Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1653 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1653 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nato a Napoli il 06/06/1966
avverso la sentenza del 11/01/2024 della Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/07/2020 il Tribunale di Roma, competente ex art. 11 cod. proc. pen., ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni sei di reclusione per il reato di cui agli artt. 110-317 cod. pen., in esso assorbito il reato di cu all’art. 346, comma 2, cod. pen. riqualificato ex art. 346-bis cod. pen., e lo ha condannato al risarcimento del danno patito dalle parti civili.
In parziale riforma di tale sentenza, la Corte di appello di Roma ha ridotto la pena inflitta e rideterminato l’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno, confermandola nel resto.
È stato, in particolare, accertato che l’imputato, pubblico ufficiale in servizio presso la Squadra mobile di Napoli, unitamente a NOME COGNOME, si è recato presso l’abitazione di NOME COGNOME asserendo di essere in possesso di un mandato di arresto nei suoi confronti emesso dalla DDA di Napoli. Poi, appartatosi con la persona offesa, le ha spiegato che la questione poteva essere risolta corrispondendo la somma di euro 20.000 al pubblico ministero procedente, tale NOME COGNOME in quanto persona facilmente corruttibile.
La persona offesa ha accettato di pagare ma ha tentato di ridurre la somma da corrispondere al magistrato, arrivando all’importo di 10.000 euro, da pagare nella stessa mattinata. L’imputato ha, quindi, trattenuto la carta di identità di COGNOME e si è recato al posto dell’appuntamento concordato, mentre quest’ultimo, anziché andare a procurarsi il denaro, si è recato dai carabinieri.
Avverso la suddetta sentenza è stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse di NOME COGNOME per i motivi di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante acquisizione dell’ordinanza cautelare e della sentenza emesse nei confronti di uno degli agenti di polizia giudiziaria che ha condotto le indagini nei confronti del ricorrente, richiesta ritenuta tardiva e comunque non pertinente.
Deduce il difensore che la richiesta era tempestiva perché formulata con motivi aggiunti nel rispetto del termine di cui all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. e che era rilevante perché la condanna per fatti che vedrebbero coinvolto l’agente in affari con clan camorristici da circa un ventennio è idonea a minarne la credibilità.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono i vizi di travisamento della prova e di difetto di motivazione in quanto la Corte di appello ha ritenuto non credibile la versione fornita dall’imputato -che non era in servizio presso l’Ufficio immigrazione ma svolgeva attività di polizia giudiziaria presso la Questura di Napoli-, omettendo di confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive contenute nell’atto di appello, e, per altro verso, ha ritenuto attendibile la persona offesa, gravata da un precedente per falsa testimonianza.
Escludendo le dichiarazioni della persona offesa, nessuna prova è stata acquisita in ordine alla richiesta di consegna di denaro a parte dell’imputato.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla configurabilità dei reati di concussione e di millantato credito cd. corruttivo, riqualificato come traffico di influenze illecite, all’assorbimento della seconda fattispecie nella prima.
Il reato di millantato credito realizzato mediante una messa in scena in danno della persona offesa è incompatibile con il reato di concussione, che postula, invece, una costrizione ai danni della vittima.
In secondo luogo deduce il difensore che, secondo quanto recentemente statuito dalle Sezioni unite (sent. n. 19357 del 2024), non vi è continuità normativa tra il millantato credito corruttivo, di cui all’abrogato art. 346, comma 2, cod. pen., e il traffico di influenze illecite, per cui la Corte di appello avreb dovuto prendere atto della intervenuta abolitio criminis del reato contestato al capo a) o, eventualmente, verificare la riconducibilità del fatto al reato di truffa aggravata di cui, peraltro, non sussistevano gli estremi.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla configurabilità del delitto di concussione, non essendo il fatto avvenuto mediante abuso della qualità di pubblico ufficiale, in quanto, in primo luogo, l’imputato non aveva alcuna possibilità di incidere nella sfera soggettiva del privato né stava esercitando una pubblica funzione e, in secondo luogo, non vi è stata alcuna costrizione ma solo una falsa rappresentazione della realtà.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine ritenuta irrilevanza della riserva mentale della persona offesa, perché proprio il fatto di non aver creduto quanto rappresentato dall’imputato e aver solo apparentemente promesso il denaro, al fine di farlo allontanare dalla propria abitazione e recarsi dai carabinieri, dimostra l’assenza del requisito della costrizione, facendo residuare, al più, un tentativo di concussione, come dedotto con i motivi di appello su cui, però, la sentenza impugnata non si è pronunciata.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché aspecifico, non essendo stata illustrata la concreta incidenza della acquisizione della ordinanza cautelare e della sentenza sulla complessiva ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza
impugnata. In ogni caso esso è infondato, perché la Corte di appello ha respinto l’istanza, ritenendo l’acquisizione non pertinente ai fatti oggetto del giudizio.
Il secondo motivo di ricorso, con cui si censura l’attendibilità della persona offesa e si deduce il vizio di travisamento della prova in quanto il ricorrente non era in servizio presso l’Ufficio immigrazione della Questura di Napoli, è infondato.
La sentenza di secondo grado, che si salda con quella di primo grado, formando un unico complesso argomentativo, ha ritenuto del tutto fantasiosa la ricostruzione dei fatti operata dall’imputato, totalmente priva di riscontri in ordine al suo presunto inserimento in indagini in materia di criminalità organizzata, e ha rilevato che, in ogni caso, essa non sarebbe stata idonea a scriminarne la condotta.
Per contro, con motivazione logica e immune da vizi, è stata ritenuta pienamente attendibile la versione offerta dalla persona offesa, che, peraltro, ha trovato corrispondenza nelle altre testimonianze acquisite.
Il terzo motivo di ricorso, con cui censura la riconducibilità della fattispecie concreta al reato di cui all’art. 346-bis cod. pen. è inammissibile per difetto di interesse.
Al ricorrente erano contestati due reati: il millantato credito cd. corruttivo, a capo a), e la concussione, al capo b). La sentenza di primo grado, confermata da quella di secondo grado, ha riqualificato il reato di cui al capo a) come traffico di influenze illecite e lo ha assorbito nel reato di concussione di cui al capo b). La condanna, quindi, è intervenuta solo per il reato di concussione, per cui il ricorrente non ha alcun interesse concreto ed attuale a vedere riformata la qualificazione della condotta assorbita, che ha perso autonoma rilevanza.
4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Il difensore contesta la sussistenza del delitto di concussione sotto diversi profili, rilevando che difetta l’elemento dell’abuso della qualità di pubblico ufficiale, perché l’imputato non aveva alcuna possibilità di incidere nella sfera soggettiva del privato né stava esercitando una pubblica funzione, e che difetta altresì l’elemento della costrizione.
Sul punto va rilevato che l’art. 317 cod. pen. richiede che la costrizione a dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità sia posta in essere dal pubblico ufficiale con abuso della sua qualità o dei suoi poteri.
È stato precisato che “l’abuso dei poteri” consiste nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti mentre “l’abuso della qualità” consiste nella strumentalizzazione della posizione rivestita all’interno della pubblica amministrazione, anche indipendentemente
dalla sfera di competenza specifica (Sez. 6, n. 7971 del 06/02/2020 Rv. 278353, relativa alla fattispecie di cui all’art. 319-quater). In questa seconda ipotesi è, cioè, necessario che l’abuso della qualità soggettiva renda l’atto intimidatorio credibile e idoneo a costringere il soggetto passivo all’indebita promessa o dazione.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando che il ricorrente si è presentato dalla persona offesa dichiarando la propria qualità di appartenente alle forze di polizia ed esibendo il tesserino di riconoscimento, che ha dichiarato di essere in possesso di un mandato di arresto della DDA di Napoli, dimostrando di essere a conoscenza di molte informazioni personali relative alla persona offesa e alla sua famiglia.
Tale prospettazione, a prescindere dalla sfera di competenza specifica del ricorrente all’interno della Polizia di Stato, ha reso l’atto intimidatorio credibil perché egli si è presentato – ed è stato percepito- come poliziotto che si stava occupando delle indagini in corso nei confronti della persona offesa.
Quanto alla costrizione, va rilevato essa richiede modalità o forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa illecita, che, di conseguenza, si determina alla dazione o alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciato, senza alcun vantaggio indebito per sé (Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, Rv. 286376).
Nel caso di specie, con motivazione logica e immune da vizi, la Corte ha ritenuto che vi sia stata costrizione in relazione alla gravità del male minacciato (custodia in carcere) da un ufficiale di polizia giudiziaria, presentatosi a casa della persona offesa con un’altra persona, munita di pistola.
Il quinto motivo di ricorso, con cui si rileva che la riserva mentale della persona offesa esclude l’elemento della costrizione o, al più, lascia residuare un tentativo di concussione, è infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente rilevato che la presunta riserva mentale della vittima è irrilevante in quanto, pur avendo sospetti sulla prospettazione dell’imputato, si è affrettata a promettere di pagare, trovandosi in presenza di due poliziotti armati e percependo un serio pericolo per l’incolumità propria e dei propri familiari.
Va esclusa anche la riconducibilità della fattispecie concreta al tentativo di concussione, in quanto, come rilevato dalla sentenza impugnata, il delitto di concussione rappresenta una fattispecie a duplice schema, che si perfeziona alternativamente con la promessa o con la dazione indebita per effetto dell’attività di costrizione.
È stato, altresì, precisato che deve qualificarsi come consumata la fattispecie nella quale il soggetto passivo abbia sollecitato l’intervento della polizia giudiziaria
dopo aver già promesso l’indebita prestazione al pubblico ufficiale, essendo, a tal fine, irrilevante l’eventuale riserva mentale di non adempiere; ricorre, invece, l’ipotesi tentata qualora la promessa segua la predisposizione, d’accordo con la polizia giudiziaria, di un piano diretto a individuare il funzionario infedele e risul preordinata a tale scopo (Sez. 6, Sentenza n. 30994 del 05/04/2018, Rv. 273596 che, in motivazione, ha rilevato che poiché la fattispecie di cui all’art. 317 cod. pen. non contiene alcun riferimento all’intensità del “metus”, non è possibile considerare tale solo quello estremo in cui il soggetto passivo soccombe senza avere l’animo di chiedere aiuto agli organi dello Stato).
6. Il sesto motivo di ricorso, relativo alla quantificazione della pena, è infondato. Rileva il difensore che, pur avendo ridotto la pena base da anni nove ad anni sette e mesi sei di reclusione, la Corte di appello non ha specificato i criteri cui si attenuta nella sua quantificazione in misura superiore al minimo edittale.
Sul punto va rilevato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cu all’art. 133 cod. pen.
Nel caso di specie il giudice di secondo grado, richiamati espressamente i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ha ritenuto congrua una pena base molto inferiore a quella fissata dal giudice di primo grado, pari alla media edittale.
In conclusione il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/11/2024.