, avrebbero avuto conseguenze economiche negative, a meno che il titolare non avesse consegnato una somma di denaro, quantificata prima in 2.000 euro e poi in un totale di 5.000 euro.

La persona offesa, sentendosi sotto pressione, decideva di denunciare i fatti ai Carabinieri. In accordo con le forze dell’ordine, veniva organizzata la consegna controllata della prima tranche di 2.000 euro, a seguito della quale il pubblico ufficiale veniva colto in flagranza.

L’imputato veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di concussione. La difesa, tuttavia, proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che il fatto dovesse essere riqualificato come induzione indebita, con la conseguenza che il reato sarebbe caduto in prescrizione.

La questione giuridica: il discrimine nella concussione per costrizione

Il nucleo del ricorso si basava sulla sottile differenza tra costrizione e induzione. Secondo la difesa, l’agente non avrebbe esercitato una vera e propria minaccia, ma una più subdola attività di persuasione, inducendo la vittima a pagare per ottenere un vantaggio indebito, ossia evitare controlli che avrebbero potuto far emergere irregolarità.

La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a stabilire se la condotta del pubblico ufficiale avesse integrato un “abuso costrittivo”, che mette la vittima “con le spalle al muro”, o un “abuso induttivo”, che la convince a diventare co-protagonista di un patto illecito.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna per concussione per costrizione. I giudici hanno chiarito che il criterio distintivo fondamentale risiede nella natura del male prospettato e nella posizione psicologica della vittima.

1. La minaccia di un danno ingiusto: La Cassazione ha sottolineato che il pubblico ufficiale non ha minacciato controlli legittimi, ma ispezioni “in mala fede”, ovvero pretestuose e falsate, finalizzate unicamente a danneggiare il commerciante qualora non avesse pagato. Subire un controllo abusivo e strumentale costituisce un “danno ingiusto” che la vittima non è tenuta a sopportare. Questo elemento qualifica la condotta come costrittiva.

2. L’assenza di un vantaggio per la vittima: La Corte ha ritenuto decisivo il comportamento della persona offesa. Il titolare del bar, sapendo che il suo locale era in regola, non ha percepito la proposta come un’opportunità per evitare sanzioni meritate. Al contrario, ha visto la richiesta come una prepotenza e ha immediatamente denunciato il fatto alle autorità. Questo dimostra che non stava cercando un vantaggio illecito, ma solo un modo per sottrarsi a un danno ingiusto e inevitabile. La sua resistenza alla richiesta non è mancata, ma si è manifestata attraverso la denuncia.

3. La condizione di coercizione: Di fronte alla prospettiva di subire un danno grave e ingiusto (controlli vessatori con sicure ripercussioni negative), l’unica alternativa per il barista era subire un danno minore (pagare la somma richiesta). Questa situazione, definita dalla giurisprudenza come essere “con le spalle al muro” (certat de damno vitando), integra pienamente l’abuso costrittivo tipico della concussione.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio di diritto fondamentale: si ha concussione per costrizione quando il pubblico ufficiale minaccia un danno ingiusto, ponendo il privato in una condizione di soggezione psicologica tale da non lasciargli alternative se non cedere alla richiesta illecita per evitare un male maggiore. Si ha, invece, induzione indebita quando il pubblico ufficiale prospetta un vantaggio indebito anche per il privato, il quale accetta la proposta illecita diventando, di fatto, partecipe di un accordo corruttivo. La reazione immediata della vittima, che si rivolge alle forze dell’ordine, è un chiaro indicatore della percezione di una minaccia e non di un’opportunità illecita.

Quando una minaccia di controlli da parte di un pubblico ufficiale integra il reato di concussione per costrizione?
Quando i controlli minacciati sono prospettati “in mala fede”, ovvero come pretestuosi, strumentali e falsati, al solo scopo di danneggiare la vittima se non paga. Tale minaccia costituisce un danno ingiusto che pone la vittima in uno stato di coercizione.

Qual è la differenza fondamentale tra concussione e induzione indebita secondo la Cassazione?
La concussione si basa sulla “costrizione”, dove la vittima è posta di fronte a un’alternativa tra subire un danno ingiusto e grave o un danno minore (pagare), senza alcun vantaggio per sé. L’induzione indebita si basa sulla “persuasione”, dove la vittima è spinta a pagare anche dalla prospettiva di ottenere un vantaggio illecito, diventando così parte di un accordo illecito.

Il comportamento della vittima è rilevante per qualificare il reato?
Sì, è fondamentale. Se la vittima, consapevole di essere in regola, denuncia immediatamente i fatti, dimostra di aver percepito la richiesta come una minaccia e non come un’opportunità. Questo comportamento esclude che stesse cercando un tornaconto personale e conferma la sua posizione di vittima di un abuso costrittivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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