Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17507 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17507 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1)
r
NOME COGNOME nato a COGNOME om issis
2 COGNOME
NOME COGNOME nata a
avverso la sentenza emessa il 18 aprile 2023 dalla Corte di appello di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
lette le richieste della parte civile che ha concluso per l’inammissibilità o per il rig dei ricorsi;
udito il difensore, AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE.
e in sostituzione dell’AVV_NOTAIO,
per
V. A.
che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. COGNOME V.A. COGNOME I e COGNOME A.V. RAGIONE_SOCIALE propongono separati ricorsi per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa all’esito di giudizio abbreviato condizionato dal Tribunale di Agrigento, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della A.V. per il reato di falso contestato al capo 5 dell’imputazione perché estinto per prescrizione e rideterminato la pena a questa inflitta per gli altri reati COGNOME in anni V.A. in anni cinque di La medesima sentenza ha, altresì, revocato la pena accessoria dell’interdizione legale e sostituito l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quell cinque, mesi tre e giorni dieci di reclusione e quella inflitta a reclusione. COGNOME temporanea di anni cinque, confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
I due ricorrenti sono stati condannati per i seguenti delitti:
maltrattamenti in danno del nipote NOME , affetto da insufficienza mentale medio-grave, di cui la A.V. era stata nominata amministratrice di sostegno;
sequestro di persona ai danni del medesimo nipote in quanto in più occasioni lo legavano con una catena di ferro alla ringhiera dell’abitazione o al letto;
peculato, in relazione all’impossessamento della somma complessiva di euro 49.113,66, così ridimensionata dalla Corte di appello, prelevata dal deposito di risparmio postale intestato a NOME. di cui la A.V. aveva la disponibilità in ragione dell’ufficio ricoperto;
circonvenzione di incapace in quanto, approfittando della condizione del COGNOME COGNOME.G. lo inducevano a stipulare un contratto di finanziamento per l’acquisto di una autovettura.
I due ricorrenti, pur proponendo separati ricorsi, deducono quattro identici motivi di ricorso che, pertanto, possono essere esposti congiuntamente. Si darà poi conto degli ulteriori autonomi motivo di ricorso proposti dalla sola A.V. in relazione al capo 4 dell’imputazione, alle ritenute aggravanti ed alla mancata esclusione della parte civile.
Di seguito le quattro questioni comuni ai due ricorsi.
2.1 Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui è stato escluso l’assorbimento del reato di sequestro di persona in quello di maltrattamenti. Nel richiamare gli orientamenti giurisprudenziali sul tema, i ricorrenti sottolineano che la Corte territoriale è incorsa in un errore di diritto laddove ha reputato la prima condotta criminosa quale “pratica aggiuntiva” di vessazione a danno della persona
offesa, trascurando che, come emerge dalla stessa ricostruzione degli elementi fattuali reputati idonei ad integrare il reato di maltrattamenti (percosse, costrizione ad urinare ad orario, ingiurie, episodi di incatenamento), le condotte di privazione della libertà costituivano una manifestazione della più ampia condotta vessatoria reputata idonea ad integrare il reato di cui all’art. 572 c.p.
2.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di peculato. Premesso che la Corte territoriale ha rivalutato la spesa mensile sostenuta per il mantenimento della persona offesa da 150 euro a 350 euro, deducono i ricorrenti che la sentenza impugnata ha omesso di argomentare in ordine alla successiva quantificazione – operata per differenza rispetto agli introiti conseguenti all’accredito della pensione di invalidità percepita dalla vittima – in merito ai criteri utilizzati per quantificare la somma oggetto d appropriazione atteso che l’amministratrice di sostegno doveva provvedere a tutte le spese, ordinarie e straordinarie, per la persona offesa.
2.3 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al capo della decisione con il quale è stata dichiarata l’inammissibilità per difetto di specificità del motivo d appello relativo al reato di maltrattamenti. Si insiste sulla specificità del motivo che, confrontandosi con la sentenza impugnata, chiedeva alla Corte territoriale di valutare le condotte contestate, in particolare la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato e della finalità perseguita dai ricorrenti, alla luce del comportamento tenuto dalla vittima – in tesi difensiva unico motore della condotta contestata in quanto volta a contenere l’ingestibilità della persona offesa – comportamento connotato da aggressività, anche verso il figlio dei ricorrenti, e da ingestibilità tanto che la A.V. ne aveva denunciato la scomparsa.
2.4 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche. Deducono, al riguardo, i ricorrenti che la Corte ha omesso di considerare il comportamento processuale, la piena confessione resa sia pure con una diversa valutazione della gravità ed intensità dei fatti, ed il manifestato ravvedimento, nonché la provata circostanza che NOME era stato “tolto dalla strada” e salvato dai ricorrenti molti anni prima di ottenere la pensione di invalidità.
Come anticipato, la sola COGNOME A.V. COGNOME ha dedotto i seguenti ulteriori tre
motivo di ricorso.
3.1 Violazione di legge e vizio di omessa motivazione sul requisito della induzione in errore relativo al reato di cui all’art. 643 cod. pen. Rileva la ricorrente che co
l’atto di appello aveva lamentato la mancanza di prova di una vera attività di pressione morale e di persuasione sulla persona offesa, unitamente all’abuso della sua condizione di vulnerabilità, e ciò soprattutto in considerazione del fatto che gli acquisti erano avvenuti a suo vantaggio esclusivo, quanto al telefono cellulare, o, comunque, anche per soddisfare le sue esigenze, oltre che quelle familiari, quanto all’autovettura. A fronte di tali argomentazioni, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che il motivo non si confrontava con le argomentazioni della sentenza di primo grado che, tuttavia, non contiene alcuna motivazione su tali elementi costitutivi del reato.
3.2 Violazione di legge e vizio di omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’abuso dei poteri inerenti l’amministrazione di sostegno, contestata in relazione ai reati di cui agli artt. 572 e 605 cod. pen., della quale con l’atto di impugnazione era stata chiesta l’esclusione in quanto le condotte contestate sono avvenute a prescindere da detto ruolo e in ragione dell’appartenenza della vittima al nucleo familiare dei due imputati, appartenenza emergente dal fatto che
[ NOME conviveva con questi ultimi ancor prima della nomina della zia quale amministratrice di sostegno.
3.3 Violazione di legge, avuto riguardo agli artt. 76 e 78 cod. proc. pen., e vizio di motivazione in relazione al punto della decisione con il quale è stata rigettata la richiesta di esclusione della parte civile, costituitasi irritualmente in sede di inciden probatorio, senza che a ciò sia seguita una nuova costituzione in udienza preliminare. Deduce la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha qualificato detto vizio dell’atto di costituzione quale nullità a regime intermedio ed ha ritenuto che detta nullità sia stata sanata per effetto della scelta del rito abbreviato. Si afferma, infatt che detto vizio, sanabile al momento dell’udienza preliminare o della richiesta del rito speciale, non riguarda un atto di indagine e non rientra tra gli atti in relazione ai qual la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto operare l’effetto sanante correlato alla richiesta del rito.
La parte civile ha depositato una memoria in cui, nel concludere per l’inammissibilità o per il rigetto dei ricorsi, ha, tra l’altro, argomentato in relazi alla legittimità della costituzione in sede di incidente probatorio, rilevando che, come si evince dall’impiego della locuzione “per l’udienza preliminare” contenuta all’art. 79 cod. proc. pen., il codice di rito non individua il momento inziale a partire dal quale il danneggiato dal reato può costituirsi parte civile, essendo necessaria la sola pendenza del procedimento. Ha, inoltre, insistito sulla legittimità della costituzione in
sede di incidente probatorio e ciò, in particolare, in ragione della sua funzione di consentire la formazione anticipata della prova da cui sarebbe irragionevole escludere il danneggiato dal reato. A conferma della legittimazione del danneggiato ad assumere la qualità di “parte” anche prima dell’udienza preliminare, ha, inoltre, richiamato: a) l’art. 404 cod. proc. pen. che, in deroga all’art. 652 cod. proc. pen., esclude l’efficacia della sentenza pronunciata sulla base di una prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato non sia stato in grado di partecipare, salvo che questi ne abbia fatto accettazione anche tacita; b) il principio affermato da Sez. 4, n. 4136 del 18/01/2011, Jaboli, Rv. 249418 secondo cui la persona offesa costituita parte civile ha diritto, in caso di sentenza di patteggiamento, alla condanna dell’imputato alla rifusione anche delle spese per l’attività svolta prima della costituzione, e quindi in fase procedimentale, e consistita nella partecipazione a incombenti di natura probatoria, in specie all’incidente probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito esposte.
L’esame dei motivi seguirà il medesimo ordine sopra esposto, procedendo, prima, all’esame delle quattro questioni comuni ai due ricorrenti, e, successivamente, all’esame dei tre motivi dedotti dalla sola A.V.
Il primo motivo comune, relativo al rapporto tra i reati di cui agli art. 572 e 605 cod. pen., è generico e meramente reiterativo della medesima questione già dedotta in appello ed esaminata dalla Corte territoriale con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici.
La sentenza impugnata ha, infatti, correttamente ravvisato il concorso tra i due reati in considerazione della differente oggettività giuridica e, soprattutto, dal carattere esorbitante ed ultroneo della limitazione della libertà di movimento della vittima, posta in essere dai ricorrenti (anche quando si trovavano in casa con il nipote) quando già le condotte vessatorie di altra natura (percosse, ingiurie, costrizione a urinare e defecare ad orario, privazione dell’alimentazione) erano idonee ad integrare il reato maltrattamenti.
Si tratta di un’argomentazione ineccepibile e pienamente coerente con la giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, che ravvisa il concorso tra i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona quando la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce nella abituale coercizione
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fisica e psicologica, ma ne costituisce un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un’arbitraria compressione, pur non assoluta, della libertà di movimento della persona offesa (Sez. 5, n. 34504 del 12/10/2020, Rv. 280122). In altre parole, dunque, il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 cod. pen. soltanto quando le condotte di arbitraria compressione della libertà di movimento della vittima non sono ulteriori ed autonome rispetto a quelle specificatamente maltrattanti (Sez. 5, n. 15299 del 19/12/2016, dep. 2017, Rv. 270395).
3. La seconda comune questione relativa al reato di peculato, è inammissibile in quanto generica, versata in fatto e aspecifica. Premesso che i ricorrenti non censurano nè il possesso del denaro da parte della amministratrice di sostegno nè gli avvenuti prelievi, limitandosi a denunciare la mancanza di criteri esplicativi della quantificazione della somma destinata al soddisfacimento di necessità diverse da quelle inerenti la cura e l’accudimento della persona offesa, rileva il Collegio che la sentenza impugnata, con argomentazione non manifestamente illogica nè contraddittoria, con la quale i ricorrenti omettono il dovuto confronto critico, ha ricostruito l’ammontare delle somme oggetto di appropriazione, ponendo l’accento, oltre che sulle dichiarazioni della persona offesa, sul contenuto della consulenza tecnica contabile e sulla falsità dei rendiconti presentati, condotta, quest’ultima, contestata al capo 5 e dichiarata prescritta.
Tale motivazione si salda logicamente con quella della sentenza di primo grado che ha, inoltre, valorizzato la circostanza, non oggetto di specifica contestazione, relativa al versamento di una parte del denaro sul conto dei ricorrenti, nonché le pessime condizioni in cui viveva la persona offesa (avuto riguardo alle limitazioni della libertà di movimento, alla sua condizione di impossidenza e di malnutrizione).
Quanto alla quantificazione delle somme oggetto di appropriazione, la sentenza impugnata ha, innanzitutto, considerato che i ricorrenti non hanno formulato alcuna contestazione in merito alla contestazione concernente la falsificazione dei rendiconti (dichiarata estinta per prescrizione); ha inoltre, considerato la valenza probatoria della consulenza tecnica contabile, che, sulla scorta dell’esame della documentazione bancaria e degli atti relativi all’amministrazione di sostegno, è pervenuta alla conclusione della assoluta inverosimiglianza dei rendiconti, evidenziando la carenza di pezze giustificative e soprattutto la tendenza della AVV_NOTAIO ad effettuare prelievi in
contanti, versandoli poi o su un conto cointestato con il V.A. o su altro cointestato con la persona offesa.
Da tale assoluta inadeguatezza giustificativa dei prelievi effettuati (a pagina 10 si sottolinea che il perito ha dato atto che dal 2012 al 2016 non vi è alcuna traccia o indicazione contabile di spese per farmaci o visite mediche), la Corte territoriale ha desunto il parziale indebito utilizzo del denaro prelevato, aumentando da 150 a 350 euro la cifra media mensile che, sulla scorta di una presunzione in bonam partem, ha ritenuto effettivamente sostenuta per il mantenimento della persona offesa. Tale importo complessivo è stato detratto da quello prelevato negli anni in contestazione dal conto ove veniva accreditata la pensione della persona offesa, con conseguente quantificazione della somma oggetto di appropriazione da parte dei ricorrenti in euro 49.113, 66.
Va, al riguardo, ribadito che integra il delitto di peculato la condotta dell’amministratore di sostegno che, essendo abilitato ad operare sul libretto di deposito postale intestato alla persona sottoposta ad amministrazione, si appropria delle somme di denaro giacenti sullo stesso (nella specie corrispondenti alla differenza contabile tra i prelievi e le spese documentate) per finalità non autorizzate e comunque estranee agli interessi dell’amministrato (cfr. Sez. 6, n. 10624 del 16/02/2022, Rv. 282944; Sez. 6, n. 29617 del 19/05/2016, Rv. 267795).
4. La terza comune questione relativa al capo della decisione in cui è stata ritenuta l’inammissibilità del motivo di appello relativo al reato di cui all’art. 572 cod pen. è inammissibile in quanto si limita ad esprimere una generica manifestazione di dissenso e a reiterare il motivo già dedotto che, peraltro, si risolve in una prospettazione di questioni di merito attinenti al movente perseguito dai ricorrenti, elemento, questo, che, di per sè, è privo di rilevanza ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del reato ascritto.
Rileva, inoltre, il Collegio che la sentenza ha motivato adeguatamente sulla inammissibilità del motivo, sottolineando che, a fronte della ricostruzione della sequenza di condotte vessatorie ascritte ai ricorrenti – connotate oltre che da ingiurie costanti, da percosse, dalla costrizione ad urinare in un contenitore di plastica posto sul letto o in prossimità di questo a causa della limitata estensione della catena – le censure formulate con il motivo di appello erano affette da estrema genericità, quanto alla sporadicità delle occasioni in cui la persona offesa era stata legata al letto, e da carenza di prova, quanto alle asserite condotte violente tenute dalla persona offesa.
In ogni caso, è stata correttamente valutata l’inconducenza delle doglianze ai fini della esclusione dell’elemento psicologico del reato di maltrattamenti per il quale la norma richiede il dolo generico, essendo a, tal fine irrilevante lo “scopo di maltrattare”, in tesi difensiva non perseguito dagli imputati. Va, infatti, al riguardo, ribadito che ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti è sufficiente dolo generico consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (Sez. 6, n. 15680 del 28/03/2012, Rv. 252586).
Il quarto comune motivo di ricorso, in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile perché generico, di carattere confutativo e versato in fatto.
Va, al riguardo, ribadito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale, senza incorrere in alcun vizio logico e con motivazione adeguata, con la quale i ricorrenti omettono di confrontarsi criticamente insistendo sulla rilevanza della confessione resa e sul successivo ravvedimento, ha escluso che detto pentimento, già valutato ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, possa giustificarne l’invocata prevalenza, in ragione della gravità, disumanità e protrazione nel tempo delle condotte nonché delle aggravanti in bilanciamento.
Venendo all’esame dei motivi dedotti dalla sola A.V. ritiene il Collegio che il motivo relativo alla configurabilità del reato di cui all’art. 643 cod. pen. è inammissibile perché generico e manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, reputando generiche le affermazioni dei ricorrenti, fondate sulla deduzione di una mancanza di prova dell’induzione e sull’asserita promiscuità dell’impiego del veicolo, ha sostanzialmente condiviso e fatto proprie le argomentazioni della sentenza di primo grado che, in termini non manifestamente illogici e, come si dirà, coerenti con la giurisprudenza di questa Corte, ha desunto il requisito della “induzione” dalla condizione di totale dipendenza della persona offesa dai propri zii,
dalla mancanza di qualsiasi autonoma gestione delle proprie risorse da parte del RAGIONE_SOCIALE.G. dal fatto che l’esigenza di accompagnare la persona offesa una volta al mese al centro di salute mentale o a fare una passeggiata nei fine settimana non poteva giustificare l’acquisto dell’auto.
Trattasi di argomentazione ineccepibile, dovendosi, al riguardo, ribadire che in tema di circonvenzione di persone incapaci, la prova della condotta induttiva può risultare anche da elementi indiziari e prove logiche come la natura dell’atto posto in essere e l’incontestabile pregiudizio da esso derivato, nonché dagli accadimenti più strettamente connessi al suo compimento (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, Rv. 278368; Sez. 2, n. 6078 del 09/01/2009, COGNOME, Rv. 243449).
Il motivo relativo alla sussistenza dell’aggravante dell’abuso dei poteri è inammissibile in quanto si risolve in una mera manifestazione di dissenso, peraltro versata in fatto, e non evidenzia alcun vizio di legittimità della decisione che, con motivazione sintetica, ma adeguata, sulla base della complessiva ricostruzione dei fatti, ha posto l’accento sul fatto che ogni decisione sullo stile di vita della person offesa era di pertinenza della A.V. quale amministratrice di sostegno.
Va, a tale riguardo, ribadito che è configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 9, cod. pen., se, come nel caso di specie, la commissione del fatto è stata anche soltanto agevolata dalle qualità soggettive dell’agente, non essendo necessaria l’esistenza di un nesso funzionale tra i poteri oggetto dell’abuso o i doveri violati ed il compimento del reato (Sez. 5, n. 9102 del 16/10/2019, dep. 2020, Davì, Rv. 278662; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, Rv. 273531).
Anche l’ultimo motivo dedotto dalla AV. è inammissibile COGNOME in quanto manifestamente infondato.
Rileva, infatti, il Collegio che l’art. 79 cod. proc. pen., nel disciplinare il term per la costituzione di parte civile, prevede che questa può avvenire «per l’udienza preliminare», prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; la norma prevede, inoltre, per il rito senza udienza preliminare, che tale costituzione può avvenire fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 o dall’art. 554-bis, comma 2, cod. proc. pen.
Secondo un precedente remoto l’espressione «la costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare» dettata dall’art. 79 cod. proc. pen. relativamente al termine di costituzione, non significa che il danneggiato debba necessariamente attendere l’udienza preliminare per effettuare la costituzione di parte civile. Essa
designa, invece, il termine finale entro il quale deve avvenire la costituzione di parte civile a pena di decadenza, mentre nessuna sanzione processuale è prevista per il mancato rispetto del termine iniziale. (Sez. 1, n. 1767 del 19/11/1992, Lai, Rv. 193516).
Va, tuttavia, considerato che, quanto a tale termine iniziale, la successiva giurisprudenza di questa Corte ha escluso la legittimità della costituzione di parte civile intervenuta nella fase delle indagini preliminari.
In particolare, Sez. U, n. 47803 del 27/11/2008, COGNOMEAvino, Rv. 241356 ha affermato che nell’udienza fissata a seguito della richiesta di applicazione della pena presentata nel corso delle indagini preliminari non è consentita la costituzione di parte civile ed è pertanto illegittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dal danneggiato dal reato la cui costituzione sia stata ammessa dal giudice nonostante tale divieto. La Corte ha, inoltre, aggiunto, che lo stesso principio deve ritenersi operante, data l’identità di “ratio”, anche in relazione alle udienze fissate per l’applicazione della pena richiesta con l’opposizione a decreto penale o a seguito di decreto di giudizio immediato (cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 3176 del 10/10/2019, dep. 2020, Rv. 278023).
Anche in dottrina si è condivisibilmente osservato, sempre in ordine al termine iniziale che questo presuppone l’esercizio dell’azione penale e, dunque, l’assunzione della qualità di imputato. Solo a partire da tale momento, infatti, è possibile individuare le “parti” del processo e, sulla base dell’imputazione formulata, la persona danneggiata dal reato potrà formalmente costituirsi formulando le richieste di restituzione o di risarcimento del danno.
La locuzione «per l’udienza preliminare» va, dunque, interpretata nel senso che il termine iniziale ai fini della costituzione di parte civile va individuato nella fissaz dell’udienza preliminare, consentendosi la costituzione prima dell’udienza ovvero al momento della sua celebrazione e fino a che non siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
Alla luce di tali considerazioni, può, dunque, ritenersi legittima la costituzione di parte civile in sede di incidente probatorio solo se questo sia stato disposto nel corso dell’udienza preliminare, dovendosi, invece, escludere che questa sia consentita nel caso in cui l’incidente probatorio sia stato disposto nella fase delle indagini preliminari.
A tale riguardo, non paiono condivisibili le argomentazioni formulate dalla parte civile. In particolare, rileva il Collegio che l’art. 404 cod. proc. pen. non va letto qua norma legittimante la costituzione di parte civile in sede di incidente probatorio,
quanto, piuttosto, quale disciplina strettamente conseguenziale alla eventuale violazione del diritto della persona offesa di partecipare all’incidente probatorio e di assistervi allorché si debba esaminare un testimone o altra persona (si vedano, al riguardo, gli artt. 398, comma 3, 401 cod. proc. pen.).
Ad ulteriore conferma della illegittimità della costituzione di parte civile in sede di incidente probatorio, ove, ovviamente, non disposto nel corso dell’udienza preliminare, va, inoltre, considerato che l’art. 401, comma 5, cod. proc. pen., riconosce espressamente al difensore della persona offesa la facoltà di chiedere al giudice di rivolgere domanda alle persone sottoposte ad esame. Proprio dalla disciplina dell’udienza può, dunque, evincersi che la legittimazione a parteciparvi è riconosciuta alla persona offesa ed è indipendente dalla successiva formalizzazione delle richieste restitutorie e risarcitorie che presuppongono la formulazione dell’imputazione e l’assunzione della qualità di imputato (cfr. art. 78, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.).
8.1 Esclusa, dunque, la legittimità della costituzione di parte civile avvenuta prima dell’udienza preliminare, ad avviso del Collegio, la Corte territoriale ha legittimamente ravvisato una nullità a regime intermedio, conseguente alla inosservanza di una disposizione concernente l’intervento delle parti private (cfr. in tal senso, Sez. 3, n. 3176 del 10/10/2019, dep. 2020, Rv. 278023), riconoscendone la sanatoria quale effetto della richiesta di giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 438 comma 6-bis, cod. proc. pen.
Ad avviso del Collegio, infatti, la lettura restrittiva proposta dalla ricorrente no trova alcun fondamento nella norma che contempla quali uniche eccezioni alla operatività della sanatoria in questione le nullità assolute e le inutilizzabili conseguenti a divieti probatori, cui, come già chiarito, non è in alcun modo riconducibile il vizio derivante dalla “precoce” costituzione della parte civile.
Va, peraltro, aggiunto, che anche a volersi prescindere dall’effetto sanante della richiesta di giudizio abbreviato, l’eccezione, dedotta esclusivamente con l’atto di appello, è, comunque, tardiva in quanto, avendovi assistito i difensori degli imputati, doveva essere dedotta nei termini di cui all’art. 182, e, anche a volerla qualificare come richiesta di esclusione della parte civile, andava formulata entro gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ai sensi dell’art. 80 cod. proc. pen.
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte cost. n. 186 del 2000). I ricorrenti vanno, inoltre, condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile nel presente grado di giudizio che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile G. G. che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 15 febbraio 2024
COGNOME
Il AVV_NOTAIO esteasore
Il Presidente