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Concussione: minaccia del P.U. è reato, non induzione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per concussione a carico di un imprenditore, ritenuto mandante di un finanziere che aveva minacciato il titolare di un bar di chiusura dell’attività per ottenere denaro. La sentenza chiarisce la distinzione fondamentale tra il reato di concussione, caratterizzato da una minaccia di un danno ingiusto che annulla la volontà della vittima, e l’induzione indebita, dove la pressione è più lieve e la vittima agisce per un tornaconto personale. Il ricorso è stato rigettato in ogni sua parte.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concussione: quando la minaccia del pubblico ufficiale integra il reato più grave

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13345/2024, ha affrontato un caso di Concussione, delineando con precisione i confini tra questo grave delitto e la fattispecie, apparentemente simile, dell’induzione indebita. La decisione sottolinea come la minaccia di un danno ingiusto da parte di un pubblico ufficiale, finalizzata a ottenere un’utilità non dovuta, configuri il reato più severo, a prescindere dall’entità del profitto. Questo articolo analizza i dettagli della vicenda e le importanti conclusioni giuridiche della Suprema Corte.

I Fatti: la richiesta illecita al commerciante

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condotta di un agente della Guardia di Finanza che, secondo l’accusa agendo su istigazione di un imprenditore, ha minacciato il titolare di un bar. L’agente, facendo leva sulla propria funzione, ha prospettato al commerciante gravi conseguenze per la sua attività, come ispezioni mirate e la chiusura del locale. L’obiettivo era costringere la vittima a versare una somma di denaro per evitare questi danni ingiusti. A seguito della minaccia, il commerciante ha effettuato un primo pagamento.

Il percorso giudiziario e i motivi del ricorso

L’imprenditore, ritenuto il mandante, è stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di concorso in Concussione. La sua difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Inattendibilità delle dichiarazioni del coimputato: La difesa sosteneva che la testimonianza del finanziere fosse contraddittoria e non adeguatamente verificata, proponendo una versione alternativa dei fatti, ovvero una semplice richiesta di prestito.
2. Pena eccessiva: Si contestava l’entità della pena, ritenuta sproporzionata rispetto al modesto profitto ottenuto (una tranche di 2.000 euro).
3. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Il ricorrente lamentava che i giudici non avessero considerato il suo stato di salute, l’assenza di precedenti penali e il comportamento processuale.
4. Errata qualificazione del reato: Il punto cruciale del ricorso. La difesa chiedeva di riclassificare il fatto non come Concussione (art. 317 c.p.), ma come induzione indebita (art. 319 quater c.p.).

La decisione della Cassazione sulla Concussione

La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la condanna. Vediamo in dettaglio le argomentazioni della Corte.

L’attendibilità del coimputato

I giudici hanno stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente valutato le dichiarazioni del finanziere coimputato. La metodologia seguita è quella consolidata: verifica della credibilità soggettiva del dichiarante, analisi dell’attendibilità oggettiva del racconto e ricerca di riscontri esterni. In questo caso, le dichiarazioni sono state ritenute coerenti e supportate da prove concrete come SMS, tabulati telefonici e le dichiarazioni della parte civile.

La determinazione della pena e le attenuanti

La Cassazione ha giudicato infondate anche le censure sulla pena. La Corte territoriale aveva motivato la sua decisione in modo adeguato, considerando la pena edittale minima dell’epoca, il profitto conseguito e l’organizzazione messa in atto per commettere il reato. Riguardo alle attenuanti generiche, è stato ribadito che, dopo la riforma del 2008, il solo stato di incensuratezza non è più sufficiente per la loro concessione. Inoltre, le condizioni di salute non avevano impedito la commissione del crimine.

La differenza tra Concussione e Induzione Indebita: il punto chiave

Il cuore della sentenza risiede nella distinzione tra i due reati. La Cassazione ha ribadito che la Concussione (art. 317 c.p.) si configura quando il pubblico ufficiale usa un abuso costrittivo, tramite violenza o minaccia (anche implicita) di un danno contra ius (ingiusto). Questa azione limita gravemente la libertà di scelta della vittima, che si trova di fronte all’alternativa secca tra subire il danno o pagare.
L’induzione indebita (art. 319 quater c.p.), invece, si caratterizza per una pressione morale più tenue (persuasione, suggestione). In questo caso, la vittima dispone di un margine decisionale più ampio e spesso acconsente alla richiesta per ottenere un tornaconto personale, giustificando così una sanzione anche a suo carico.

Le Motivazioni della Sentenza

Nel caso specifico, i giudici hanno evidenziato che l’abuso dei poteri del pubblico ufficiale e la gravità della minaccia (la chiusura del locale, pur in assenza di irregolarità) erano elementi inequivocabili. La vittima, consapevole dell’ingiustizia della richiesta, non mirava a ottenere alcun vantaggio illecito, ma solo a evitare un danno grave e ingiusto. Questa dinamica, che annulla la libertà di autodeterminazione del privato, integra pienamente la fattispecie di Concussione e non quella di induzione indebita. La condotta minacciosa del pubblico ufficiale ha posto il commerciante in uno stato di soggezione tale da costringerlo alla dazione di denaro.

Le Conclusioni

La sentenza n. 13345/2024 della Corte di Cassazione offre un importante promemoria sulla gravità dei reati contro la Pubblica Amministrazione. La Corte ha tracciato una linea netta: quando un pubblico ufficiale minaccia un cittadino di un danno ingiusto per ottenere un profitto, si è di fronte a una Concussione. La distinzione non è puramente formale, ma sostanziale, poiché tutela la libertà del cittadino di fronte al potere pubblico e sanziona con maggiore severità l’abuso costrittivo rispetto a quello persuasivo.

Quando una minaccia di un pubblico ufficiale configura il reato di concussione e non quello di induzione indebita?
Si configura il reato di concussione quando il pubblico agente, attraverso una minaccia esplicita o implicita di un danno “contra ius” (ingiusto), pone la vittima di fronte all’alternativa di subire tale danno o evitarlo con un pagamento. Questo abuso costrittivo limita gravemente la libertà di scelta della vittima, che non agisce per ottenere un vantaggio personale.

Come viene valutata dalla Corte la testimonianza di un coimputato?
La testimonianza di un coimputato (chiamata in correità) viene valutata seguendo una metodologia a tre fasi: si verifica la credibilità soggettiva del dichiarante, si analizza l’attendibilità oggettiva del suo racconto e, infine, si cercano riscontri esterni individualizzanti che confermino la narrazione, come nel caso di specie, dove SMS, relazioni telefoniche e dichiarazioni della parte civile hanno corroborato il racconto.

Lo stato di incensuratezza è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. Secondo quanto ribadito dalla Corte e in base alla normativa vigente (art. 62-bis c.p. post-riforma 2008), il solo stato di incensuratezza dell’imputato non è più un elemento sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche. Il giudice deve valutare complessivamente la condotta e la personalità dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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