Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37730 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37730 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Francavilla Fontana il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Francavilla Fontana il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/10/2024 della Corte di appello di Lecce
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile, che si è riportato alle conclusioni scritte, che ha depositato unitamente alla nota spese; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del suo assistito.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 ottobre 2024 la Corte di appello di Lecce ha confermato la pronuncia emessa il 2 febbraio 2018 dal Tribunale di Brindisi, con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati condannati rispettivamente alla pena di anni sei e anni quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 317 cod. pen., previo riconoscimento nei confronti di NOME COGNOME dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen.
Secondo la ricostruzione effettuata in entrambe le sentenze di merito, gli imputati, quali agenti della Polizia municipale in servizio presso il Comune di Francavilla Fontana e, quindi, quali pubblici ufficiali, con abuso di poteri consistit nel prospettare la necessità di sequestrare il piazzale della RAGIONE_SOCIALE, società di rivendita di auto usate, a causa di presunte irregolarità afferenti sia all’attività stessa che ai locali commerciali, avevano costretto NOME COGNOME, gestore di fatto della predetta società, a promettere loro la somma, non dovuta, di euro 2.000, al fine di evitare la conseguenza pregiudizievole paventata.
Avverso la sentenza di appello i difensori degli imputati hanno proposto ricorsi per cassazione.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
4.1. Erronea applicazione dell’art. 317 cod. pen., dovendo l’ipotizzato reato essere riqualificato ai sensi dell’art. 319-quater cod. pen. Richiamati i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai parametri identificativ delle due fattispecie, il ricorrente ha dedotto che la Corte di appello avrebbe trascurato che la persona offesa, a fronte della possibilità di evitare problemi, ha intravisto un vantaggio e, addirittura, ha contrattato sul prezzo da pagare per ottenere quel beneficio. Non vi sarebbe stata alcuna costrizione, come nel caso della concussione, ma solo l’induzione tipica del reato di cui all’art. 319-quater cod. pen. (c.d. induzione indebita).
4.2. Violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento del delitto tentato ex art. 56 cod. pen., per non avere il ricorrente portato a termine la condotta. L’indisponibilità della persona offesa a pagare una somma di denaro, che, al termine della trattativa, era inferiore all’iniziale richiesta, avrebbe fa comprendere agli agenti di trovarsi in un vicolo cieco, così da rinunciare alla loro richiesta di denaro, non sapendo nel frattempo di essere stati denunciati dalla persona offesa.
4.3. Violazione di legge e vizi della motivazione riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti di cui agli artt. 62-bis e 323-bis cod. pen., quest’ultima riconosciuta, invece, all’altro coimputato per le medesime azioni. Non sarebbero stati valorizzati alcuni elementi emersi dall’istruttoria dibattimentale, quali, ad es., il non aver inflitto alcun danno o timore alla persona offesa e l’avere poi desistito dall’azione a fronte della titubanza offerta da quest’ultima. Non vi sarebbe stata alcuna particolare intensità del dolo, mentre il comportamento processuale, teso a negare gli eventi delittuosi, rientrerebbe nel diritto di difesa garantito a un imputato.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati. 5.1. Violazione dell’art. 317 cod. pen. e degli artt. 56 e 319-quater cod. pen. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere insussistenti abusi edilizi e nel non aver ritenuto che la prospettazione degli agenti di Polizia municipale mirava ad evitare accertamenti edilizi e, comunque, amministrativi che avrebbero portato al sequestro amministrativo della struttura abusiva, in cui, come sarebbe stato accertato nel giudizio di appello, era esercitata l’attività commerciale, tanto da essere stata revocata ogni autorizzazione al commercio. Esposti i criteri distintivi delle figure criminose della concussione e dell’induzione indebita, come delineati dalla sentenza delle Sezioni unite COGNOME, il ricorrente ha dedotto che la Corte di appello non avrebbe considerato che le irregolarità amministrative edilizie erano sussistenti e che prospettare l’applicazione di un eventuale sequestro ovvero la chiusura di un’attività in presenza di violazioni amministrative, effettivamente riscontrate, non coincide con il prospettare un danno contra ius. Inoltre, la persona offesa avrebbe agito per evitare la chiusura dell’attività. La regolarità urbanistica delle strutture a mezzo delle quali vien esercitata un’attività, infatti, è un presupposto indispensabile per lo svolgimento della medesima attività. Peraltro, la Corte di appello avrebbe errato nel non ritenere configurato il tentativo del reato, poiché la persona offesa avrebbe sempre manifestato l’intenzione di resistere all’induzione propostagli dall’imputato, tant’è che all’incontro del 6 dicembre 2013 si era presentata con il registratore tascabile ed aveva già depositato una prima denuncia ai Carabinieri. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.2. Violazione dell’art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen. e dell’art. 197 cod. proc. pen. e vizi della motivazione in relazione all’inutilizzabilità del dichiarazioni di NOME COGNOME, ascoltato senza le garanzie previste dalla legge, pur avendo concorso nel reato. La Corte di appello avrebbe ignorato che COGNOME sarebbe stato il primo a formulare la richiesta di denaro alla persona offesa e avrebbe avuto interesse ad ottenere la somma, trattenendo parte del
credito da lui vantato. Egli, inoltre, si sarebbe recato dalla persona offesa dopo che COGNOME aveva abbandonato ogni trattativa e sarebbe stata la prima persona a essere stata contattata da entrambi gli imputati, così da assumere un ruolo apicale e determinante nella vicenda. Il Collegio territoriale non avrebbe indicato gli elementi fattuali da cui ha desunto l’intento solidaristico de commercialista e non avrebbe considerato che la Corte di legittimità ha sempre riconosciuto che risponde del reato anche colui che si ponga come semplice tramite della richiesta concussiva nella piena consapevolezza di tutte le circostanze del fatto.
5.3. Violazione degli artt. 191, 506 e 507 cod. proc. pen. L’esame del teste COGNOME sarebbe avvenuto in modo irregolare, poiché il giudice avrebbe posto le domande prima delle parti, in violazione dell’art. 506 cod. proc. pen. Tale irregolarità determina l’aggravamento degli oneri motivazionali del giudice che intenda fondare la propria decisione sui contenuti in tal modo acquisiti: onere non assolto nel caso in esame.
5.4. Vizi di motivazione per essere stata ritenuta credibile la persona offesa, pur avendo ella riferito circostanze smentite dall’istruttoria dibattimentale, per come indicato alle pagine 25 e 26 del ricorso, tra cui quella della regolarità delle opere, che ella sapeva essere abusive.
5.5. Vizi della motivazione, per essere stata ritenuta persona offesa NOME COGNOME, sebbene l’amministratore della società fosse NOME COGNOME e il subentrante fosse NOME COGNOME, con la conseguenza che l’azione sarebbe stata inidonea.
5.6. Vizi della motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. La Corte territoriale non avrebbe considerato che il ricorrente non aveva tentato di alterare le sorti del processo con il falso testimone, in quanto la scelta del teste di mentire o meno non sarebbe stata condizionata dallo stesso ricorrente. La menzionata Corte non avrebbe poi valorizzato alcuni elementi, quali la peculiarità della condotta, il corrett comportamento processuale e lo stato di incensuratezza dell’imputato. Inoltre, non vi sarebbe motivazione sulla desistenza posta in essere dal ricorrente, che, pochi giorni dopo l’incontro, in cui non sarebbe stata formulata e accettata la promessa, si sarebbe recato dalla persona offesa per dire che non accettava in alcun modo il prosieguo dell’illecita attività, pur non sapendo dell’esistenza di indagini o denunce nei suoi confronti, per come riferito anche dal maresciallo COGNOME nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Sono pervenuti motivi aggiunti nell’interesse di NOME COGNOME, con cui sono state reiterate le deduzioni formulate nel ricorso, con particolare
riferimento alla diversa qualificazione giuridica dei fatti e alla configurabilità d tentativo del reato.
E’ pervenuta anche una nota con cui il difensore di NOME COGNOME ha documentato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato del suo assistito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi vanno accolti nei termini di seguito indicati.
Prendendo le mosse, per ragioni di ordine logico, dal secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME, va rilevato che è privo di specificità il secondo motivo, relativo all’inutilizzabilità delle dichiaraz del teste NOME COGNOME, ascoltato senza le garanzie previste dalla legge, pur avendo concorso nel reato.
Al riguardo deve farsi rinvio al consolidato principio di diritto secondo cui costituisce specifico onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di at processuali, a pena di inammissibilità della censura, indicare gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 – 01).
Nel caso in esame, il ricorrente non ha illustrato l’incidenza della prospettata inutilizzabilità delle dichiarazioni (il cui contenuto neppure ha esplicitato questa sede, onde valutarne la rilevanza) sul complessivo compendio probatorio per come apprezzato in sede di merito, tanto da determinare un diverso esito del giudizio.
Sarebbe stato, quindi, necessario che la parte indicasse se e in quale misura fossero stati posti a sostegno della decisione gli elementi che si tacciano di inutilizzabilità e per quali ragioni questa non sia in grado di resistere senza la loro valorizzazione (Sez. 2, n. 669 del 01/02/2000, COGNOME, Rv. 215408 – 01).
La riscontrata genericità del motivo rende superfluo rilevare che la Corte di appello, con argomentazioni scevre da vizi, ha ritenuto che dalla deposizione della persona offesa e dalle registrazioni da questa effettuate emergeva che NOME COGNOME non aveva compartecipato al progetto delittuoso. Il ruolo del commercialista era stato quello di intermediario, che aveva inteso porre il suo intervento a servizio e ausilio della vittima e non dei pubblici ufficiali.
Ne discende che la Corte territoriale ha escluso la necessità di sentire il teste con le garanzie invocate dal ricorrente.
Anche il terzo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME, relativo alla dedotta violazione dell’art. 506 cod proc. pen. in relazione alla prova del teste COGNOME, è privo di specificità.
Secondo il ricorrente, il giudice avrebbe posto le domande prima delle parti e non avrebbe adeguatamente motivato sui contenuti in tal modo acquisiti.
Va rilevato, innanzitutto, che il ricorrente non ha chiarito l’eventuale pregiudizio arrecato dalla dedotta irregolarità al suo diritto di difesa.
Ad ogni modo, può aggiungersi che questa Corte ha già affermato che la testimonianza resa senza il rispetto delle regole previste dall’art. 506 cod. proc. pen. non è nulla, non essendo tale violazione riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178 cod. proc. pen., né inutilizzabile, trattandosi di prova assunta con modalità diverse da quelle prescritte e non in violazione di divieti posti dalla legge, ma è affetta da mera irregolarità, che, però, impone un aggravamento degli oneri motivazionali del giudice che intenda fondare la propria decisione su essa (Sez. 2, n. 48957 del 11/09/2019, COGNOME, Rv. 277685 – 01).
Tale onere è stato adempiuto dalla Corte territoriale (v. pagine 18, 19 e 20 della sentenza impugnata) che ha considerato attendibile la ritrattazione effettuata dal teste, in ragione «della linearità e logicità della seconda versione nonché degli esiti delle indagini a suo carico per il delitto di falsa testimonianza in cui era stata accertata plasticamente l’incongruità della versione offerta».
Il quarto e il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME sono anch’essi privi di specificità.
La Corte di appello, con adeguate argomentazioni svolte alle pagine 16, 17 e 18 della sentenza impugnata, ha rilevato che la persona offesa aveva reso un racconto che aveva trovato sostanziale conferma nelle registrazioni e nelle testimonianze. Peraltro, la difesa non aveva illustrato le ragioni per cui COGNOME avrebbe dovuto sporgere delle denunce calunniose.
Con queste argomentazioni, con cui è stata ritenuta credibile la persona offesa, il ricorrente non si è adeguatamente confrontato, essendosi limitato a reiterare le medesime censure già disattese dal Collegio di secondo grado con rilievi esenti da vizi sindacabili in questa sede.
La menzionata Corte ha anche correttamente disatteso la tesi per cui NOME COGNOME non poteva essere ritenuto persona offesa, non rivestendo una carica formale nell’ambito società, avendo rilevato che COGNOME era colui che di fatto gestiva l’autosalone, la cui chiusura era stata minacciata dai pubblici agenti, e, quindi, era colui che certamente avrebbe potuto patire un danno economico unitamente e forse anche più degli amministratori formali.
Sono fondate, invece, le censure, sollevate in entrambi i ricorsi, relative alla qualificazione giuridica dei fatti.
Come affermato da questa Corte, il delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente, che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di un’utilità indebita. Tale delitto si distingue da quello di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen., introdotto dalla medesima L. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce con il prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, COGNOME e altri, Rv. 258470 01).
La concussione e l’induzione indebita hanno perciò un elemento comune che ne caratterizza l’oggettività criminosa, in quanto entrambe le incriminazioni richiedono, per la loro giuridica configurazione, che il fatto di reato sia compiuto con abuso della qualità o dei poteri della qualifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio. Nondimeno, esse differiscono per la natura strutturale dell’abuso, in quanto il reato di concussione è integrato da un abuso costrittivo, mentre il delitto di induzione indebita è integrato da un abuso induttivo. La costrizione evoca necessariamente una condotta di violenza (non assoluta) o di minaccia, intesa quale vis compulsiva, che ingenera ab extrinseco il timore di un male antigiuridico (contra ius), per scongiurare il quale il destinatario finisce con l’aderire alla richiesta dell’indebita dazione o promessa (Sez. U, n. 12228 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, cit., in motiv.). La condotta induttiva, invece, si qualifica per l’assenza di qualsiasi minaccia e si caratterizza nella persuasione, nella suggestione, nell’allusione, nel silenzio, nell’inganno (sempre che quest’ultimo non verta sulla doverosità della dazione o della promessa, altrimenti si configurerebbe il reato di truffa), purché tali atteggiamenti non si risolvano nella minaccia implicita, da parte del pubblico agente, di un danno antigiuridico, senza alcun vantaggio indebito per l’extraneus, fermo restando che il funzionario pubblico, ponendo in essere l’abuso induttivo, opera comunque da una posizione di forza, abusando infatti
della qualità o dei poteri, e sfrutta la situazione di debolezza psicologica del privato, il quale presta acquiescenza alla richiesta non certo per evitare un danno contra ius (certat de damno vitando), ma con l’evidente finalità di conseguire un vantaggio indebito (certat de lucro captando), sicché il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione deve essere ricercato nella dicotomia minaccia-non minaccia, che rappresenta l’altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, cit., in motiv.).
Chiarito ciò, le Sezioni Unite hanno evidenziato come il criterio selettivo per la delimitazione delle due fattispecie va focalizzato sugli aspetti contenutistici di quanto il pubblico funzionario prospetta al soggetto privato e, quindi, sugli effetti che a quest’ultimo derivano o possono derivare in termini di danno o di vantaggio, ove l’extraneus non aderisca alla richiesta alternativa di dazione o promessa di denaro o di altra utilità, con la conseguenza che la maggiore o minore gravità della pressione deve essere apprezzata in funzione, più che della forma in cui viene espressa, del suo contenuto sostanziale, il solo idoneo ad evidenziarne oggettivamente la natura costrittiva o induttiva, a valutare la qualità della scelta davanti alla quale l’extraneus viene posto (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, cit., in motiv.). Sotto tale aspetto, i concetti di “danno ingiusto” e il “vantaggio indebito” – quale dicotomia aggiuntiva, rispetto a quella costituita dal binomio minaccia-non minaccia rilevano, sempre sul versante oggettivo delle incriminazioni, quali elementi costitutivi impliciti rispettivamente della condotta costrittiva di cui all’art. cod. pen. e di quella induttiva di cui all’art. 319-quater stesso codice e devono essere perciò apprezzati con approccio oggettivistico, il quale, però, deve necessariamente coniugarsi con la valutazione della proiezione di tali elementi nella sfera conoscitiva e volitiva delle parti, non potendo l’accertamento prescindere, per evitare che la prova si fondi su meri dati presuntivi, dalla verifica del necessario intreccio tra gli elementi oggettivi di prospettazione e quelli soggettivi di percezione. Ed invero, la netta differenza, normativamente delineata, tra la posizione del concusso, che è vittima del reato, e quella dell’indotto, che concorre nel reato, impone, secondo le Sezioni Unite, l’indagine sulle spinte motivanti che hanno sorretto, in particolare, la condotta di tali soggetti, posto che è proprio dalla condotta che è agevole partire per stabilire la natura e l’esistenza o meno di un patito condizionamento psichico e per ricostruire, sulla base dell’elemento oggettivo del danno ingiusto o del vantaggio indebito, il rapporto intersoggettivo tra i protagonisti (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, cit., in motiv.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.1. Nel caso in esame, la Corte d’appello, nel ritenere configurato il delitto di concussione, non si è attenuta ai principi di diritto in precedenza enunciati.
La Corte territoriale ha evidenziato che le ragioni del sopralluogo erano da individuare nel fine di indurre COGNOME al pagamento di somme non dovute, dietro prospettazione di un male ingiusto, cioè il sequestro dell’intera area per presunti abusi edilizi.
Gli agenti, infatti, operavano stabilmente nel settore del commercio e dell’annona; né potevano sapere a seguito di una sola visita e senza alcuna consultazione degli atti amministrativi, eventualmente presenti nell’ufficio tecnico, se effettivamente le opere relative all’azienda di RAGIONE_SOCIALE fossero state realizzate abusivamente, in assenza di idoneo titolo abilitativo. La società aveva chiesto solo un cambio di amministratore e il teste COGNOME aveva confermato che l’invio al comando di Polizia municipale di comunicazioni riguardante il cambio di un amministratore di una società viene effettuato unicamente per ragioni informative e nella procedura non è richiesto alcun tipo di intervento della Polizia municipale.
La Corte territoriale ha aggiunto che, «trattandosi di opere risalenti a quasi un ventennio prima del verificarsi dell’episodio delittuoso in questione, la presumibile estinzione del reato per prescrizione rendeva del tutto improbabile l’ipotesi del sequestro dell’area prospettato dagli imputati a COGNOME», che, quindi, «non poteva effettuare alcuna ponderazione degli eventuali benefici che sarebbero derivati dal rabbonimento dei pubblici ufficiali. Ove anche la dazione di denaro fosse servita ad evitare l’insorgere di un procedimento penale il danno paventato – e cioè il sequestro della struttura – era immensamente maggiore».
Così argomentando, però, il Collegio di appello ha trascurato di considerare che la difesa aveva prodotto documentazione, sopravvenuta alla sentenza di primo grado, relativa all’ordine di demolizione delle opere abusive e di chiusura dell’attività commerciale di RAGIONE_SOCIALE COGNOME, emesso dal comune di Francavilla Fontana, da cui si desume l’abusività delle opere.
L’esistenza di abusi edilizi, rilevanti sul piano amministrativo, rende illogica l’affermazione della Corte secondo cui «COGNOME, quindi, non poteva effettuare alcuna ponderazione degli eventuali benefici che sarebbero derivati dal rabbonimento dei pubblici ufficiali».
La Corte territoriale ha poi ritenuto «immensamente maggiore» il danno paventato, ossia il sequestro, ma non solo si è limitata a considerare l’eventuale insorgenza di un procedimento penale e non anche di quello amministrativo (di fatto instaurato) ma ha anche errato sulla estinzione per prescrizione del reato, non potendosi escludere la natura permanente del reato contestabile.
Va rilevato, inoltre, che nella sentenza impugnata non vi è motivazione sullo stato psicologico della persona offesa, pur a fronte degli specifici motivi di appello, con cui si era dedotto che COGNOME aveva promesso la dazione di euro 2.000 per ottenere un suo vantaggio. In particolare, entrambe le difese avevano sostenuto che la persona offesa aveva prestato acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, consistito nel voler evitare il sequestro dell’area su cui era svolta la rivendita di auto: area abusivamente realizzata. Peraltro, tra gli imputati, agenti della polizia municipale, e la persona offesa sussisteva un rapporto paritetico confermato dalla circostanza che era quest’ultimo a contattare gli stessi, per il tramite di AVV_NOTAIO.
A fronte di tali rilievi, in ossequio all’insegnamento nomofilattico sopra riportato, la Corte territoriale avrebbe dovuto effettuare una rigorosa ricostruzione del percorso motivazionale che ha portato l’extraneus a promettere la prestazione indebita, per accertare se il privato fosse stato vittima di una prevaricazione o se, avendo un margine di scelta e, quindi, potendo opporsi all’indebita richiesta dei pubblici agenti, fosse stato semplicemente indotto alla promessa o dazione.
Alla luce di quanto precede si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova, per nuovo giudizio che emendi le criticità riscontrate.
I restanti motivi dei ricorsi, relativi alla configurabilità o meno d tentativo e al trattamento sanzionatorio, sono assorbiti dalla ritenuta fondatezza delle censure relative alla qualificazione dei fatti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce.
Così deciso il 18 settembre 2025.