Concorso Spaccio Stupefacenti: la Cassazione Dichiara l’Inammissibilità dei Ricorsi
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di concorso spaccio stupefacenti, confermando la decisione della Corte d’Appello e dichiarando inammissibili i ricorsi presentati da due imputati. La pronuncia offre importanti chiarimenti sui limiti del giudizio di legittimità, sulla nozione di profitto del reato e sui criteri per valutare la gravità della condotta illecita.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui condannati nei gradi di merito per vendita illecita di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina di tipo “crack”. Il primo ricorrente contestava la confisca del denaro rinvenuto al momento dell’arresto, sostenendo che non fosse provato il suo nesso con l’attività di spaccio. La seconda ricorrente, invece, contestava la sua partecipazione al reato a titolo di concorso e, in subordine, chiedeva il riconoscimento della scarsa offensività della sua condotta.
La Corte d’Appello aveva già respinto tali argomentazioni, confermando la sentenza di primo grado. Gli imputati, non soddisfatti della decisione, hanno quindi proposto ricorso per cassazione, portando la questione all’attenzione della Suprema Corte.
La Decisione sul concorso spaccio stupefacenti
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili. Questa decisione implica che i motivi di ricorso erano manifestamente infondati o non rientravano tra quelli che la Corte può esaminare. Di conseguenza, la condanna dei ricorrenti è diventata definitiva, così come l’obbligo di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro ciascuno alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Corte
L’ordinanza della Suprema Corte si basa su argomentazioni precise e distinte per ciascuno dei ricorrenti.
Per quanto riguarda il primo imputato, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha sottolineato come il denaro sottoposto a confisca fosse direttamente collegabile all’attività di spaccio. Due elementi sono stati decisivi: la confessione resa dall’imputato e il fatto che il denaro fosse stato trovato proprio in occasione dell’arresto per la vendita di cocaina. Secondo i giudici, tali circostanze provano in modo inequivocabile che quella somma costituiva il “profitto del reato” ai sensi dell’art. 73, comma 7-bis, del d.P.R. 309/1990.
Relativamente alla seconda imputata, la Corte ha affrontato due distinti motivi di ricorso.
1. Il concorso nel reato: La Corte ha chiarito che la valutazione del suo ruolo di correo era già stata adeguatamente motivata dalla Corte d’Appello. La sua condotta, consistita nel raccogliere sistematicamente il denaro provento delle cessioni effettuate dal complice, integrava pienamente gli estremi del concorso spaccio stupefacenti. La Cassazione ha ricordato che la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove sono di competenza esclusiva dei giudici di merito e non possono essere riesaminate in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici manifesti, qui non riscontrati.
2. L’esclusione della scarsa offensività: Anche questo motivo è stato respinto. La Corte d’Appello aveva correttamente escluso che la condotta potesse essere considerata di lieve entità. I giudici di legittimità hanno condiviso tale valutazione, basata su due fattori cruciali: la tipologia della sostanza (crack, una forma di cocaina di elevata purezza e pericolosità) e la quantità non minimale (11 grammi). Questi elementi, complessivamente considerati, impedivano di qualificare il fatto come di scarsa offensività.
Conclusioni
Questa ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di reati legati agli stupefacenti. In primo luogo, stabilisce che la confisca del denaro trovato in possesso di uno spacciatore al momento dell’arresto è legittima quando le circostanze, inclusa la confessione, lo collegano direttamente all’attività illecita. In secondo luogo, riafferma che la valutazione del concorso spaccio stupefacenti è una questione di fatto, la cui ricostruzione da parte dei giudici di merito è insindacabile in sede di legittimità se logicamente motivata. Infine, chiarisce che la pericolosità della sostanza e la quantità ceduta sono criteri determinanti per escludere l’ipotesi della scarsa offensività, confermando un approccio rigoroso nella lotta al traffico di droghe pesanti.
Quando il denaro trovato addosso a una persona può essere considerato profitto dello spaccio?
Secondo la Corte, il denaro può essere confiscato come profitto del reato quando la sua provenienza illecita è provata da elementi concreti, come la confessione dell’imputato e il fatto che sia stato rinvenuto nel contesto di un arresto per spaccio.
In cosa consiste il concorso nel reato di spaccio secondo questa ordinanza?
Il concorso nel reato di spaccio si configura anche attraverso condotte di supporto, come quella di raccogliere il denaro proveniente dalla vendita della droga effettuata da un complice. Tale partecipazione attiva alla fase esecutiva del reato è sufficiente a far ritenere una persona corresponsabile.
Perché è stata esclusa la scarsa offensività del fatto?
La difesa basata sulla scarsa offensività è stata respinta a causa di due fattori determinanti: l’elevata pericolosità della sostanza stupefacente (cocaina tipo “crack”) e la quantità non minimale (11 grammi), che insieme indicano una gravità della condotta non trascurabile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33080 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33080 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il 03/07/1989 NOME nato a ROMA il 23/11/2004
avverso la sentenza del 16/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
visti i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato in quanto il denaro sottoposto a confisca, da un canto, corrisponde alla contestazione che ha ad oggetto l’illecit vendita di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in ordine alla quale è intervenuta confessione, dall’altro, costituisce evenienza caduta sotto la diretta percezione degli operanti, così dovendo ritenere che il denaro rinvenuto in occasione dell’arresto costituisca il profitto del reato all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, secondo quanto previsto dal comma 7-bis del citato articolo;
rilevato che il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è riproduttivo di censura adeguatamente confutata dalla Corte di appello che, con pertinente rinvio alla decisione di primo grado, ha valutato costituire concorso la condotta della ricorrente che, a stretto contatto con COGNOME provvedeva a raccogliere, di volta in volta, il denaro oggetto della cession immediatamente prima effettuata, valutazione giuridicamente corretta espressa all’esito dell’analisi del materiale probatorio afferente alla ricostruzione in fatto della vicenda, sindacabile in sede di legittimità;
rilevato che analogo limite incontra il secondo motivo di ricorso di NOME COGNOME avendo la Corte di appello adeguatamente spiegato, mostrando di condividere il giudizio sul punto operato dal primo giudice, le ragioni che hanno portato ad escludere che la condotta potesse ritenersi di scarsa offensività, sia per la tipologia di stupefacente di tipo cocaina (“crac elevata purezza, sia per la sua non minimale quantità (11 grammi);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/09/2025.