Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17002 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a Napoli il 02/02/2004
avverso l’ordinanza del 07/01/2025 del Tribunale del riesame di Napoli lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del difensore, ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli che, in funzione di Giudice del riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato il ricorso avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari con cui era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere in ordine alla contestata partecipazione all’associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis cod. pen.
Le indagini effettuate avrebbero portato i Giudici della cautela a ritenere sussistenti i gravi indizi in ordine all’esistenza ed operatività su parte del territorio di Napoli, zona di Scampia e centri vicini (Melito di Napoli), della articolazione camorristica appartenente al clan “COGNOME“.
Il Collegio della cautela, condividendo il contenuto dell’ordinanza genetica, ha richiamato le sentenze passate in giudicato e le dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia che complessivamente deponevano per l’operatività del sodalizio a sua volta originato dalla scissione del clan COGNOME, ha poi passato in rassegna le plurime risultanze probatorie che davano conto della perdurante presenza nel periodo oggetto di contestazione (2021 – 2024) del sodalizio, evidenziando il ruolo apicale già ricoperto da NOME NOME e NOME COGNOME; in seguito all’arresto di costoro erano succeduti consorti e parenti sino alla “reggenza” di NOME COGNOME, nipote acquisito di NOME COGNOME, durata sino all’arresto avvenuto in data 8 giugno 2021″; faceva seguito quella di NOME COGNOME (figlia di NOME COGNOME e NOME COGNOME), d r iemarito di costei, NOME COGNOME, e da. NOME COGNOME (marito della nipote di NOME COGNOME).
Secondo l’accusa NOME COGNOME figlio di NOME COGNOME elemento di spicco del citato sodalizio camorristico, sarebbe stato operativo nel controllo del territorio e delle attività di spaccio nella zona di Scampia, dal giugno del 2021 al 13 settembre 2023.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame il ricorrente formula due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce carenza di motivazione in ordine alla dedotta ipotesi del “ne bis in idem”, tenuto conto che sia nel presente procedimento che in quello in ordine al quale era stato destinatario di altra ordinanza cautelare gli veniva contestata la medesima condotta afferente alla partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico, aggravata ex art. 416-bis cod. pen.
In entrambe le misure, infatti, veniva contestata al ricorrente l’attività di spacciatore nelle zone di Scampia sotto le direttive del padre, evenienza dedotta in sede di riesame e non confutata dal Tribunale, che avrebbe dovuto invece differenziare le condotte oggetto di contestazione ex artt. 416-bis cod. pen. e 74, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale nega siano state dedotte censure in ordine alla partecipazione all’associazione mafiosa a fronte della formulazione di specifiche questioni tese ad evidenziare come, in disparte la partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico a cui faceva riferimento il collaboratore di giustizia NOME COGNOME, fossero insussistenti elementi idonei a dimostrare un coinvolgimento di NOME COGNOME nei settori in cui operava il clan “NOME COGNOME“.
Analoghe critiche erano state poste in sede di discussione, ambito in cui era stata dedotta la carenza dell’elemento soggettivo in merito alla consapevolezza di partecipare ad una compagine camorristica, cui seguiva – a confutazione – la non conforme risposta secondo cui NOME COGNOME in quanto figlio di uno dei
responsabili del clan per lo spaccio a Scampia, “non poteva non sapere di operare per una associazione camorristica”.
Erroneo è, altresì, il riferimento alle conversazioni captate, visto che le stesse riguardavano solo l’organizzazione dei turni da effettuarsi nell’attività di spaccio di stupefacenti, senza che si potessero cogliere riferimenti a contatti con persone che, secondo la provvisoria contestazione, sarebbero state a capo del sodalizio di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
I due profili oggetto di censura possono essere unitariamente trattati, coinvolgendo, in definitiva, la sussistenza della gravità indiziaria che si ritiene sussistente in ragione della coincidenza tra i fatti di cui all’ordinanza impugnata e quelli ricompresi in altra misura cautelare disposta ex art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, che vedrebbero il ricorrente partecipe di una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti.
3. La questione con cui si deduce il “ne bis in idem” è infondata.
Ed infatti, è improprio in tali ipotesi fare riferimento all’istituto del “ne bis in idem”, che opera anche in tema di misure cautelari, ma che si realizza allorché, in ordine agli stessi fatti, viene ad esaurirsi il potere del pubblico ministero di richiedere l’applicazione di una misura, essendogli preclusa la formulazione di una nuova se non in presenza di elementi nuovi, riguardanti i gravi indizi di colpevolezza o le esigenze cautelari (sul punto, cfr. Sez. U, n. 11 del 1/7/1992, Rv. 191183-01 anche richiamata da Sez. 6, n. 6555 del 18/01/2023, Di, Rv. 284267 – 01).
Ovvio, pertanto, che la censura attiene, più correttamente, al profilo della sussistenza della gravità indiziaria, in quanto strettamente connesso alla valutazione dei dati processuali da cui desumere che il ricorrente, oltre ad essere partecipe dell’associazione dedita al narcotraffico (oggetto di pregressa contestazione provvisoria), sia anche intraneo alla compagine mafiosa del clan “COGNOME–COGNOME“.
Questa Corte, attraverso il suo più prestigioso consesso, ha ormai da tempo affermato che i reati di associazione per delinquere, generica o di stam mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traff di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzat alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di
diversi (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883-01; in tal senso, altresì, Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, COGNOME, Rv. 278583-01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258163-01; Sez. 2, n. 36692 22/05/2012, Abbrescia, Rv. 253892-01), essendo diversi i beni giuridici tutelati dai due reati, rispettivamente, l’ordine pubblico messo in pericolo dalle situazioni di assoggettamento e di omertà per quello previsto dall’art. 416-bis cod. pen. e la salute individuale e collettiva, minacciata dalla diffusione dello spaccio di sostanze stupefacenti, per quello previsto dall’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 1, n. 17702 del 21/01/2010, COGNOME, Rv. 247059-01; Sez. 2, n. 21956 del 16/03/2005, COGNOME, Rv. 231972-01).
Ciò posto in ordine all’astratta possibilità che la medesima condotta integri più fattispecie di reato associativo (416-bis cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990), le censure complessivamente poste attraverso il ricorso si rivelano infondate in quanto poggiano su una lettura parcellizzata della condotta di partecipazione alla compagine mafiosa, quasi che la stessa, al contrario di quanto invece si rende necessario, vada apprezzata astraendo dalla tipologia di compagine cui accede la condotta di partecipazione.
Proprio nell’analizzare il profilo afferente al contributo del singolo partecipe, la giurisprudenza di legittimità si è da tempo attestata nel ritenere che si risponda del reato di associazione di tipo mafioso e di quello di associazione dedita al narcotraffico qualora il traffico di stupefacenti sia oggetto di una delle attività di un’associazione di tipo mafioso, gestito attraverso un’associazione finalizzata e appositamente costituita e diretta dai componenti di quella mafiosa, a condizione che coloro che abbiano operato esclusivamente nell’ambito del traffico di stupefacenti lo facciano nella consapevolezza che lo stesso è gestito dal sodalizio mafioso (Sez. 6, n. 4651 del 23/10/2009, dep. 2010, Bassano, Rv. 245875 – 01).
Nel caso sottoposto a scrutinio, infatti, l’ordinanza dà conto della sussistenza della gravità indiziaria in odine all’operatività della compagine camorristica ex art. 416-bis cod. pen., senza che il ricorrente abbia mosso, al riguardo, alcuna censura.
Pretendere, pertanto, che la valutazione della condotta di partecipazione all’associazione mafiosa venga effettuata senza tenere conto del contesto associativo in cui la stessa si inserisce, risulta operazione giuridicamente errata, non idonea a smentire la sussistenza della gravità indiziaria in ordine al concreto ruolo attribuito al ricorrente all’interno dell’associazione mafiosa.
Non illogica, pertanto, risulta la motivazione dell’ordinanza in ordine alla esistenza della gravità indiziaria.
La decisione richiama le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME in ordine alla sussistenza dell’associazione camorristica, ripercorre le fasi precedenti alla sua origine, colloca il ricorrente all’interno del dan “Amato COGNOME” e, segnatamente, nell’ambito dello “spaccio di droga” realizzato presso alcune “piazze” capeggiate dal padre NOME COGNOME, noto affiliato del gruppo attinto dalla medesima ‘misura cautelare e già condannato per Partecipazione ad associazione mafiosa. Il collaboratore di giustizia fa riferimento al subentro in tali “piazze” di NOME COGNOME, del figlio NOME COGNOME e di altri soggetti, in sostituzione del “gruppo RAGIONE_SOCIALE“, a cui non intendevano più corrispondere lo “stipendio”.
NOME COGNOME riferisce, inoltre, della partecipazione del ricorrente alla gestione delle “piazze di spaccio” e dell’impossessamento di altra “piazza”, quella di Scampia, da parte del padre per conto del clan camorristico degli “COGNOME“.
L’ordinanza evidenzia, inoltre, il contenuto di alcune captazioni da cui emergono l’attività di NOME COGNOME legata allo spaccio in contatto con altri componenti del gruppo e la conoscenza dei problemi che attraversava il padre nell’ambito della compagine camorristica, allorché il gruppo criminale richiedeva la restituzione di rilevanti somme di denaro.
Tutte le conversazioni captate, analiticamente prese in esame dal Tribunale, sono state individuate a riscontro delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e, pur riguardando l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, danno, al contempo, conto di come NOME COGNOME sia pienamente a conoscenza del contesto criminale in cui opera, comune a quello del padre, NOME COGNOME, condannato per associazione ex art. 416-bis cod. pen. e storico appartenente al clan “COGNOME“, che lo rendeva partecipe di rilevanti questioni attinenti alla vita del gruppo criminale.
In tal senso deve essere intesa l’espressione (invero non pertinente, ma neppure determinante) utilizzata dal Tribunale allorché afferma che il ricorrente “non poteva non sapere di operare in una associazione camorristica”, in quanto figlio di uno dei responsabili del clan per lo spaccio a Scampia, frase che non è ex se idonea ad incidere negativamente sulla logicità della motivazione resa in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria a carico di NOME COGNOME, spiegata sulla base dei reiterati richiami agli elementi indiziari che deponevano per una consapevole adesione al sodalizio di matrice camorristica per conto della quale veniva esercitato, in alcune “piazze di spaccio”, il traffico di sostanze stupefacenti, attività rientrante tra quelle di competenza della specifica associazione denominata clan “COGNOME” (pag. 25 dell’ordinanza).
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod.
proc. pen.
7. L’attuale stato cautelare cui è sottoposto il ricorrente impone, ai sensi dell’art. 94, comma
1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., la trasmissione del presente
provvedimento a cura della Cancelleria al direttore dell’Istituto penitenziario per gli adempimenti di cui al comma
1 -bis dell’art. cit.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20/03/2025.