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Concorso tra reati associativi: la decisione della Corte

Un soggetto ricorre in Cassazione contro un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa, sostenendo che i fatti fossero già coperti da un’accusa per associazione finalizzata al narcotraffico. La Corte rigetta il ricorso, affermando la piena compatibilità e il possibile concorso tra reati associativi di stampo mafioso e quelli legati al traffico di stupefacenti, qualora il partecipe sia consapevole che l’attività di spaccio è gestita e funzionale al sodalizio mafioso.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso tra Reati Associativi: Mafia e Narcotraffico Possono Coesistere?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la possibilità di un concorso tra reati associativi, specificamente tra l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90). La decisione chiarisce quando una stessa condotta, inserita in un contesto di criminalità organizzata, possa integrare entrambe le fattispecie di reato, respingendo l’eccezione basata sul principio del ne bis in idem in fase cautelare.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato avverso un’ordinanza del Tribunale del riesame, che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere per un soggetto indagato per partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso. Secondo l’accusa, l’indagato era operativo nel controllo del territorio e nelle attività di spaccio di droga per conto di un noto clan camorristico, operante in diverse aree della periferia napoletana. L’attività criminale si sarebbe svolta sotto la direzione del padre, figura di spicco dello stesso clan.

La Difesa e il Principio del “Ne Bis in Idem”

La difesa del ricorrente ha sollevato due principali motivi di doglianza. In primo luogo, ha invocato una violazione del principio del ne bis in idem, sostenendo che all’indagato veniva contestata la medesima condotta (partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico) già oggetto di un’altra ordinanza cautelare. A suo avviso, il Tribunale avrebbe dovuto distinguere nettamente le condotte relative al reato di associazione mafiosa da quelle pertinenti all’associazione per lo spaccio.

In secondo luogo, la difesa ha lamentato l’illogicità della motivazione, asserendo che non vi fossero elementi sufficienti a dimostrare un coinvolgimento dell’indagato in settori operativi del clan diversi dal narcotraffico. In particolare, si contestava la carenza dell’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza di agire per conto di una compagine camorristica.

L’Analisi della Cassazione sul Concorso tra Reati Associativi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate entrambe le censure. I giudici hanno chiarito che, in fase cautelare, è improprio fare riferimento all’istituto del ne bis in idem, il quale opera quando si è esaurito il potere del pubblico ministero di richiedere una misura per gli stessi fatti. La questione, più correttamente, attiene alla sussistenza della gravità indiziaria.

Il cuore della sentenza risiede nella riaffermazione di un principio consolidato: i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e quello di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti possono concorrere. Questo perché tutelano beni giuridici diversi: l’ordine pubblico, messo in pericolo dalle situazioni di assoggettamento e omertà tipiche della mafia, e la salute individuale e collettiva, minacciata dalla diffusione delle droghe. Pertanto, la medesima condotta può integrare entrambe le fattispecie di reato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che la decisione del Tribunale del riesame fosse logica e ben motivata. L’ordinanza impugnata non si limitava a considerare l’attività di spaccio, ma la inquadrava correttamente nel più ampio contesto operativo del clan. Le prove raccolte, tra cui le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e le intercettazioni, dimostravano che il ricorrente non era un semplice spacciatore.

Egli era pienamente consapevole di operare all’interno di una struttura criminale mafiosa, gestita dal padre. Le conversazioni captate rivelavano la sua conoscenza delle dinamiche interne al clan, inclusi problemi economici e questioni relative alla gestione del potere. Il suo contributo, pur manifestandosi nel settore del narcotraffico, era funzionale agli scopi e agli interessi dell’intera organizzazione camorristica. La Corte ha sottolineato che valutare la condotta di partecipazione a un’associazione mafiosa astraendola dal contesto associativo in cui si inserisce sarebbe un’operazione giuridicamente errata.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un punto fermo nella giurisprudenza sul concorso tra reati associativi. Non è sufficiente limitarsi all’analisi dell’attività materiale svolta dal singolo (in questo caso, lo spaccio), ma è necessario valutare l’elemento soggettivo: la consapevolezza che tale attività è una delle manifestazioni operative di un più vasto sodalizio mafioso e che viene svolta per conto e nell’interesse di quest’ultimo. La decisione conferma che chi opera nel narcotraffico con la piena cognizione di essere un ingranaggio di una macchina criminale mafiosa risponderà di entrambi i reati associativi, data la diversa natura dei beni giuridici offesi dalle due condotte.

È possibile essere accusati sia di associazione mafiosa che di associazione per il narcotraffico per la stessa condotta?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che i due reati possono concorrere. Essi tutelano beni giuridici diversi (l’ordine pubblico per il reato mafioso, la salute pubblica per il narcotraffico), quindi una stessa condotta può violare entrambe le norme.

Il principio del “ne bis in idem” impedisce l’applicazione di una nuova misura cautelare per fatti simili a quelli di un precedente provvedimento?
No, la Corte chiarisce che il principio del “ne bis in idem” è impropriamente invocato in tema di misure cautelari. Esso si applica per evitare un secondo giudizio dopo una sentenza definitiva, non per impedire l’applicazione di una misura cautelare basata su una diversa qualificazione giuridica dei fatti o su nuovi elementi.

Qual è l’elemento decisivo per contestare anche il reato di associazione mafiosa a chi si occupa solo di spaccio?
L’elemento decisivo è la “consapevolezza”. Non basta svolgere l’attività di spaccio; è necessario che la persona sia consapevole che il traffico di stupefacenti è gestito da un’associazione di tipo mafioso e che la sua attività contribuisce al rafforzamento e agli scopi di tale sodalizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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