LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Concorso trasporto stupefacenti: la guida non basta

Una donna è stata condannata per complicità nel trasporto di droga avvenuto sulla sua auto, mentre era passeggera con il suo compagno. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, dichiarando il ricorso inammissibile. Per i giudici, il semplice fatto di fornire il veicolo e la propria presenza come persona “insospettabile” costituisce un contributo attivo al reato, integrando il concorso trasporto stupefacenti. La consapevolezza della donna è stata dedotta dal suo comportamento agitato e dalle sue dichiarazioni contraddittorie.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Trasporto Stupefacenti: quando il passeggero è complice?

L’analisi di una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della responsabilità penale per chi, pur non trasportando materialmente la droga, fornisce un aiuto consapevole al complice. Il caso in esame riguarda una donna condannata per concorso trasporto stupefacenti, trovandosi come passeggera sulla propria auto guidata dal convivente, il quale occultava la sostanza illecita. Vediamo come i giudici hanno valutato il suo ruolo e la sua consapevolezza.

I fatti di causa

Una donna veniva condannata in primo grado e in appello per concorso nel reato di detenzione e trasporto di cocaina. La sostanza era stata rinvenuta all’interno dell’autovettura di sua proprietà, sulla quale viaggiava come passeggera mentre il convivente era alla guida. La difesa della donna ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua fosse una mera presenza passiva e che non vi fossero prove di un suo contributo attivo all’attività illecita del partner. In particolare, la difesa contestava la configurabilità di un concorso omissivo, non avendo la donna alcuna posizione di garanzia che la obbligasse a impedire il reato.

La tesi difensiva sul concorso trasporto stupefacenti

La ricorrente, attraverso il suo legale, ha tentato di smontare l’accusa sostenendo che non emergesse dagli atti alcun elemento idoneo a dimostrare un suo apporto causale all’attività criminosa. La sua posizione, secondo la difesa, era quella di una semplice passeggera trasportata, inconsapevole della presenza della droga. Si è argomentato che non potesse esserle addebitata una responsabilità a titolo di concorso per omissione (ex art. 40 c.p.), poiché non ricopriva alcun ruolo che le imponesse un obbligo giuridico di vigilanza e intervento sul comportamento del convivente.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno smontato la linea difensiva, chiarendo un punto fondamentale: alla donna non era stato contestato un concorso omissivo, bensì un concorso attivo e consapevole nel reato, ai sensi dell’art. 110 del codice penale.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito fosse logica e giuridicamente corretta. La prova della consapevolezza e del contributo causale della donna è stata desunta da una serie di elementi indiziari, convergenti e coerenti.

Innanzitutto, il comportamento tenuto dalla donna al momento del controllo di polizia: una forte agitazione e un vistoso tremore alle mani, ritenuti incompatibili con la semplice paura di un controllo di routine per una persona incensurata e con patente valida. Tale reazione è stata interpretata come un chiaro segno della consapevolezza di stare commettendo un illecito.

In secondo luogo, le dichiarazioni contraddittorie rese dalla donna nel corso del procedimento, che hanno minato la sua credibilità.

Infine, e questo è l’aspetto centrale, il suo contributo causale non è stato passivo, ma attivo e determinante. Mettendo a disposizione la propria auto e la sua presenza come soggetto “pulito” e insospettabile, ha di fatto garantito al complice un trasporto più sicuro e con minori rischi di essere scoperto rispetto a un viaggio con mezzi diversi. Questo aiuto, secondo i giudici, è tutt’altro che trascurabile e costituisce un apporto concreto all’esecuzione del piano criminoso.

Le conclusioni

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il sindacato di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Se la motivazione della corte d’appello è logica, coerente e priva di vizi giuridici, non può essere messa in discussione. Il ricorso è stato quindi giudicato inammissibile perché mirava a una rivalutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità, e proponeva tesi giuridiche in contrasto con la contestazione di concorso attivo nel reato. La sentenza, quindi, conferma che per rispondere di concorso trasporto stupefacenti non è necessario avere materialmente con sé la droga, ma è sufficiente fornire un contributo consapevole e volontario che agevoli l’attività illecita del complice.

Essere proprietario e passeggero dell’auto usata per trasportare droga è sufficiente per essere condannati per concorso nel reato?
Sì, secondo la Corte può essere sufficiente se vi sono prove della consapevolezza. Fornire la propria auto e la propria presenza come persona “insospettabile” per garantire un trasporto più sicuro è stato considerato un contributo causale attivo e consapevole al reato, non una mera condotta passiva o omissiva.

In che modo i giudici hanno provato la consapevolezza della passeggera riguardo alla presenza della droga?
La consapevolezza è stata desunta da elementi indiziari, quali il comportamento della donna al momento del controllo (forte agitazione e tremore), le dichiarazioni contraddittorie rese durante il procedimento e la logica conclusione che la sua presenza “pulita” su un’auto di sua proprietà serviva a rendere il trasporto meno rischioso.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per tre ragioni principali: 1) era una semplice riproposizione di argomenti già respinti in appello; 2) chiedeva una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa alla Corte di Cassazione; 3) si basava su un’errata interpretazione giuridica, contestando un concorso omissivo mentre l’accusa era di concorso attivo (commissivo).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati