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Concorso spaccio stupefacenti: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due persone condannate per spaccio di cocaina. L’ordinanza conferma la confisca del denaro come profitto del reato e ribadisce i limiti del giudizio di legittimità sulla valutazione del concorso spaccio stupefacenti e sulla gravità del fatto, escludendo la scarsa offensività per la cessione di 11 grammi di crack.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Spaccio Stupefacenti: la Cassazione Dichiara l’Inammissibilità dei Ricorsi

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di concorso spaccio stupefacenti, confermando la decisione della Corte d’Appello e dichiarando inammissibili i ricorsi presentati da due imputati. La pronuncia offre importanti chiarimenti sui limiti del giudizio di legittimità, sulla nozione di profitto del reato e sui criteri per valutare la gravità della condotta illecita.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui condannati nei gradi di merito per vendita illecita di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina di tipo “crack”. Il primo ricorrente contestava la confisca del denaro rinvenuto al momento dell’arresto, sostenendo che non fosse provato il suo nesso con l’attività di spaccio. La seconda ricorrente, invece, contestava la sua partecipazione al reato a titolo di concorso e, in subordine, chiedeva il riconoscimento della scarsa offensività della sua condotta.

La Corte d’Appello aveva già respinto tali argomentazioni, confermando la sentenza di primo grado. Gli imputati, non soddisfatti della decisione, hanno quindi proposto ricorso per cassazione, portando la questione all’attenzione della Suprema Corte.

La Decisione sul concorso spaccio stupefacenti

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili. Questa decisione implica che i motivi di ricorso erano manifestamente infondati o non rientravano tra quelli che la Corte può esaminare. Di conseguenza, la condanna dei ricorrenti è diventata definitiva, così come l’obbligo di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro ciascuno alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Corte

L’ordinanza della Suprema Corte si basa su argomentazioni precise e distinte per ciascuno dei ricorrenti.

Per quanto riguarda il primo imputato, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha sottolineato come il denaro sottoposto a confisca fosse direttamente collegabile all’attività di spaccio. Due elementi sono stati decisivi: la confessione resa dall’imputato e il fatto che il denaro fosse stato trovato proprio in occasione dell’arresto per la vendita di cocaina. Secondo i giudici, tali circostanze provano in modo inequivocabile che quella somma costituiva il “profitto del reato” ai sensi dell’art. 73, comma 7-bis, del d.P.R. 309/1990.

Relativamente alla seconda imputata, la Corte ha affrontato due distinti motivi di ricorso.

1. Il concorso nel reato: La Corte ha chiarito che la valutazione del suo ruolo di correo era già stata adeguatamente motivata dalla Corte d’Appello. La sua condotta, consistita nel raccogliere sistematicamente il denaro provento delle cessioni effettuate dal complice, integrava pienamente gli estremi del concorso spaccio stupefacenti. La Cassazione ha ricordato che la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove sono di competenza esclusiva dei giudici di merito e non possono essere riesaminate in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici manifesti, qui non riscontrati.

2. L’esclusione della scarsa offensività: Anche questo motivo è stato respinto. La Corte d’Appello aveva correttamente escluso che la condotta potesse essere considerata di lieve entità. I giudici di legittimità hanno condiviso tale valutazione, basata su due fattori cruciali: la tipologia della sostanza (crack, una forma di cocaina di elevata purezza e pericolosità) e la quantità non minimale (11 grammi). Questi elementi, complessivamente considerati, impedivano di qualificare il fatto come di scarsa offensività.

Conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di reati legati agli stupefacenti. In primo luogo, stabilisce che la confisca del denaro trovato in possesso di uno spacciatore al momento dell’arresto è legittima quando le circostanze, inclusa la confessione, lo collegano direttamente all’attività illecita. In secondo luogo, riafferma che la valutazione del concorso spaccio stupefacenti è una questione di fatto, la cui ricostruzione da parte dei giudici di merito è insindacabile in sede di legittimità se logicamente motivata. Infine, chiarisce che la pericolosità della sostanza e la quantità ceduta sono criteri determinanti per escludere l’ipotesi della scarsa offensività, confermando un approccio rigoroso nella lotta al traffico di droghe pesanti.

Quando il denaro trovato addosso a una persona può essere considerato profitto dello spaccio?
Secondo la Corte, il denaro può essere confiscato come profitto del reato quando la sua provenienza illecita è provata da elementi concreti, come la confessione dell’imputato e il fatto che sia stato rinvenuto nel contesto di un arresto per spaccio.

In cosa consiste il concorso nel reato di spaccio secondo questa ordinanza?
Il concorso nel reato di spaccio si configura anche attraverso condotte di supporto, come quella di raccogliere il denaro proveniente dalla vendita della droga effettuata da un complice. Tale partecipazione attiva alla fase esecutiva del reato è sufficiente a far ritenere una persona corresponsabile.

Perché è stata esclusa la scarsa offensività del fatto?
La difesa basata sulla scarsa offensività è stata respinta a causa di due fattori determinanti: l’elevata pericolosità della sostanza stupefacente (cocaina tipo “crack”) e la quantità non minimale (11 grammi), che insieme indicano una gravità della condotta non trascurabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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