Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16395 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16395 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME
– Presidente
Sent. n. sez. 649/2025
NOME COGNOME
UP – 03/04/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 37774/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOMECOGNOME nato a Tortona il 16/08/1976
avverso la sentenza del 16/04/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’a nnullamento della sentenza impugnata, riportandosi ai motivi di ricorso; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso e alla memoria del 25/03/2025 già depositata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 19 ottobre 2020 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lamezia Terme, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. contestata al capo 4), riducendo conseguentemente la pena
inflitta a NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 81-110-629 (capo 3, in esso assorbito il capo 2) e 110-642 (capo 4) cod. pen. e confermando nel resto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori, formulando plurimi, articolati motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Erronea applicazione degli artt. 63, 197bis e 210 cod. proc. pen., con riferimento al capo 3, per quanto attiene alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME, in mancanza delle forme garantite, asseritamente doverose nei confronti di un soggetto già indagato per concorso nel medesimo reato (e non semplicemente in un procedimento connesso), seppure poi destinatario di un provvedimento di archiviazione.
2.2. Erronea applicazione degli artt. 610, 629 e 642 cod. pen. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento ai motivi di appello inerenti al concorso apparente di norme, in relazione all’assorbimento del reato di cui al capo 2 in quello di cui al capo 3.
La priorità temporale avrebbe imposto, viceversa, di considerare le successive condotte intimidatorie come riconducibili all’iniziale delitto di violenza privata, e di ritenere il successivo ottenimento della somma da parte della compagnia assicuratrice come un elemento circostanziale già considerato nella successiva imputazione ex art. 642 cod. pen. (e la somma, in quanto provento delle condotte truffaldine, non avrebbe potuto reputarsi parte del patrimonio della persona offesa). L’estorsione di cui al cap o 3 sarebbe, dunque, insussistente ovvero, comunque, assorbita dalla fattispecie di cui all’art. 610 cod. pen.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe incongruamente individuato l’ingiusto profitto e l’altrui danno nell’impedire la legittima pretesa risarcitoria per lesioni da parte di COGNOME, poi destinatario di un pagamento inferiore a quello effettivamente spettantegli, nonché nella mancata denuncia per la precedente aggressione. Una simile configurazione del fatto estorsivo oggetto di contestazione, affatto diverso da quello descritto nella rubrica imputativa, costituirebbe una violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.
2.3. Quanto al capo 4, si reiterano le censure discendenti dalla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni di COGNOME e si eccepisce la tardività della querela e l ‘intervenuta prescrizione, avuto riguardo all’esclusione dell’aggravante mafiosa.
2.4. Erronea applicazione dell’art. 416 -bis .1 cod. pen., in relazione alla ribadita sussistenza del metodo mafioso per gli altri capi, tenuto conto dell’esclusione di tale aggravante nel separato procedimento a carico del concorrente NOME COGNOME e dell’assenza, nel caso concreto, di minacce sia pure larvate o silenti.
2.5. Erronea applicazione dell’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen., in assenza di prova che la minaccia sia stata posta in essere da persona appartenente al sodalizio. Il ricorrente, invero, era stato a suo tempo condannato solo per concorso esterno ad associazione ‘ndranghetistica, ma non per una condotta di partecipazione.
2.6. Erronea applicazione dell’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen., in assenza di prova della fisica presenza di più persone nello stesso contesto temporale.
2.7. Risulta meramente indicata nell’intestazione del ricorso l’erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen., senza che la doglianza sia poi in effetti esplicitata nel corpo dell’atto.
In sede di discussione, nondimeno, è stato eccepita -premettendo che la questione non era stata posta con i motivi di impugnazione, ma avrebbe comunque dovuto reputarsi deducibile (poiché, seppure non trattandosi di pena illegale, non si sarebbe comunque formato un giudicato sul punto) -l’irritualità della forbice edittale più severa applicata dai giudici di merito rispetto a un fatto commesso sotto la legge precedente.
2.8. La difesa ha presentato memoria difensiva, in risposta alle conclusioni scritte anticipate dalla Procura Generale, puntualizzando, in tema di profili circostanziali, l’inapplicabilità delle aggravanti del fatto commesso da appartenente a consorteria mafiosa e da più persone riunite e ribadendo il conseguente non corretto computo della pena, anche per il riconoscimento dell’aggravante mafiosa ininfluente nella dosimetria di primo grado.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alle doglianze concernenti la qualificazione dei fatti contestati ai capi 2 e 3 ed è complessivamente infondato nel resto.
Le censure articolate nel primo e nel terzo motivo in merito alle dichiarazioni rese dalla persona offesa risultano infondate.
La Corte territoriale ha ben chiarito la posizione processuale di NOME COGNOME inizialmente indagato per la frode assicurativa che era stato costretto a commettere e poi correttamente ritenuto persona offesa, dopo l’emersione del pestaggio e delle intimidazioni ai suoi danni, richiamando la consolidata
giurisprudenza di legittimità secondo la quale, al contrario delle prospettazioni del ricorrente, non si può prescindere dall’intervenuta archiviazione della notizia di reato a suo carico (pp. 9-11).
Invero, non sussiste incompatibilità ad assumere l ‘ ufficio di testimone per la persona già indagata in un procedimento connesso (e tra i casi di connessione rientra anche, ex art. 12, lett. a) , cod. proc. pen., il reato commesso, in ipotesi, da più persone in concorso) o probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione. La disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. a) (relativa anche al coindagato nel medesimo reato, esattamente come nel caso di COGNOME) e b) , 197bis e 210 cod. proc. pen. si applica solo all ‘ imputato, al quale è equiparata la persona ancora indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto (Sez. U, n. 12067 del 17/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246376-01; Sez. 6, n. 34562 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281982-01; Sez. 2, n. 4123 del 09/01/2015, Sconso, Rv. 262367-01).
La narrazione di NOME e NOME, all’esito del doveroso e non superficiale scrutinio dei giudici di merito, non necessitava, dunque, di ulteriori riscontri (nondimeno, individuati nelle lesioni certificate e nelle convergenti propalazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Le stringatissime eccezioni di improcedibilità e di prescrizione del delitto di frode assicurativa, pur articolate nell’atto di appello, non sono state registrate dai giudici catanzaresi.
3.1. D’altronde, tali profili di gravame appaiono sollevati in maniera oltremodo generico, tenuto conto che entrambi avrebbero dovuto essere adeguatamente precisati quanto, da un lato, alla data di effettiva compiuta conoscenza della inesistenza del sinistro in capo alla società e, dall’altro, alla compiuta rappresentazione dell ‘inter a sequela procedimentale ( viceversa, l’appellante, p. 10, si era limitato ad affermare: «In qualunque caso, la querela è tardiva ed il fatto, epurato dall’art. 7 L. 203/1991, s arebbe prescritto»; sulla aspecificità dell’eccezione di prescrizione, il cui accertamento non è frutto del mero computo aritmetico sul calendario, cfr. Sez. 2, n. 35791 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 277495-01; sugli oneri di allegazione in ordine al computo del decorso del termine, cfr. Sez. 3, n. 4422 del 18/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287428-01; Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014, COGNOME, Rv. 259181-01).
Il difetto di motivazione in parte qua della sentenza impugnata non può, dunque, formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand ‘ anche il giudice dell ‘ impugnazione non
abbia pronunciato in concreto su tali punti (cfr., Sez. 3, n. 9806 del 18/02/2025, COGNOME non mass.; Sez. 2, n. 9630 del 07/01/2025, COGNOME non mass.; Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808-01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700-01).
3.2. In ogni caso, fermo restando quanto meglio specificato infra sub 5.2, può sin d’ora osservarsi, come, neppure a tutt’ oggi, il delitto di cui al capo 4 risulti estinto per prescrizione.
Il fatto -a mente della rubrica imputativa, non oggetto di contestazioni difensive -risulta commesso «in data successiva e prossima al 22 maggio 2011» e da tale data deve prendere le mosse il relativo computo.
Il tempo necessario a prescrivere, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen. e tenuto conto della recidiva ex art. 99, commi 4-5, cod. pen., contestata, ritenuta e non ricompresa nella catena devolutiva, è di tredici anni, dieci mesi e venti giorni.
Alla data, così ottenuta, dell’11 aprile 2025, occorre aggiungere ulteriori complessivi 307 giorni di sospensione dei termini (come indicati nel dettaglio a p. 7 della sentenza impugnata, senza contestazioni di sorta: «64 giorni per l’emergenza epidemiologica, 120 giorni dovuti a rinvii per impedimento, 87 e 36 giorni per i rinvii su richiesta del 18.6.2019 e dell’11.9.2020») .
Il termine prescrizionale verrebbe così a maturazione solo in data 12 febbraio 2026.
Il quarto motivo , relativo alla asserita insussistenza dell’aggravante mafiosa per quel che attiene ai fatti di cui ai capi 2 e 3 (anche complessivamente considerati), non è consentito, in quanto meramente confutativo rispetto a una congrua motivazione della Corte calabrese, priva di vizi logico-giuridici e coerente con il compendio istruttorio (cfr. pp. 11-12, dove si afferma che il metodo mafioso risulta integrato dal consapevole sfruttamento della conclamata vicinanza del ricorrente al clan COGNOME, ben nota alla vittima, per coartarne la volontà: l’evocazione della contiguità al sodalizio dominante nel lametino impone di ritenere penalmente rilevante anche l’intimidaz ione sottintesa e non formalmente esplicitata; la circostanza -precisa ancora la sentenza impugnata -era stata esclusa nei confronti di NOME COGNOME in relazione al diverso delitto di lesioni, mero antecedente storico della vicenda per cui qui si procede).
Queste considerazioni sono conformi ai principi di diritto espressi costantemente da questa Corte regolatrice, secondo cui anche una richiesta estorsiva pur formalmente priva di contenuto minatorio ben può manifestare in realtà un’energica carica intimidatoria, chiaramente percepita come tale dalla vittima stessa, alla luce della sottoposizione del territorio in cui tale richiesta è formulata all ‘ influsso di notorie consorterie mafiose (cfr., Sez. 2, n. 51324 del
18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669-01; Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182-01; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884-01).
Sono, viceversa, fondate, nei limiti di seguito illustrati, le doglianze in tema di qualificazione delle condotte oggetto di contestazione.
5.1. In estrema sintesi, la contestazione originaria, espressa in una particolarmente dettagliata rubrica imputativa, concerneva una violenza privata (l’avere costretto COGNOME a non denunciare l’aggressione ai suoi danni e a dichiarare falsamente all’auto rità sanitaria di essere stato vittima di un incidente stradale), un’estorsione aggravata (l’avere costretto COGNOME, con minacce implicite ed esplicite, a partecipare alla frode assicurativa, a recedere dalla successiva intenzione di interrompere la pratica di risarcimento, a tollerare che NOME COGNOME e gli altri concorrenti si appropriassero di una parte consistente dell’indennizzo poi versato dall’assicurazione, ciò che integrava gli elementi dell’ingiusto profitto e del danno) e una frode assicurativa (l’avere denunciato un inesistente sinistro stradale, ottenendo un risarcimento indebito per le lesioni riportare da NOME COGNOME, in realtà conseguenza delle botte ricevute da NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Il giudice lametino aveva ritenuto il delitto ex art. 610 cod. pen. di cui al capo 2 assorbito in quello ex art. 629 cod. pen. di cui al capo 3, poiché «la violenza e minaccia posta in essere dagli imputati è stata diretta alla commissione del reato di estorsione, sostanziatasi detta ultima fattispecie nell’ingiusto profitto con altrui danno» (p. 15, ove si precisa, altresì, che «da un lato il danno del De Vito si è sostanziato nel non poter azionare la sua legittima pretesa risarcitoria per le lesioni subite nei confronti dei veri responsabili del fatto, sia nel ricevere, di certo, un risarcimento inferiore rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto se avesse denunciato la vera causa delle lesioni subite . Dall’altro, l’ingiusto profitto degli odierni imputati è stato doppio sostanziandosi sia nel ricevere il profitto di un reato (incassando l’assegno dell’assicurazione), sia nel non essere denunciati per i fatti di reato commessi»).
La Corte di merito ha, molto sinteticamente, condiviso queste conclusioni, escludendo vizi di sussunzione e immutazioni rilevanti ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen. (p. 11).
5.2. È, in primo luogo, pienamente configurabile il concorso tra il delitto di estorsione e quello di frode assicurativa (realizzato mediante denuncia di un sinistro non accaduto e aggravato dal conseguimento dell’intento), non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell’art. 15 cod. pen., dal momento che il delitto di cui all’art. 629 cod. pen., diversamente dal secondo, che postula il raggiro, richiede necessariamente
l’esercizio della violenza ; l’evento di danno, rilevante anche ai fini dell’integrazione dello specifico profilo circostanziale ex art. 642, secondo comma, ultimo periodo, cod. pen., porrebbe, al più, le due fattispecie astratte in un semplice rapporto di specialità reciproca.
Le condotte, peraltro, sono state poste in essere, con ogni evidenza, in danno di distinte persone offese (cfr., in merito, anche Sez. 2, n. 20988 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281289-01, secondo cui il reato di frode in assicurazione non ha natura plurioffensiva, in quanto è volto a tutelare esclusivamente il patrimonio delle imprese assicuratrici dai comportamenti contrari alla buona fede contrattuale, sicché può ritenersi persona offesa solo la compagnia che gestisce o liquida il sinistro e non anche la persona danneggiata dal reato, che potrà agire eventualmente per il risarcimento del danno subito).
5.3. A diverse conclusioni occorre pervenire per quel che attiene alla articolatissima sequela minatoria, che cumula le intimidazioni dirette prima all’occultamento della reale eziologia delle lesioni e poi all’accettazione della fraudolenta richiesta di risarcimento, con indebito trattenimento di una cospicua parte della somma effettivamente liquidata.
Seppure il rapporto tra le due fattispecie astratte di cui agli artt. 610 e 629 cod. pen. non può certamente essere risolto con la semplice logica dell’antecedente cronologico prospettata dalla difesa, la riconduzione ad unità operata dai giudici di merito, rispetto a fatti che si presentavano come particolarmente complessi sin dall’ipotesi accusatoria , oblitera alcuni principi di diritto costantemente affermati da questa Corte regolatrice.
5.3.1. Innanzitutto, il reato di violenza privata non può ritenersi aprioristicamente assorbito da quello di estorsione, qualora la minaccia proferita, sia pure contemporaneamente a quella estorsiva, tenda a costringere la parte lesa a non denunciare un torto patito e cioè a una ulteriore limitazione della sua libertà, tutelata appunto dal disposto dell ‘ art. 610 cod. pen. (Sez. 2, n. 53267 del 22/09/2017, Crocè, Rv. 271314-01).
Si configura, poi, il delitto di violenza privata e non quello di estorsione se la coartazione da parte dell’agente è diretta a procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, ma difetta il danno altrui (Sez. 2, n. 27556 del 17/05/2019, Amico, Rv. 276118-01; Sez. 6, n. 38661 del 28/09/2011, COGNOME, Rv. 251052-01; Sez. 2, n. 15716 del 07/04/2011, COGNOME, Rv. 249940-01. Giova ricordare come rientri, tuttavia, nella nozione di danno patrimoniale, rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione, anche la perdita di una seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile: cfr. Sez. U, n. 30016 del 28/03/2024, Annunziata, Rv. 286656-01; Sez. 2, n. 44230 del 13/11/2024, S., Rv. 287217-01).
Qualora, inoltre, le plurime minacce e violenze siano «finalizzate a realizzare una medesima pretesa estorsiva (magari rafforzandola in re ), con il correlativo danno per il patrimonio della medesima persona offesa, senza che siano rilevabili evidenti fratture crono-morfologiche tra le condotte (per effetto, ad esempio, di fattori che abbiano interrotto l ‘esecuzione del reato o di determinazioni dell’agente che abbia volontariamente desistito dall’azione), la realizzazione parziale dell ‘ illecito profitto, cui facciano seguito nuove intimidazioni rivolte a conseguire per intero la pretesa, rappresentano un ‘ unica azione delittuosa. La ricostruzione così operata trova significativo riscontro nell ‘ orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità che ravvisa un unico delitto di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, ‘allorché gli stessi siano sorretti da un’unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze ‘ (Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 258543-01; Sez. 2, n. 27314 del 05/06/2003, COGNOME, Rv. 225174-01; Sez. 6, n. 2070 del 10/11/1994, dep. 1995, Periodo, Rv. 200554-01); al contrario, ricorrono autonome ipotesi di reato, consumate o tentate, unificabili con il vincolo della continuazione, ‘quando le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto, singolarmente considerate, in relazione alle circostanze del caso concreto, alle modalità di realizzazione e all’elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità’ (Sez. 2, n. 37297 del 28/06/2019, Rv. 277513-01; Sez. 2, n. 53267, del 22/09/2017, Rv. 271314-01; Sez. 2, n. 41167 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 256729-01, relative a fattispecie in cui le diverse richieste avevano ad oggetto distinte pretese)» (Sez. 2, n. 3722 del 29/10/2021, dep. 2022, Arena, non mass.).
5.3.2. Nel caso in cui un reato autonomamente contestato sia erroneamente ritenuto assorbito in una circostanza aggravante di altro reato parimenti contestato, in difetto di impugnazione deve ritenersi formato il giudicato sulla non punibilità per il reato ritenuto assorbito, con la conseguenza che il proscioglimento dal reato complesso, impedisce la automatica sussistenza del reato assorbito, in applicazione del principio del divieto di reformatio in peius (Sez. 2, n. 23766 del 14/04/2021, COGNOME, Rv. 281624-01; in motivazione la Corte ha precisato che, diversamente, nell ‘ ipotesi di assorbimento conseguente ad una progressione criminosa, che presuppone comunque l ‘ accertamento del reato meno grave della “progressione criminosa”, anche in difetto di impugnazione non si verifica la formazione del giudicato sulla non punibilità del reato assorbito).
6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere in parte annullata con rinvio per nuovo giudizio, per la fondatezza del secondo motivo di ricorso.
Il Giudice del rinvio, che si individua in altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro, nel procedere a un nuovo esame del compendio istruttorio, anche alla luce dei principi e dei rilievi sopra indicati (e fermo restando il divieto di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.), dovrà scomporre la variegata vicenda storica oggetto di imputazione, distinguendo, sulla base dei diversi fatti tipici, i singoli segmenti di condotta e gli eventuali eventi dannosi eziologicamente ricollegabili, con conseguente sussunzione di ognuno di essi sotto la corretta figura di reato.
Restano assorbiti i motivi riferiti a profili circostanziali correlati a una corretta individuazione delle fattispecie incriminatrici e al trattamento sanzionatorio.
Gli ulteriori profili di censura, come detto, risultano, nel loro complesso, infondati, di modo che, per il resto, il ricorso deve essere rigettato.
Consegue, ai sensi dell ‘ art. 624 cod. proc. pen., la declaratoria di irrevocabilità dell ‘ affermazione della responsabilità per il delitto di frode assicurativa contestato sub 4.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi 2) e 3) con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro; rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità per il capo 4).
Così deciso il 3 aprile 2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME