Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37870 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37870 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME, nato a Trinitapoli il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/07/2024 della Corte di appello di Perugia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le richieste del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili; sentite le conclusioni del difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili ovvero rigettati, con condanna degli imputati alla rifusione delle ulteriori spese sostenute nel presente grado di giudizio; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente COGNOME, AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente COGNOME, AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO NOME COGNOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO. NOME NOME, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Perugia, quale giudice del rinvio, per quanto qui rileva, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 29 giugno 2017 dal Tribunale dell’Aquila, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, in relazione al reato di tentata concussione in concorso contestato al capo A), confermando per entrambi gli imputati la condanna per la concussione consumata in concorso di cui al medesimo capo A) e le statuizioni civili, previa rideterminazione della pena.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi i suddetti imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, deducendo i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorso di NOME COGNOME formula un unico, articolato motivo, con cui la difesa si duole della carenza, incongruità e non correttezza della motivazione, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., in relazione alla valutazione dell’intero quadro probatorio e all’omessa valutazione di memorie difensive e di prova decisiva.
Senza peraltro raggiungere una forza persuasiva superiore rispetto alla precedente pronuncia, la Corte di appello avrebbe completamente obliterato le deduzioni difensive (e, in particolare, la memoria difensiva depositata il 14 gennaio 2024), ove si evidenziavano plurime e rilevanti discrasie nelle dichiarazioni rese nelle diverse sedi procedimentali ed extraprocedimentali dalla persona offesa, e nell’ulteriore, contraddittorio contributo informativo offerto da COGNOME, da COGNOME e da altri soggetti, per quel che attiene, in particolare,
alla genesi delle propalazioni di COGNOME, alla sua consapevolezza di essere intercettato, alla natura amichevole e confidenziale dei rapporti con COGNOME, alla sua incapacità di offrire risposte plausibili durante il controesame;
all’effettiva consistenza dei lavori nell’appartamento romano;
alla richiesta di un contributo per l’acquisto di altro immobile in Roma;
al presunto potere di ricatto di COGNOME verso magistrati aquilani;
alla concreta tempistica dell’intera vicenda;
alle ipotetiche minacce di lasciare cocaina nell’auto e alle supposte pressioni di ambienti massonici;
al senso di timore asseritamente insorto nella persona offesa;
alla incompletezza delle trascrizioni dei dialoghi intercettati e alla denegata rinnovazione della perizia in appello;
ai rapporti con COGNOME e con COGNOME;
ai probabili tentativi di corruzione da parte di COGNOME;
alla possibile irritazione di COGNOME a seguito di un’indagine dei RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sua famiglia, supponendo erroneamente una responsabilità di COGNOME.
Nel ricorso di NOME COGNOME, sono articolati tre motivi di impugnazione.
4.1. Violazione degli artt. 597 e 627 cod. proc. pen., carenza o illogicità della motivazione e travisamento della prova, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., in relazione al mancato rispetto del perimetro conoscitivo rimesso al giudice del rinvio.
L’annullamento della prima sentenza di appello era fondato sulla inottemperanza al canone della motivazione rafforzata. La Corte territoriale umbra avrebbe dovuto, di conseguenza, confrontarsi con ogni passaggio argomentativo speso dal Tribunale, chiarendo le ragioni per cui determinate prove potessero in ipotesi assumere una valenza dimostrativa completamente diversa; al contrario, i giudici perugini si sono limitati a vagliare solo «le condotte di concussione contestate al COGNOME», «mero spunto per le decisioni in sede di rinvio», valorizzando incongruamente i fatti riconducibili soltanto alla tentata concussione (nonostante la declaratoria di estinzione per prescrizione, in parte qua ), senza valutare nel dettaglio i motivi di gravame proposti a suo tempo dagli imputati, in particolare in tema di verifica della sussistenza di una dazione ingiusta.
4.2. Violazione degli artt. 597 e 627 cod. proc. pen., carenza o illogicità della motivazione e travisamento della prova, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avendo i giudici di appello trascurato i rilievi formulati nell’originale atto di gravame, con cui avevano l’obbligo di confrontarsi, nello specifico in relazione
alla credibilità di COGNOME (sovrapponendo indebitamente – e anzi trovandovi poi inesistenti riscontri – le lineari sommarie informazioni rese al Pubblico Ministero con la discordante e reticente testimonianza dibattimentale, soprattutto per quanto concerne
l’evoluzione dei rapporti personali tra pubblico ufficiale e privato), all’esatta collocazione temporale delle condotte ipoteticamente minatorie, alla consapevolezza da parte di COGNOME di essere intercettato, alla sua escussione soltanto dopo aver sentito tutti gli altri testi e lo stesso imputato COGNOME, alla abnorme quantificazione dell’importo dei lavori effettuati, trascurando quanto riferito dai materiali esecutori delle opere, che hanno minimizzato la consistenza economica del loro intervento);
alla sussistenza di una condotta effettivamente prevaricatrice e, soprattutto, alla sua necessaria anteriorità cronologica rispetto ai lavori di ristrutturazione oggetto della richiesta concussiva (anteriorità smentita per molteplici episodi, quali l’avviso di garanzia al monsignore e la telefonata a COGNOME, raggiunto al Casinò di Venezia);
all’apporto effettivamente offerto dall’ extraneus COGNOME, velocemente riassunto in poche righe, con un breve cenno alle sue insistenze affinchØ le richieste del militare fossero assecondate, così valorizzando situazioni probatoriamente neutre e di incerta scansione temporale.
4.3. Violazione di legge in relazione all’art. 62bis cod. pen. e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, giustificato con un’insufficiente richiamo alla gravità del fatto (e, in tal modo, appiattendo sulla figura dell’ intraneus , artefice degli abusi e delle intimidazioni, la posizione del mero concorrente, incensurato e, in ipotesi, fautore di un apporto minimale).
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perchØ proposti con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
La Sesta Sezione di questa Corte, con la sentenza n. 22778 del 09/03/2022, aveva annullato la prima sentenza di appello, accogliendo il ricorso del Procuratore generale e della parte civile, avuto riguardo al difetto della motivazione cosiddetta rafforzata, necessaria in caso di overturning , sia pure favorevole agli imputati.
La «sentenza di primo grado, all’esito di un accurato e puntuale esame delle risultanze probatorie, ritenuto che le richieste di denaro reiteratamente rivolte dal COGNOME al COGNOME integrassero il delitto di concussione, in quanto ‘il rapporto, per come emerso in dibattimento, risulta del tutto sbilanciato verso il pubblico ufficiale che ha adottato una condotta di prevaricazione abusiva, facendo leva sulla sua funzione e sui poteri connessi a tale funzione, nonchØ sui suoi rapporti anche personali con cariche istituzionali di un certo rilievo».
La Corte territoriale, nondimeno, aveva poi riformato in senso assolutorio la decisione, «senza, tuttavia, offrire una giustificazione razionale, in relazione al complessivo compendio probatorio valorizzato nella sentenza di primo grado, delle difformi conclusioni assunte». Nello specifico, «le condotte di concussione contestate al COGNOME (l’aver chiamato COGNOME mentre questi si trovava al casinò di Venezia con tale COGNOME, l’aver fatto presente in una occasione che era facile aprire la sua autovettura e inserirci un po’ di cocaina e l’avergli ripetuto, in piø occasioni, che lo avrebbe arrestato)», erano state lette «in un chiave edulcorata e banalizzante , parcellizzando il quadro probatorio delineato nella sentenza di primo grado». «Inoltre, con riferimento alla contestazione relativa alla costrizione posta in essere dal COGNOME ai danni del COGNOME in ordine all’esecuzione gratuita dei lavori edilizi eseguiti presso l’abitazione in uso all’alto ufficiale a Roma, la Corte di appello,
obliterato l’ampia disamina del compendio probatorio raccolto nel corso del giudizio di primo grado e il rilievo della carenza di prove documentali dei pagamenti asseritamente poti in essere dal COGNOME COGNOME favore del COGNOMECOGNOME.
Senza la necessaria previa confutazione – «con rigorosa analisi critica» – degli argomenti posti alla base della decisione di condanna, era stata, in tal modo, accolta apoditticamente l’ipotesi ricostruttiva «dell’esuberanza caratteriale del COGNOME in un contesto amicale goliardico», prescindendosi «integralmente dall’accurata analisi svolta dal giudice di primo grado in ordine alla credibilità della persona offesa, ai riscontri rinvenuti alle sue accuse e, segnatamente, alla mutual corroboration con le dichiarazioni dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, alla registrazione della conversazione tra quest’ultimo e il COGNOME, alle fotografie acquisite, in ordine alle pressanti richieste del COGNOME al COGNOME e alle condizioni di disparità tra gli stessi esistenti».
Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non Ł vincolato, nØ condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando solo al primo il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (cfr., Sez. 2, n. 33166 del 22/07/2025, Froio, non mass.; Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629-02; Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345-01; Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, COGNOME, Rv. 264861-01. ¨ stato, inoltre, condivisibilmente sottolineato da Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 08/02/2024, COGNOME, Rv. 285801-02; Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273628-01, che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione mediante l’indicazione dei punti specifici di carenza o contraddittorietà, il potere del giudice di rinvio non Ł limitato all’esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, restando intatto l’onere di fornire in sentenza adeguata motivazione in ordine all’iter logico-giuridico seguito per giungere alla propria decisione, rispetto ai singoli punti specificati con la sentenza di legittimità).
Entro questo perimetro valutativo, il rinnovato apparato argomentativo della sentenza qui impugnata risulta soddisfare appieno l’obbligo motivazionale imposto dalla pronuncia di annullamento, palesandosi scevro da vizi logico-giuridici e coerente con il complesso delle risultanze processuali, previo adeguato confronto con i profili di gravame.
4.1. L’imputazione residua di cui al capo A) aveva per oggetto due distinti delitti ex artt. 110-317 e 56-110-317 cod. pen., uniti dal vincolo della continuazione, contestati a NOME COGNOME ( intraneus , quale Comandante provinciale dei Carabinieri dell’Aquila) e al concorrente NOME COGNOME.
Secondo l’ipotesi accusatoria COGNOME, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, con il fattivo apporto di COGNOME, avrebbe costretto NOME COGNOME, noto imprenditore aquilano, ad effettuare dei lavori di ristrutturazione per un importo ammontante a circa 25.000 euro, presso un appartamento nella sua disponibilità, sito in Roma, e, nel medesimo contesto relazionale, avrebbe poi sollecitato ripetutamente un aiuto economico per l’acquisto di un immobile, prospettando al COGNOME una «punizione» nel caso fosse venuto meno alla richiesta, senza riuscire nell’intento per la ferma opposizione della persona offesa. Tale ultima condotta, rimasta allo stadio del tentativo, Ł stata infine oggetto di una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
4.2. In primo luogo, la sentenza impugnata – premettendo di condividere completamente il discorso giustificativo espresso nella motivazione del Tribunale e in risposta agli originali motivi di gravame – evidenzia il generale contesto palesemente
asimmetrico che connotava le relazioni tra l’alto ufficiale dell’Arma e la persona offesa.
Tale ricostruzione muove, innanzitutto, da un approfondito scrutinio della credibilità oggettiva e soggettiva della narrazione offerta da COGNOME, medico dentista esercente – per il tramite della moglie e del figlio – anche un’impresa edile. ¨ stata ritenuta rilevante la genesi delle dichiarazioni: durante un dialogo con la moglie, avvenuto il 25 giugno 2014 (e, dunque, a due-tre anni di distanza dai fatti per cui si procede) e oggetto di intercettazione, COGNOME avrebbe definito il colonnello COGNOME un «tangentaro» che «mi ha ridotto in mutande». Da ciò, aveva fatto seguito una convocazione per essere sentito dal magistrato inquirente, effettuata con modalità particolarmente rigide (prelevato dalla polizia giudiziaria nella propria abitazione alle 7:30 del mattino, senza essere messo a conoscenza dei fatti su cui sarebbe stato chiamato a fornire sommarie informazioni). La situazione, potenzialmente foriera di sviluppi giudiziari negativi, aveva spinto COGNOME ad un atteggiamento estremamente prudente: egli si limitò, pertanto, a rispondere alle domande rivoltegli, senza riferire nulla di piø in ordine a fatti che mai «avrebbe denunciato se non richiesto dall’organo inquirente». Ciò costituisce, insieme al decorso del tempo, una ragionevole giustificazione delle discrasie rispetto al contenuto della testimonianza di COGNOME (avvenuta altri tre anni piø tardi), ricco di riferimenti a nuove circostanze e a ulteriori particolari.
NOME, sin dai primi loro contatti, si era posto «come soggetto ‘diretto’ e ‘perentorio’ che non si faceva scrupoli nei rapporti con gli altri» (lo stesso imputato, peraltro, parlando di sØ medesimo, si era definito «antipatico, prepotente e aggressivo»). In quel contesto, il militare aveva fatto capire all’imprenditore di aver bisogno di lavori edili in un appartamento a Roma di cui usufruiva a titolo gratuito, dove voleva trasferire la famiglia, con l’intenzione di acquistarlo in seguito (con l’ulteriore precisazione che avrebbe avuto bisogno di reperire buona parte della liquidità ipotizzata come corrispettivo, quantificabile in diverse centinaia di migliaia di euro). Al contempo, il colonnello aveva ventilato un suo interessamento per far affidare all’impresa di COGNOME, che sino a quel momento aveva operato solo con privati, dei lavori per la locale Curia. Tale affidamento non si concretizzò mai, ma COGNOME cominciò presto a «pronunciare frasi sempre piø allusive e minacciose».
Il contesto si fece sempre piø inquietante per la persona offesa, che non aveva fornito il denaro richiesto. Scattò l’allarme di casa senza motivo, fu raggiunto a Venezia da una telefonata di COGNOME che si dimostrò ben a conoscenza di dove fosse e in compagnia di chi (così dimostrando di avere i mezzi per controllare le sue frequentazioni e i suoi spostamenti), COGNOME prese ad essere convocato, quasi quotidianamente in caserma e fu destinatario di innumerevoli minacce di «passare guai» e di intimidazioni piø larvate (accenno alla facilità con cui si sarebbe potuto nascondere dello stupefacente nella sua auto, anticipazione del prossimo avviso di garanzia a un alto prelato locale, presentazione di alcuni «soggetti definiti ‘massoni’», esibizione della pistola di ordinanza puntata scherzosamente contro un cameriere, millanterie in ordine a un asserito potere di ricatto dei locali magistrati).
Il racconto della persona offesa era confortato dalle dichiarazioni della moglie e del figlio, NOME COGNOME e NOME COGNOME, del suo avvocato, COGNOME (che, in quanto tale, aveva avuto colloqui tutt’altro che sereni con COGNOME, registrando in un’occasione la burrascosa conversazione), dei materiali esecutori dei lavori nella casa in uso a COGNOME e del suo effettivo proprietario, nonchØ dagli accertamenti posti in essere dalla Guardia di Finanza e dalle foto che riproducevano lo stato dei luoghi dell’immobile oggetto di ristrutturazione.
Avuto riguardo al complessivo sviluppo della vicenda processuale e ai plurimi riscontri, non poteva, dunque, revocarsi in dubbio la credibilità della persona offesa e l’attendibilità del
suo racconto (non inficiate dalla mai negata consapevolezza delle intercettazioni in atto, di cui non si poteva immaginare la riconducibilità alla vicenda COGNOME, nØ dall’escussione in dibattimento solo alla fine dell’istruttoria, posto che, come parte civile, aveva comunque pieno accesso agli atti delle indagini preliminari e che l’inversione dell’ordinaria tempistica di assunzione delle prove era avvenuta sull’accordo delle parti).
4.3. Così delineato lo scenario generale, in ordine allo specifico reato per cui c’Ł poi stata condanna (non risultando devoluti a questa Corte di legittimità i fatti oggetto di proscioglimento per prescrizione, nØ le statuizioni civili), la Corte territoriale ha poi precisato preliminarmente che «le numerose e reiterate condotte tenute dal COGNOME certamente assunto un carattere intimidatorio», dovendosi recisamente escludere la tesi di una loro riconducibilità a «espressioni di esuberanza collocate nell’ambito di un rapporto di amicizia e frequentazione». Le continue ed esplicite pressioni del colonnello avevano, piuttosto, condotto COGNOME a una situazione di terrore e di piena sudditanza psicologica, dovendosi escludere un rapporto paritario tra loro (peraltro, si aggiunge, COGNOME, la moglie e il figlio, sarebbero poi stati imputati e condannati per violazioni edilizie). Si deve, d’altronde, escludere (anche per quanto potesse astrattamente rilevare ai sensi dell’art. 319quater cod. pen.), la sussistenza di vantaggi sinallagmatici per l’imprenditore rispetto alle richieste del militare; invero, le condotte di quest’ultimo risultano chiaramente concussive, senza che fosse emersa alcuna effettiva facilitazione professionale in favore di COGNOME.
Fermo restando che gran parte della ricostruzione dei fatti sopra riassunta si riferisce a episodi successivi alla consumazione del delitto di concussione per cui Ł intervenuta condanna (e, purtuttavia, evidentemente utili per colorare, anche ex post , l’intera vicenda e, prima ancora, saggiare la credibilità del dichiarante), in merito a tale reato, la Corte di merito sottolinea come, in un contesto intimidatorio di tal fatta (sia pure nelle sue fasi iniziali), COGNOME e COGNOME chiesero a COGNOME di effettuare alcuni lavori presso l’appartamento romano in uso al colonnello. All’inizio, gli fu rappresentata la necessità di una semplice tinteggiatura e, di fronte a un intervento di modesta entità, COGNOME si dimostrò disponibile a effettuare le opere a titolo gratuito. Le richieste poi – avanzate anche dalla moglie di COGNOME, direttamente in loco – si estesero alla ristrutturazione dell’impianto idraulico ed elettrico, al rifacimento della cucina, alla risistemazione del bagno e alla tinteggiatura anche degli infissi, con conseguente lievitazione dei costi (infatti, il 20 maggio 2011, fu stilato un preventivo per complessivi euro 25.000).
«COGNOME si recava a trovarlo insistentemente dicendogli che era assolutamente necessario eseguire i lavori e che non poteva rifiutarsi», senza chiarire chi, tra lui e COGNOME, avrebbe poi provveduto al pagamento, di modo che COGNOME sperava almeno di riuscire a rientrare nelle spese vive, ma portò avanti l’esecuzione «per il solo timore di ritorsioni». COGNOME, infatti, aveva segnalato la propria urgenza di entrare in possesso dell’appartamento ristrutturato, non potendovi provvedere per tempo la ditta inizialmente da lui prescelta.
Il proprietario dell’immobile ha riferito che l’abitazione era in uso gratuito a COGNOME da almeno due anni (di modo che egli non aveva contezza della tipologia di lavori eseguiti) e che il colonnello gli aveva espresso il desiderio di acquistarla, ma la trattativa non era poi andata a buon fine, in mancanza di accordo sul prezzo.
I diversi soggetti che materialmente eseguirono i lavori hanno confermato che il costo degli interventi elettrici e di pittura ammontava a circa euro 4.000; secondo la Corte di appello, avrebbe dovuto, nondimeno, tenersi conto anche della sostituzione dei vecchi sanitari con i nuovi e del loro smaltimento; le fotografie agli atti, inoltre, confermavano «le pessime condizioni dell’appartamento prima dei lavori» ed Ł stato accertato anche «il
rifacimento di bagni e cucina». Risulta, dunque, complessivamente congruo l’importo indicato nel suddetto preventivo (inviato anche a COGNOME, quantomeno per conoscenza); la teste COGNOME, d’altronde, aveva quantificato l’importo dei lavori, svolti fuori sede, in circa euro 20.000.
¨ «pacifico, e mai contestato, che nessuna somma sia mai stata pagata dal COGNOME, pagamento mai avvenuto neppure in epoca successiva come ammesso dallo stesso imputato anche nel corso dei colloqui avuti con l’AVV_NOTAIO nel corso dei quali aveva addirittura sostenuto come i lavori erano stati concordati tra il COGNOME e il COGNOME e come dovevano essere pagati da costui».
Ad ogni buon conto, non solo neppure COGNOME – formalmente estraneo al rapporto negoziale per contratto d’opera – versò alcunchØ, ma era egli stesso direttamente debitore di oltre euro 100.000 nei confronti di COGNOME, in conseguenza di due prestiti di denaro ricevuti e mai restituiti. La sua responsabilità quale extraneus appare indubitabile, avuto riguardo al rilevante contributo offerto nell’episodio concussivo: fu lui ad avvicinare COGNOME e a presentargli COGNOME e, poi, agendo in sincronia con il militare, ad insistere «nel convincerlo ad assecondare la richiesta dell’ufficiale nell’effettuare i lavori», non potendo rifiutarsi, poichØ il colonnello non «avrebbe gradito». Non a caso, quindi, il preventivo fu inviato anche a lui, che continuò successivamente, con «insistenza pazzesca», a fare pressioni su COGNOME, sino a farsi consegnare euro 2.000, per le spese condominiali dell’appartamento di Roma.
Alla luce di quanto esposto, in punto di diritto, al § 3 e, quanto al contenuto dell’apparato giustificativo della sentenza impugnata, al § 4, risulta, innanzitutto, manifestamente infondato il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME.
L’irrigidimento dell’obbligo argomentativo – cosiddetta ‘motivazione rafforzata’ – era imposto dalla originaria riforma in senso assolutorio della condanna di primo grado (cfr. Sez. U, n. 33748/2005, cit.; Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01; Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112-03; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785-01; Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01). La nuova sentenza di appello, lungi dal rappresentare un overturning , presenta, al contrario, i connotati di una cosiddetta ‘doppia conforme’ (cfr., infra , sub 6.4) per quel che concerne le statuizioni penali relative al concorso in concussione.
I giudici umbri si sono mossi, con ogni evidenza, nel pieno rispetto della cognizione loro attribuita, posto che, come già evidenziato, l’annullamento della sentenza della Corte abruzzese per insuperabili vizi di motivazione aveva rimesso loro – una volta demolita la prima sentenza di appello, totalmente espunta dalla catena devolutiva – l’intera valutazione della vicenda, nei limiti, ex art. 597, comma 1, cod. proc. pen., dei punti della decisione incisi da motivi di gravame. E la disamina dell’intera vicenda si Ł svolta ripercorrendo, espressamente (cfr. pp. 7ss e 12ss), le specifiche doglianze dedotte dai due appellanti, sia pure prendendole in considerazione man mano, lungo l’intero percorso argomentativo, senza un loro preliminare riassunto. D’altronde, i profili di gravame a suo tempo articolati da COGNOME concernevano la «Totale inattendibilità della persona offesa: parzialità della valutazione del Tribunale» (primo motivo: pp. 5-23) e «La qualifica di extraneus ; la pena comunque eccessiva; la mancata concessione delle attenuanti generiche; il minimo edittale; l’interdizione perpetua, anche per la mancata concessione delle generiche» (secondo motivo: pp. 23-24); non risultano, dunque, questioni dedotte al giudice di appello e da questi irritualmente pretermesse.
Appare, inoltre, opportuno premettere alcune considerazioni di ordine generale, quale viatico all’esame delle censure inerenti i lamentati vizi di motivazione articolate
nell’unico motivo del ricorso di COGNOME e nel secondo motivo del ricorso di COGNOME.
6.1. Può osservarsi, in primo luogo, come, costantemente, nel contestare il giudizio di responsabilità e le valutazioni probatorie che ne sono alla base, i ricorrenti invochino in concreto, pur nell’alveo formale delineato dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., una radicale rilettura del materiale probatorio.
Questa operazione, con ogni evidenza, comporta una valutazione strettamente di merito, preclusa alla competenza di questa Corte. Invero, non sono deducibili con ricorso per cassazione censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali e tali da imporre una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che contestino la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore, della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01; cfr. anche Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589-02, secondo cui la manifesta illogicità della motivazione presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza).
Il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità Ł circoscritto alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità in tale esposizione – e, quindi, la coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo – e la mancata emersione di vizi logico-giuridici dal testo impugnato o da altri atti del processo rendono la decisione insindacabile (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556-01).
6.2. Parimenti, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge sono ritualmente dedotte allorchØ si contesti la riconducibilità del fatto, come ricostruito dai giudici di merito, alla fattispecie astratta delineata dalla norma incriminatrice, ma non possono essere dirette a revocare in dubbio l’idoneità delle emergenze processuali a fondare la condanna che poggia su tale ricostruzione, neppure lamentando la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e) , dello stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i suaccennati limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).
6.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare, dunque, evidente come, all’attività valutativa propria del giudicante di merito non si sottragga il concreto contenuto istruttorio veicolato dalle fonti orali e, in particolare, dalla persona offesa.
Quanto all’asserita contraddittorietà delle dichiarazioni di COGNOME, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni ( ex plurimis , Sez.
6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524-01). Nella fattispecie, la Corte di Perugia ha ritenuto – con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici – pienamente credibile il racconto di NOME COGNOME, peraltro in presenza di molteplici riscontri oggettivi, all’esito di un’analisi scrupolosa e serena, come ampiamente illustrato, dell’intero quadro probatorio.
6.4. Occorre, infine, chiarire come, ai fini del controllo di legittimità – in particolare quando, come nel caso di specie per quanto attiene al delitto di concussione consumata in concorso, i giudici di secondo grado abbiano confermato la condanna pronunciata in tribunale (cosiddetta ‘doppia conforme’) – la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, così da formare un unico complessivo corpo decisionale, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri esplicitamente omogenei a quelli del primo giudice, richiamando i passaggi logico-giuridici della prima sentenza e concordando espressamente nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv 27721801; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv 257595-01).
Tutte le altre risultanze istruttorie di valenza astrattamente contraria risultano, anche implicitamente, disattese, siccome incompatibili con la lineare ricostruzione suaccennata (cfr. Sez. 4, n. 33393 del 18/09/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 7, Ord. n. 31072 del 09/07/2025, T., non mass.; Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv 281935-01; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254107-01, secondo cui, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo).
Ciò chiarito, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, a fronte della apparente ampiezza di argomenti, Ł articolato su motivi generici, siccome avulsi da un effettivo confronto con il concreto percorso motivazionale, e, comunque, miranti esclusivamente a un’impossibile rivalutazione del merito dei singoli elementi di prova.
7.1. Il ricorrente – in maniera non sempre perspicua rispetto alle effettive ricadute inferenziali delle singole deduzioni difensive e in una costante ottica di lecita interpretazione partigiana delle risultanze – si limita, di fatto, a dolersi di una presunta «omissione probatoria che inficia gravemente il costrutto sentenziato», supponendo l’omessa ponderazione di tutte le argomentazioni difensive. La prospettazione Ł errata, laddove postula in astratto l’equivalenza tra la totale omissione di confronto con le deduzioni della parte e il mancato accoglimento dei suggerimenti interpretativi dell’imputato, laddove la Corte territoriale ha dato ritualmente prevalenza a percorsi ricostruttivi diversi da quelli invocati dall’imputato (ciò che Ł avvenuto in concreto, come detto, sulla scorta di una lineare illustrazione delle ragioni poste a fondamento di ogni opzione valutativa adottata).
Peraltro, come già accennato, la lunga esposizione dei risultati delle indagini relativi a circostanze successive all’estate 2011 era espressamente strumentale alla verifica della attendibilità del principale testimone di accusa e, piø in generale, a inserire le condotte oggetto di imputazione nel loro giusto contesto (e, inoltre, a illustrare la mancanza di ragioni evidenti di assoluzione nel merito, ostative, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., alla declaratoria di estinzione del delitto tentato).
7.2. In tema di concussione, la costrizione consiste nel comportamento del pubblico ufficiale che, abusando delle sue funzioni o dei suoi poteri, agisce con modalità o con forme
di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita, che, di conseguenza, si determina alla dazione o alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciato; la fattispecie concussiva può configurarsi anche in caso di implicite e reiterata minacce di future ritorsioni da parte dell’imputato (Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, dep. 2024, Saguto, Rv. 286376-05; Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015, Adamo, Rv. 264278-01).
Nel caso di specie, in conformità agli insegnamenti di questa Corte regolatrice e tenuto conto della natura concorsuale della fattispecie in contestazione, i giudici di merito, con motivazione impermeabile allo scrutinio di legittimità, hanno ritenuto la sussistenza di un pressante condizionamento, risoltosi in una forma di intimidazione obiettivamente idonea a determinare lo stato di coercizione psicologica nel soggetto passivo, già al momento in cui erano state avanzate – nella loro effettiva consistenza – le richieste di lavori edili, accompagnate da intimidazioni neppure troppo larvate (cfr. supra , § 4.3. Il Tribunale, alle pp. 2-3, aveva già evidenziato come la frequentazione tra il colonnello e il dentista/imprenditore, iniziata alla fine del 2010 per i buoni uffici di COGNOME, sin da subito assunse connotazioni imbarazzanti per le convocazioni quasi quotidiane in caserma, costringendo la persona offesa a interrompere le proprie attività professionali anche solo «per sbeffeggiarlo o per ostentare nei suoi confronti il proprio potere», e per le ripetute presentazioni, senza invito e anche in ora tarda, presso l’abitazione di COGNOME; il tutto sempre con «atteggiamento autoritario e prepotente», con abbondanza di battute da parte di entrambi gli imputati «spesso di cattivo gusto ed ambiguo, risultan di fatto come velate minacce e avvertimenti»).
7.3. Sono, inoltre, manifestamente infondate le ulteriori doglianze stringatamente inserite nel corpo del ricorso, con riferimento ad asserite ulteriori violazioni procedurali.
7.3.1. Il solido complesso motivazionale evidenzia la piena adeguatezza della piattaforma probatoria a fondare, già di per sØ, l’affermazione di responsabilità e l’inidoneità delle nuove prove di cui si sollecitava l’acquisizione (nuova perizia trascrittiva delle registrazioni audio-video) a disarticolare il percorso argomentativo alla base della condanna, difettando così il requisito della decisività, postulato dall’art. 603 cod. proc. pen., in coerenza con l’eccezionalità della rinnovazione nel giudizio di secondo grado, costantemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità. D’altronde, mentre il giudice di appello ha l’obbligo di motivare espressamente in caso di accoglimento della richiesta istruttoria, le ragioni di rigetto possono essere anche implicite nell’apparato motivazionale della decisione adottata, laddove si evidenzi la sussistenza di emergenze istruttorie sufficienti ad affermare la responsabilità dell’imputato, cfr. Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta, Rv. 275114; Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016, F., Rv. 268657-01; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259893-01; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257741-01).
Invero, seppure il ricorrente non distingua la portata dimostrativa del mezzo istruttorio in relazione ai diversi episodi in contestazione, occorre rilevare come la trascrizione invocata avesse per oggetto i dialoghi tra NOME e NOME (registrati da quest’ultimo), non direttamente rilevanti per la prova del fatto contestato, siccome relativa a conversazioni ad esso successive e inerenti soltanto il tentativo di concussione dichiarato prescritto.
7.3.2. Non emerge, ad avviso dei giudici di merito, nessun mendacio durante la testimonianza resa da COGNOME (che, peraltro, come riportato anche a p. 21 del ricorso, ammette di avere avuto timore per la propria famiglia, non essendo andato a vivere «in mezzo ai pigmei») e, pertanto, risulta manifestamente inconferente la questione sulla
configurabilità dell’esimente di cui all’art. 384 cod. pen.
D’altronde, in astratto, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sØ stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all’onore opererebbe anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico, essendo irrilevante l’esistenza di altre e diverse possibilità di difesa (Sez. 6, n. 19461 del 09/04/2025, Lucà, Rv. 288096-01; Sez. 6, n. 52118 del 02/12/2014, Dantino, Rv. 261668-01).
Parimenti generico e non consentito, nei termini suindicati, risulta il secondo motivo del ricorso di COGNOME.
Richiamate integralmente, per quanto attiene alla sussistenza del fatto tipico di cui all’art. 317 cod. pen., le considerazioni sinora svolte (estendibili appieno anche al secondo ricorrente), COGNOME, come correttamente puntualizzato nella sentenza impugnata, si era fatto zelante portavoce presso la vittima della richiesta illecita del pubblico ufficiale, con chiara ed insistita rappresentazione delle conseguenze negative di un eventuale rifiuto, nella assoluta consapevolezza del rapporto di soggezione già ampiamente consolidatosi tra COGNOME e COGNOME.
Tale attività costituisce indubbiamente un contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 cod. pen.
Il Collegio, sul punto, condivide e intende ribadire il consolidato indirizzo di legittimità, secondo cui, in tema di concussione, l’azione tipica può essere realizzata anche dal concorrente privo della qualifica soggettiva, a condizione che – esattamente come nella vicenda che qui rileva – costui, in accordo con il titolare della posizione pubblica, tenga una condotta che contribuisca a creare nel soggetto passivo lo stato di costrizione o di soggezione funzionale ad un atto di disposizione patrimoniale, e che la vittima sia consapevole che l’utilità Ł richiesta e voluta dal pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 17918 del 07/03/2023, Castiglia, Rv. 284594-01; Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, COGNOME, Rv. 25536501).
Quanto, infine, al terzo motivo di impugnazione di COGNOME, la Corte di appello motiva congruamente – condividendo il giudizio di fatto già espresso in primo grado, con motivazione insindacabile in sede di legittimità, in assenza di illogicità o contraddittorietà l’impossibilità di riconoscere le circostanze attenuanti generiche (richiamando, per entrambi gli imputati, la gravità della condotta, il ruolo e la funzione svolta, nonchØ la mancanza di ogni resipiscenza).
Tenuto conto della parte cruciale assunta dal ricorrente, quale materiale esecutore, già ampiamente stigmatizzata dai giudici di merito, in quanto indispensabile strumento per portare a compimento l’azione prevaricatrice, la sintetica argomentazione appare sicuramente adeguata nel giustificare la prevalenza offerta a tali consistenti elementi a carico rispetto alla mera situazione di incensuratezza (unica circostanza allegata pro reo , nel brevissimo accenno alla questione svolto nell’ultima pagina dell’atto di appello).
D’altronde, non Ł necessario che il giudice di merito, nel motivare sul punto, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione – cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone e altri, Rv. 249163).
10. Entrambi i ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili.
10.1. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
10.2. Consegue altresì la condanna degli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza sostenute dalla parte civile NOME COGNOME, costituita nel presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, in relazione all’attività svolta.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 14/10/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME