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Concorso spaccio stupefacenti: la Cassazione decide

Un soggetto condannato per traffico di droga ricorre in Cassazione sostenendo che il suo ruolo fosse marginale e non configurasse un concorso spaccio stupefacenti. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando che le prove, derivanti da attività di pedinamento, dimostravano il suo pieno e stabile inserimento nell’organizzazione criminale, andando ben oltre la semplice connivenza.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso spaccio stupefacenti: quando la presenza diventa partecipazione

L’analisi di un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per approfondire il delicato tema del concorso spaccio stupefacenti. La Suprema Corte ha chiarito, ancora una volta, la linea di demarcazione tra la semplice connivenza non punibile e la partecipazione attiva che integra gli estremi del reato. Il caso esaminato riguarda un soggetto condannato per detenzione e spaccio di un ingente quantitativo di marijuana, che ha tentato di sostenere la propria estraneità ai fatti, definendo il proprio ruolo come marginale.

I Fatti di Causa

Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di cui all’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti. L’accusa era di aver detenuto, in concorso con un’altra persona, diversi chilogrammi di marijuana e di possedere materiali destinati alla coltivazione. La difesa dell’imputato proponeva quindi ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali volti a smontare l’impianto accusatorio e a ridurre la propria responsabilità penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La strategia difensiva si concentrava su due aspetti cruciali del diritto penale:

Primo Motivo: L’asserita estraneità e la mera connivenza

L’imputato sosteneva una violazione dell’art. 110 del codice penale, relativo al concorso di persone nel reato. Secondo la sua tesi, il suo comportamento era stato di mera connivenza, una sorta di passiva tolleranza dell’attività illecita altrui. A suo dire, si era limitato a commentare la condotta del coimputato, un atteggiamento che i giudici di merito avrebbero erroneamente interpretato come una forma di agevolazione al crimine.

Secondo Motivo: La richiesta di attenuante per minima partecipazione

In subordine, la difesa chiedeva il riconoscimento della circostanza attenuante della minima importanza nella preparazione o esecuzione del reato, prevista dall’art. 114 del codice penale. Si evidenziava che la sua condotta si era limitata ad accompagnare il coimputato in un viaggio, sottolineando che lo stupefacente era già presente nel veicolo prima del suo arrivo e che il complice avrebbe agito comunque, anche senza la sua presenza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul concorso spaccio stupefacenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi infondati e meramente riproduttivi di questioni già correttamente risolte nei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno sottolineato che il ricorso mirava a una rivalutazione dei fatti, operazione non consentita in sede di legittimità.

Nel merito, la Corte ha validato la decisione dei giudici di appello, i quali avevano dedotto, in modo logico e ragionevole, lo stabile inserimento dell’imputato in un’organizzazione ben più ampia, finalizzata alla produzione e allo spaccio di marijuana. Questa conclusione non si basava su mere congetture, ma su un solido compendio probatorio raccolto durante le attività di pedinamento. Tali prove avevano messo in luce:

1. I rapporti costanti con gli altri membri del gruppo criminale.
2. La partecipazione attiva alle attività di trasporto dello stupefacente.
3. La piena consapevolezza del contenuto illecito del furgone.

La Corte ha quindi escluso che si potesse parlare di semplice connivenza o di un contributo di minima importanza, configurando invece un pieno e consapevole concorso spaccio stupefacenti.

Le Conclusioni: Quando la presenza diventa concorso nel reato

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per essere considerati concorrenti in un reato di spaccio, non è necessario compiere materialmente l’atto della cessione della droga. Un contributo rilevante, anche se consistente nel supporto logistico, nella sorveglianza o nel semplice rafforzamento del proposito criminoso altrui, è sufficiente a integrare la fattispecie del concorso. La valutazione non si ferma al singolo episodio, ma considera il quadro generale, i legami tra i soggetti e la consapevolezza del piano illecito. La decisione della Corte chiarisce che chi si inserisce stabilmente in un contesto criminale, condividendone fini e modalità operative, non può sperare di veder qualificata la propria condotta come marginale o irrilevante.

Accompagnare una persona che trasporta droga è sufficiente per essere condannati per concorso spaccio stupefacenti?
Secondo questa ordinanza, il solo accompagnamento potrebbe non bastare, ma se unito ad altre prove (come rapporti stabili con un’organizzazione, piena consapevolezza del carico illecito e partecipazione ad altre attività), dimostra un inserimento stabile nel gruppo criminale e costituisce a tutti gli effetti concorso nel reato.

Qual è la differenza tra semplice “connivenza” e “concorso” nel reato di spaccio?
La “connivenza” è una mera tolleranza passiva dell’illecito altrui, un comportamento da spettatore che non è punibile. Il “concorso”, invece, come stabilito nel caso di specie, implica un contributo attivo, anche solo morale o logistico, alla realizzazione del reato. La Corte ha ritenuto che l’imputato fosse un partecipante attivo e non un semplice spettatore.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare errori nell’applicazione della legge da parte dei giudici precedenti, tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti. Questo tipo di riesame non è consentito in sede di Cassazione, il cui compito è solo verificare la corretta applicazione delle norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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