Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 608 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 608 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro, con provvedimento del 6 giugno 2024, ha annullato l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 17 aprile nei confronti di NOME COGNOME relativamente alle condotte ai capi 418 e 419 della provvisoria incolpazione e ha confermato nel resto l’ordinanza genetica anche con riferimento all’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere.
NOME COGNOME sulla scorta delle risultanze costituite da numerose intercettazioni e delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia è stat ritenuto gravemente indiziato dei delitti di cui al capo 1 (art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309/1990) e capo 401 (art. 416-bis cod. pen. ), di numerosi reati in materia di stupefacenti (art. 73, d.P.R. 309 cit), che non sono oggetto di contestazione, nonché i reati di tentata estorsione aggravata, lesioni e porto d’arma, aggravanti anche dal metodo camorristico (capi 190, 191 e 192), reati commessi in danno di NOME COGNOME in conseguenza del mancato pagamento di droga ricevuta, reati, questi ultimi, oggetto dell’odierna impugnazione.
2.Con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrente chiede l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame e denuncia:
2.1.violazione di legge in relazione all’articolo 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen. e cumulativi vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata derivanti dal mancato accoglimento della eccepita nullità dell’ordinanza genetica per totale assenza dell’autonoma valutazione da parte del giudice per le indagini preliminari sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle esigenze cautelari, mutuati attraverso un’operazione di indebita trasposizione dalla richiesta di emissione di misura cautelare. Sostiene il ricorrente che l’ordinanza genetica costituiva il risultato di una mera operazione di copia- incolla della richiesta del pubblico ministero e, soprattutto, per quanto riguardava gli elementi relativi alla individualizzazione e al puntuale vaglio del giudicante in ordine alla specifica posizione del ricorrente risultava formata attraverso la incorporazione integrale della richiesta del pubblico ministero – alla quale faceva rinvio – con argomentazioni estremamente sintetiche, risoltesi in poche righe. Anche la trattazione delle esigenze cautelari, effettuata con riferimento alla posizione cumulativa dei vari indagati, trascurava l’esame della peculiarità della posizione del Bruno al quale erano ascritte condotte risalenti nel tempo e si risolveva in una motivazione stereotipata, frutto dell’apposizione di mere clausole di stile;
2.2.violazione di legge (art. 416-bis cod. pen., artt. 15, cod. pen. e 273, 649 cod. proc. pen.) e cumulativi vizi di motivazione nonché travisamento della prova, quanto alla sussistenza e configurabilità del reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. (sub capo 401). Osserva che dei numerosi collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni nel procedimento soltanto cinque si occupano della posizione dell’indagato e che nessuno di loro lo ha mai coinvolto nelle attività del clan ndranghetista del quale pure ciascuno dei dichiaranti ha pure diffusamente parlato. Rappresenta, in particolare, che tutti i dichiaranti che chiamano in causa
il Bruno lo riconducono al gruppo di COGNOME e lo pongono in relazione ai rapporti che aveva intessuto in materia di sostanze stupefacenti con l’Illuminato. La configurabilità, a suo carico, del reato associativo di cui all’articolo 416-bis cod. pen. è frutto della mera duplicazione, sotto tale imputazione, delle condotte di spaccio e comunque, costituisce il mero duplicato del reato associativo di cui all’articolo 74 d.P.R. n. 309 cit. , in violazione del principio di specialità di cui all’ 15 cod. pen., in violazione del divieto di bis in idem e in mancanza di elementi indiziari che valgano direttamente a coinvolgerlo nell’attività di tipo di tip ndranghetista e della consapevolezza e volontà di apportare un contributo rilevante alla commisisone di tale reato. Sostiene che la ricostruzione del Tribunale è vieppiù erronea perché i dichiaranti, nell’illustrare il cd. “sistema Cosenza”, hanno descritto un’attività riferibile al mero rifornimento di droga, piuttosto che all’attività di smercio in cui era impegnato il ricorrente; che non sono stati ritenuti acquisiti a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine agli unici reati-spia di quello ndranghetista (i capi 418 e 419), per i quali, invece, l’ordinanza impositiva è stata annullata per carenza dei gravi indizi, o di altri reati-spia (quelli di cui capi 197 e 198) che mai gli sono stati addebitati. Il Tribunale, infine, ha valorizzato a suo carico il contenuto di intercettazioni che, al più, denotano intenzioni o scuse accampate dall’indagato, affatto sintomatiche della sua condivisione del programma associativo ndranghetista, mai emersa nei sei mesi di intercettazioni ambientali;
2.3.erronea applicazione della legge penale (art. 74 d.P.R. 309/1990, anche nel ruolo di organizzatore) e cumulativi vizi di motivazione ai fini della ritenuta configurabilità del reato, frutto, anche in tal caso, del travisamento delle dichiarazioni dei collaboratori – valorizzando il divieto di acquisto sottobanco- e trascurando che le attività dell’indagato ne denotano il mero coinvolgimento in operazioni di acquisto dall’Illuminato e rivendita all’Esposito, senza alcuna ingerenza sia nelle operazioni a monte che di quelle a valle e del correlativo elemento psicologico. I collaboratori di giustizia lo chiamano in causa come pusher. L’ordinanza impugnata è inficiata da un gravissimo errore ricostruttivo nella parte in cui opera una trasposizione del “sistema” dell’acquisto descritto dai collaboratori – caratterizzato dal monopolio nella fornitura -, a quello dello smercio ed è inficiata da una grave carenza motivazionale in relazione all’affectio socieatis, sostanzialmente immotivata e frutto della generalizzazione delle condotte di cessione che non sono, per pacifica giurisprudenza, ex se idonee a comprovare la condotta di partecipazione all’associazione, vieppiù nel ruolo di organizzatore;
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenute sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di tentata estorsione, lesione e porto di armi (capi 180, 181 e 182), commessi il 22 novembr,
2021, in danno di NOME COGNOME. Il ragionamento del Tribunale è inficiato sia da un vizio processuale, in conseguenza della mancata acquisizione del video integrale in cui sarebbe riprodotta l’aggressione (la prima) di cui era stato vittima NOME COGNOME, mancata acquisizione che viola anche il diritto di difesa dell’indagato, che da vizi attinenti alla ricostruzione del fatto materiale ( pestaggio del COGNOME) e, soprattutto, è sfornita di prova la ricostruzione dell’antefatto (il mancato pagamento dei forniture di droga), che ne costituisce la causale. Il Tribunale ha conferito valenza indiziaria ai frames contenuti nell’informativa che, in mancanza dell’acquisizione del video integrale, non hanno consentito alla difesa di verificare la compatibilità, sul piano temporale, tra la prima parte dell’azione – immortalata dal sistema di videosorveglianza- e la seconda aggressione, avvenuta a distanza di pochi minuti – durante la quale il Le Piane era stato minacciato anche con l’uso di una pistola- riferita da un teste, che aveva chiamato la polizia, ma che non era stato in grado di riconoscere gli aggressori mai individuati dal Le Piane. Non vi è compatibilità, sui tempi, tra la prima aggressione e la seconda, ad opera degli stessi soggetti né è certo l’antefatto sia perché Le Piane non è indagato nel procedimento per i presunti acquisti di droga né questi sono provati essendo solo state ricostruite, attraverso le intercettazioni, delle visite del Le Piane a casa dell’Esposito ma non la loro causale e, perché, comunque, solo nella conversazione del 27 dicembre il ricorrente parla di un debito del Le Piane ma non ne indica la causale;
2.5. violazione di legge e carenza di motivazione sulla configurabilità e sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione al reato associativo di cui al capo 1, nonché ai capi 180, 182, 192, 193, 194, 195, 197, 198, non essendo indicati elementi idonei a comprovare la volontà agevolatrice del clan COGNOME, ricalcata sulla responsabilità del reato associativo di cui al capo 401 e in assenza di elementi significativi della finalità agevolatrice, che deve essere oggetto di autonoma ricostruzione e, comunque, non ravvisabile in forza del mero rapporto di fornitura di droga COGNOME/NOME;
2.6.violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari che non tengono in conto della esclusività del rapporto del ricorrente con il solo COGNOME, e non anche altri sodali; della risalenza nel tempo dei fatti collocabili, al più tardi, a giugno 2021; dell’assenza di element univocamente significativi di pericolosità riguardo al reato associativo di cui al capo 1 e della natura presunta di quelle connesse all’insussistente reato associativo di cui al capo 401; alla coeva detenzione, subita dal COGNOME, dal novembre 2020 al giugno 2021.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.11 primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
Va rilevato che in tema di motivazione dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare, ai fini del rispetto dell’obbligo di autonoma valutazione previsto dall’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., non assume rilevanza il difetto di originalità linguistica o espositiva del contenuto del provvedimento cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del pubblico ministero, difetto che non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza e che rileva soltanto come uno degli elementi da cui desumere l’insussistenza di un effettivo vaglio da parte del giudice. (Sez. 2, n. 43676 del 07/10/2021, COGNOME, Rv. 282506), vieppiù quando, come nel caso in esame, la pretesa mancanza di originalità espositiva, riguardi singole parti dell’ordinanza cautelare.
Il ricorrente, limitatosi a riportare tali passaggi, non si è in realtà confrontat con le argomentazioni svolte dal Tribunale del riesame che (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata) ha, invece, ampiamente dato conto dell’attività di “ricapitolazione” degli elementi emergenti dagli atti di indagine svolta dal giudice per le indagini preliminari operazione, questa che implica, di per sé, un vaglio critico e non solo grafico, nella selezione e rielaborazione del materiale indiziarlo tratto dalla richiesta cautelare e della completezza e correttezza delle valutazioni compiute dal giudice della cautela, ai fini dell’esame delle esigenze cautelari, che sono state ricostruite valorizzando la natura e tipologia dei reati associativi (pag. 4) nei quali anche il ricorrente era coinvolto per inferirne il giudizio di pericolosi sociale.
Si tratta, peraltro, di un’operazione di rielaborazione critica affatto inficiat dal rinvio, per relationem, alla richiesta cautelare, tecnica di redazione del provvedimento imposta dalla mole del materiale indiziario e dalla superfluità della sua riproposizione testuale essendo, viceversa molto più agevole, ai fini della sintesi poi compiuta dal giudice, tale tipologia di rinvio. Per costanze giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini del rispetto dell’obbligo di autono valutazione è sufficiente che dal contenuto complessivo del provvedimento emerga una conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, una rielaborazione critica o un vaglio degli elementi sottoposti all’esame giurisdizionale poiché la valutazione autonoma non implica la difforme valutazione del compendio indiziario e delle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 275339).
3.11 secondo e terzo motivo di ricorso, possono essere esaminati congiuntamente e sono inficiati dalla genericità, per aspecificità, delle pur ampie prospettazioni difensive.
L’ordinanza impugnata ha, infatti, descritto l’articolato sistema di organizzazione del traffico di droga venuto alla luce nella città di Cosenza, sistema che il ricorrente riduce ad un segmento – quello dell’imposizione nell’acquisto dello stupefacente – trascurando il complessivo contesto in cui la regola si colloca.
Rilevano (a pag. 5 dell’ordinanza impugnata) i giudici del riesame che il cd. sistema si fondava su una rigida spartizione dei territori e dei quartieri all’intern dei quali operavano i pusher; che ogni gruppo poteva approvvigionarsi da un canale di rifornimento anche in via autonoma essendo, però, tenuto a praticare il prezzo di acquisto agli altri gruppi che ne facessero richiesta; che i proventi dell’attività illecita confluivano in un’unica cassa comune, dalla quale ognuno traeva il suo sostentamento.
Premesso che, con riferimento al reato di cui all’articolo 416 bis cod. pen., le valutazioni in ordine all’esistenza della confederazione ndranghetista operante in Cosenza e nel suo territorio e alla esistenza di una consorteria COGNOME–COGNOME, che operava come perno del sistema stesso, sono già state riconosciute anche in altri procedimenti, rileva il Tribunale che i collaboratori di giustizia attraverso dichiarazioni convergenti e di assoluto rilievo, ne hanno descritto il funzionamento come incentrato sulla regolamentazione del traffico di sostanze stupefacenti, rimesso ai singoli gruppi accreditati e tendenzialmente corrispondenti alle rispettive articolazioni criminali ndranghetiste attive sul territorio di riferimento. Le attività criminose di commercio della droga venivano, in sostanza, svolte seguendo anche una rigida suddivisione dei territori e dei quartieri. L’elemento valorizzato per inferire la riconducibilità dei vari gruppi ad un unico e variegato contesto associativo è costituito proprio dalla spartizione a monte della distribuzione sulle piazze di spaccio delle diverse tipologie di sostanze stupefacenti: per lo spaccio di eroina deteneva il monopolio il gruppo dei “Banana” mentre gli altri gruppi si occupano dello smercio delle altre sostanze. La sinergia tra i vari gruppi emergeva anche dal dato che se un gruppo si fosse rifornito cla un proprio fornitore, nell’ottica di una collaborazione, doveva cedere agli altri gruppi, a loro richiesta, la sostanza stupefacente allo stesso pezzo a cui era stata acquistata. I proventi delle attività di spaccio confluivano, poi, nella bacinell comune per essere suddivisi tra i gruppi degli “italiani” e quello degli “zingari”.
Il ricorrente è stato individuato come facente parte del “gruppo degli italiani” e inserito nel gruppo facente capo al COGNOME attraverso NOME COGNOME e, successivamente, a partire dall’anno 2018, incrinatisi i rapporti con questi, -N, NOME COGNOME
Le conversazioni intercettate avallano tale ricostruzione attualizzando i rapporti del ricorrente con NOME COGNOME.
In particolare, dalle conversazioni intercettate, emerge la partecipazione dell’indagato ad un numero davvero elevato di reati-fine in materia di stupefacenti dalle fasi di approvvigionamento dei narcotici, alla distribuzione in favore dei pusher a livello intermedio, alla gestione complessiva delle attività illecite del clan, al recupero coattivo dei crediti e alla riscossione dei proventi della piazza di spaccio: elementi sulla scorta dei quali è certamente escluso che il ricorrente agisse in via autonoma quale fornitore all’ingrosso.
Nel dettaglio, anzitutto, emerge che NOME COGNOME era il soggetto autorizzato da NOME COGNOME a condurre le trattative illecite volte a dotare il gruppo dei narcotici necessari allo spaccio al dettaglio agendo in qualità di immediato sottoposto di quest’ultimo: a questo fine vengono richiamate le conversazioni poste a fondamento dei reati ascritti ai capi 133),134), 135), 184) e 186), non contestate dalla difesa.
Il rapporto di subordinazione del Bruno all’Illuminato e la sua ingerenza generalizzata nelle attività di narcotraffico e di spaccio, sono, altresì, desumibili dalle conversazioni nel corso delle quali l’Illuminato chiedeva al ricorrente Ma corresponsione dei proventi dello spaccio che il Bruno avrebbe dovuto riscuotere dagli spacciatori a lui sottoposti nonché dai dialoghi nei quali il Bruno partecipava all’Illuminato questioni idonee a incidere sulla ripartizione delle zone di competenza dei vari gruppi. A ciò si aggiunge il rapporto fiduciario che emerge pacificamente dal contenuto dei numerosi messaggi intercettati nei quali l’Illuminato delegava al ricorrente anche l’espletamento di ulteriori incombenze, quali la partecipazione ad incontri con i sodali per la risoluzione delle problematiche, riconoscendo al Bruno il diritto di interloquire per proprio conto (cfr. pag. 18 dell’ordinanza impugnata in cui viene evidenziato che il ricorrente era delegato a partecipare ad un incontro con il sodale NOME Lucanto per discutere un’azione intimidatoria ai danni dei fratelli COGNOME).
L’indagato è risultato, inoltre, referente di una piazza di spaccio avente quale base logistica il quartiere San Vito di Cosenza nel quale operava il suo principale pusher NOME COGNOME, a sua volta coadiuvato nelle attività di occultamento e custodia dei narcotici da una platea di soggetti inseriti nel suo nucleo familiare.
Quanto al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., il Tribunale (pagg. 27 e ss.) ha spiegato che il coinvolgimento dell’istante in uno dei principali settori nel settore del narcotraffico – uno dei settori operativi principali dell’associazione e il suo coinvolgimento in ulteriori settori illeciti di interesse per il sodalizio e la natura rapporti intrattenuti con i sodali e con il vertice del clan (NOME COGNOME), rendono a suo carico che sussistente altresì il reato di cui al capo 401.
Osserva il Tribunale che a carico del ricorrente rilevano i reati di furto ascrittigli ai capi 192,193, 194 e 195 che la difesa ha contestato limitatamente alla sussistenza della finalità agevolativa, essendone, invece, pacificamente accertata la materialità e la ascrivibilità anche all’odierno ricorrente e che il quadr desumibile dagli atti, sebbene attestante l’autonoma iniziativa degli indagati nell’organizzazione e attuazione dei furti, lascia desumere tanto la chiara destinazione dei proventi illeciti acquisiti dalla vendita dei beni asportati a sovvenzionamento del narcotraffico, controllato dalla confederazione mafiosa a monte, sia il diretto controllo esercitato dai vertici della consorteria anche su tale settore criminale nell’evidente finalità di monitorare le azioni predatorie programmate dai soli sodali verosimilmente a ciò autorizzati.
E’ accertata a carico del Bruno anche la partecipazione, per conto di COGNOME NOME, a riunioni operative volte a programmare atti intimidatori: emblematica la vicenda predatoria commessa ai danni di “RAGIONE_SOCIALE“, di cui ai capi 402 403, che non è ascritta all’odierno ricorrente e che si caratterizza per l’accertamento di una interlocuzione preliminare tra il Bruno, a ciò delegato, e gli emissari di NOME COGNOME sulla base di contatti diretti tra i mandanti, dal contenuto ambiguo, finalizzati a meglio definire i dettagli dell’attentato all’esercizio commerciale predetto.
Risulta accertato, altresì il coinvolgimento dell’indagato in ulteriori questioni di interesse associativo, quali, ad esempio, quelle relative alla controversia insorta tra NOME NOME, cognato di NOME COGNOME e alcuni esponenti del gruppo Rango.
Si tratta di attività e contatti che il Tribunale, senza cadere in valutazioni illogiche, ha messo in relazione ai rapporti che il ricorrente aveva intrattenuto anche con NOME COGNOME che, all’atto di consegnarsi spontaneamente alle forze dell’ordine per l’esecuzione di una misura a suo carico, gli aveva fatto pervenire un messaggio rendendolo partecipe della propria decisione di costituirsi e invitandolo a stare tranquillo in vista della sua liberazione con il giudizi d’appello.
In tale contesto correttamente il Tribunale ha iscritto la pretesa di NOME COGNOME di inserirsi, per ottenere il rispetto del riconoscimento criminale già ricevuto dal COGNOME, attraverso il ricorso ad azioni violente nei confronti dei competitor al fine di rendere percepibile la propria presenza territorio (in tal senso sono stati interpretati i messaggi e le intercettazioni descritte a pagina 30 dell’ordinanza), e, più in generale, sia la messa a disposizione dell’indagato verso il COGNOME che la richiesta, avanzatagli da NOME COGNOME di convocare tale “NOME“, e in relazione alla quale il ricorrente aveva ricevuto delega ad occuparsene
dall’Illuminato, manifestando anche l’iniziativa di “andarlo a sparare”, in linea con i codici di condotta mafiosa.
Anche la vicenda relativa al preteso credito vantato nei confronti di NOME COGNOME in relazione alla quale il ricorrente autorizzava il sodale NOME COGNOME a ricorrere ad un’azione ritorsiva eclatante tale da dimostrare la propria forza sul territorio, occupandosi di fornire egli stesso le dovute spiegazioni COGNOME sono state valorizzate come espressione della condotta partecipativa e diretta espressione dell’a ffectio societatis.
4.11 difensore del ricorrente, come anticipato, offre una lettura estremamente riduttiva e incompleta delle risultanze processuali al fine di contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia con riferimento al reato associativo in materia di stupefacenti che di quello ndrenghetista adducendo, altresì, che si è in presenza della mera duplicazione delle condotte illecite e che, per tale via si realizza sia la violazione del principio di specialità, di cui all’art. 15 cod. pen., c la violazione della regola del ne bis in idem (art. 649 cod. pen.).
Rileva il Collegio che il controverso rapporto tra le due fattispecie incriminatrici di cui all’art. 416-bis cod. pen. e 74 d.PR. n. 309/1990 non è nuovo nella giurisprudenza di legittimità ed è stato risolto, fin dalle più risalenti decisioni materia (Sez. 2, n. 9961 del 04/05/1995, COGNOME, Rv. 202811), nel senso che fra tali norme incriminatrici esiste un rapporto di specialità reciproca, che non consente l’applicazione del principio sancito dall’ art. 15 cod. pen., ma rende configurabile il concorso formale fra i due reati. In linea con tale inquadramento si è affermato che la disposizione di cui alli art. 74 d.P.R. n. 309/1990, non si pone in rapporto di specialità con l’art. 416-bis cod. pen. in quanto i due reati s distinguono nettamente, essendo caratterizzato il secondo dal metodo mafioso, assente nel primo, il quale contiene un elemento costituito dalla natura dei reatifine, specializzante solo rispetto al delitto di cui all’ art. 416 cod. pen. particolare, tra il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 390/1990 e il reato associativo cui all’art. 416-bis cod. pen. si registra la presenza di tratti fondamentali comuni, quali la stabilità del vincolo associativo, la struttura organizzativa l’indeterminatezza del programma criminoso, ma le due fattispecie differiscono, oltre che sotto il profilo formale, per la differente formulazione normativa, in relazione al bene giuridico protetto, alla ratio e alle finalità politico-criminali delle due norme.
Il rapporto tra i due reati associativi, qualificabile in termini di special reciproca, viene ricostruito nel senso che l’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 è speciale quanto alla tipologia delittuosa perseguita (traffico di stupefacenti, trattandosi di specialità per specificazione), ma aspecifico quanto al metodo di azione (assenza
del metodo mafioso), mentre l’art. 416-bis cod. pen. è speciale quanto al metodo mafioso (specialità per aggiunta), ed è aspecifico con riferimento ai reati perseguiti.
La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, stabilmente affermato il principio secondo cui i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258163; Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278583).
Nella fattispecie in esame, tuttavia, il tema è posto in termini puramente assertivi in presenza di più organizzazioni, quella dedita al traffico di droga e quella dedita ai reati diversi, che, anche se in rapporto organico tra loro, si occupavano di settori illeciti diversi, strutturando, in concreto, comparti di attività dediti commissione di reati in materia di stupefacenti e di reati diversi.
In tal caso, ad avviso della Corte, si è fuori dalle ipotesi che chiamano in causa il concorso apparente di norme quando, alla stregua dell’analisi del fatto concreto, è possibile individuare una pluralità di organismi associativi ricostruita non sulla base di meri indici normativi – e, quindi, sulla diversità del bene giuridico ovvero valorizzando il metodo mafioso di una struttura rispetto all’altra – ma verificando la identità soggettiva dei componenti delle due organizzazioni e l’autonomia decisoria, economico-finanziaria e delle dotazioni strumentali delle attività riconducibili al clan mafioso e a reati diversi, fra i quali il traffico degli stupeface
La effettiva distinguibilità delle organizzazioni, sulla base di tali elementi, stata affermata in decisioni di questa Corte nei casi in cui era stata accertata la costituzione, da parte di un’organizzazione criminosa già operante, al fine di estendere il proprio campo di influenza, di un gruppo criminale associato che agiva in un determinato territorio con autonomia decisionale ed operativa (Sez. 2, n. 478 del 04/05/1995, COGNOME, Rv. 202810), ovvero quando si sia in presenza, da una parte, di un organismo (quello di stampo mafioso) a carattere federalistico e verticistico, raggruppante l’intera massa degli associati, dall’altra di organismi che, operando nello specifico campo del traffico degli stupefacenti, fruiscano, pur sotto la sorveglianza e con il contributo logistico dell’organizzazione di stampo mafioso, di una certa libertà operativa e siano (eventualmente) differenziati soggettivamente dallo schema strutturale di detta ultima organizzazione (Sez. 1, n. 2620 del 24/04/1996, Marsano, Rv. 204902).
Nel caso in esame un indice significativo a tal riguardo è offerto dalla diversa (parziale) identità soggettiva dei correi che concorrono alle attività del clan
ndranghetista rispetto a quelli che compongono la struttura dedita allo spaccio, come plasticamente evidenziato dalla diversa componente soggettiva delle due strutture poiché non tutti gli imputati che rispondono delle attività di smercio della droga rispondono anche del reato di cui al capo 401; che rispondono del reato associativo sub capo 401 anche indagati che non si occupavano del traffico di droga. L’odierno ricorrente risulta, invece, attivo, secondo l’ampia disamina svolta al punto che precede, sia nel settore della droga sia nelle ulteriori attività illeci facenti capo al clan nadranghetista (quali la organizzazione di furti e la pianificazione di episodi ritorsivi).
Deve, pertanto, pervenirsi alla conclusione che, allo stato, in presenza di più organizzazioni e del descritto contributo dell’indagato all’una e all’altra, non si realizza alcuna violazione del divieto di bis in idem sostanziale, atteso che l’inserimento, in posizione qualificata, nella struttura preposta allo smercio della droga non è l’unico elemento valorizzato per inferirne anche la partecipazione al clan ndranghetista, partecipazione accertata sulla base del fattivo contributo dell’indagato anche a tale associazione, senza avvalersi di scorciatoie probatorie.
5.11 ricorrente ha contestato la sussistenza del ruolo di organizzatore che gli viene attribuito in relazione al reato di cui al capo 1, ma il motivo di ricorso manifestamente infondato alla stregua delle corrette valutazioni espresse dai giudici della cautela che, muovendo dal principio secondo cui il ruolo di organizzatore compete solo a chi sia posto a capo di un settore delle attività illecite del gruppo criminale con poteri decisionali e deliberativi anche non pienamente autonomi (Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017 , COGNOME, Rv. 271256), hanno valorizzato la posizione di gestore della piazza di spaccio svolta dal ricorrente che, in posizione di preminenza, organizzava il lavoro degli altri componenti del gruppo, sia in relazione ai rifornimenti di sostanza stupefacente sia all’attività di cessione, che dirigeva nel quartiere San Vito, orientando le attività e monitorando il rendimento del principale pusher, NOME COGNOME e quella della riscossione dei proventi e consegna all’Illuminato.
6.11 motivo di ricorso che contesta la gravità degli indizi in relazione ai reati ascritti ai capi 180, 181 e 182 è generico perché volto alla ricostruzione in fatto proponendo una lettura alternativa delle risultanze indiziarie che, con argomentazioni non illogiche, è stata svolta nell’ordinanza impugnata.
I giudici del riesame (pag. 23 dell’ordinanza impugnata) hanno ricostruito la sequenza – in immediata contestualità temporale- delle aggressioni subite da NOME COGNOME, la prima (ore 19:19:06), riprodotta nel filmato di una videocamera di sorveglianza, che aveva registrato la scena consentendo di
individuare, fra gli aggressori, anche il ricorrente e di ricostruire l’organizzazione del gruppetto che, dopo la fuga del Le Piane, immediatamente si era allontanato a bordo dell’auto dell’indagato (un’autovettura Audi Q3, di colore nero), dopo avere ricevuto da NOME COGNOME un oggetto racchiuso in una busta e compatibile, per forma, con una pistola; la seconda immediatamente denunciata (con una telefonata alla centrale di Polizia delle ore 19:25), dai passanti che assistevano al pestaggio del Le COGNOME. Uno dei passanti, a dispetto delle reticenti dichiarazioni della vittima, aveva descritto la presenza sul luogo di un’autovettura nera e precisato che uno degli aggressori era armato di pistola.
Si tratta di valutazioni fondate su solidi dati di fatto e affatto illogiche sia p la sequenza temporale che per la coeva presenza, sul luogo della seconda aggressione, dell’auto nera e della pistola, impugnata da uno degli aggressori.
Né rivela cadute logiche la ricostruzione della causale, ricondotta al mancato pagamento di un debito per l’acquisto di droga da parte del Le Piane, che in più occasioni era stato notato recarsi a casa di NOME COGNOME e che, in una conversazione successiva ai fatti, interpellato dal ricorrente, rispondeva negativamente sul pagamento da parte del Le Piane, destinatario delle minacce del ricorrente (“digli ha detto NOME non ti ci far vedere in casa.. appena lo vedo gli faccio ma/e”).
6.1. E’ manifestamente infondato anche il motivo con il quale il ricorrente denuncia l’asserita violazione del diritto di difesa non essendogli stato dato accesso alla visione del filmato che riproduce la nella sua interezza ed essendo fondata la prova solo sui frames riprodotti nella informativa di polizia giudiziaria.
Premesso che non consta che vi sia stata una diversa selezione, a cura del Pubblico Ministero, tra gli atti messi a disposizione del giudice per le indagine preliminari e di quelli poi inviati al Tribunale del riesame, diversità che neppure il ricorrente contesta, rileva il Collegio che neppure può ritenersi accertato che gli atti non trasmessi fossero inequivocabilmente a favore dell’indagato, posto che le stesse deduzioni difensive – sulla presunta incompatibilità dei tempi delle azioni aggressive – sono di natura puramente congetturale.
7.1 rilievi difensivi sono manifestamente infondati con riguardo alla corretta contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen. che, ritenuta sussistente in relazione ai reati in materia di stupefacenti sotto forma agevolativa, è declinata, con riferimento ai reati commessi in danno del Le Piane, anche sotto forma dell’avvalersi del metodo mafioso, correttamente ritenuta sussistente nell’ordinanza impugnata.
7.1.La giurisprudenza ha precisato che, ai fini della sua configurabilità, non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per
delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti, sicché, una volta accertato l’utilizzo del metodo mafioso, l’aggravante, avente natura oggettiva, si applica a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azioni di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi (ex multis, Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, COGNOME, Rv. 285018).
La ricostruzione dell’episodio di cui ai capi 180, 181 e 182, dimostra, secondo le ragionevoli conclusioni dell’ordinanza impugnata, per la inequivoca modalità esecutiva, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
La condotta estorsiva si è tradotta in una reiterazione di violenze e intimidazioni anche dopo la fuga del Le Piane cui ha fatto seguito l’inseguimento e la rinnovata minaccia, anche con un’arma, condotta che denota una pervicacia strumentale a porre la vittima in stato di assoluta soggezione.
7.2.Anche con riferimento all’aggravante della finalità agevolativa l’ordinanza impugnata, muovendo dal principio secondo cui tale aggravante ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere e si comunica al concorrente nel real:o che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U – n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734), ha ritenuto sussistente l’aggravante stessa tenuto conto della ratio dell’aggravante la cui finalità tipizzante è costituita dallo scopo di agevolare non il singolo esponente dell’associazione di tipo mafioso, bensì l’attività dell’associazione quale gruppo sopraindividuale, come si desume dal dato testuale della previsione legislativa (che fa espressamente riferimento a «delitti commessi al fine di agevolare le associazioni previste ».
Premesso che la finalità agevolatrice non deve necessariamente essere caratterizzata dalla esclusività potendo rappresentare uno scopo concorrente e, addirittura, secondario, rispetto ad altri perseguiti dall’agente, la partecipazione diretta del ricorrente all’associazione ndranghetista e i suoi rapporti con NOME COGNOME e con l’Illuminato sono stati correttamente valorizzati per inferirne la sussistenza della finalità agevolatrice.
8.L’ordinanza impugnata si sottrae a censure, risultando motivata in modo lineare e conforme ai principi affermati da questa Corte in tema di reati associativi, assistiti, specie per le mafie storiche, come quella in esame, dalla doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di idoneità esclusiva della
misura custodiale, non superata da elementi indicativi della recisione del vincolo associativo.
In particolare, il Tribunale ha desunto la sussistenza e persistenza del pericolo di reiterazione dal contesto criminale in cui si collocano le condotte, dalla gravità e dalle allarmanti modalità di commissione dei reati e dalle finalità perseguite, squisitamente ndranghetiste, nonché dal ruolo di rilievo svolto dal ricorrente e dal rapporto fiduciario affatto limitato all’COGNOME – e già questo per se rilevante atteso il ruolo di reggente del clan – oltre che con il COGNOME e dalla partecipazione a vicende rilevanti per affermare con violenza il potere del sodalizio e il controllo territoriale, a nulla rilevando la distanza temporale dell’intervento cautelare dai fatti, non trattandosi di distanza significativa e non emergendo alcun distacco dal contesto associativo.
L’intraneità, la radicata adesione alle logiche associative e la propensione alla violenza del ricorrente risultano dai colloqui intercettati sono dimostrativi del ricorso all’intimidazione delle vittime quale abituale linea di condotta per risolvere contrasti e imporre il rispetto delle regole dell’attività di spaccio oltre che funziona al rafforzamento anche dell’attività del clan: elementi questi, coerentemenl:e ritenuti espressivi di una risalente stabilità del contributo offerto all’operativ dell’associazione e al rafforzamento della presenza della stessa sul territorio, non superati da elementi di segno contrario e diversi dal mero decorso del tempo.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa, al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro tremila. La Cancelleria è delegata agli adempimenti di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.