Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13406 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13406 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a POTENZA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/12/2023 del TRIB. LIBERTA’ di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di POTENZA in difesa di COGNOME NOME, che chiede l’accoglimento del ricorso insistendo sull’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata mettendo in rilievo la questione dell’esubero della misura cautelare adottata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 12.12.2023 il Tribunale di Potenza, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero in data 15.11.2023 avverso l’ordinanza emessa dal Gip del locale Tribunale in data 8.1.2023 con cui veniva parzialmente accolta la richiesta cautelare, ha applicato a COGNOME NOME la misura dell’obbligo di dimora nel Comune di Potenza prescrivendo al medesimo di non allontanarsi dallo stesso senza l’autorizzazione del giudice che procede.
2. Riepilogando in sintesi la vicenda cautelare:
in data 7.11.2023 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Potenza chiedeva al Gip di convalidare l’arresto in flagranza effettuato nella notte tra il 5 ed il novembre 2023 in Avigliano nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME chiedendo altresì di applicare ad entrambi la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli artt. 110, 73, comma 1, d.p.r. ottobre 1990 n. 309, perché in concorso tra loro avevano ceduto a COGNOME NOME all’interno dell’autovettura BMW tg. TARGA_VEICOLO condotta da COGNOME un involucro in cellophane contenente circa gr. 5,2 di sostanza stupefacente del tipo cocaina;
il giudice adito, convalidato l’arresto, applicava la misura richiesta esclusivamente nei confronti del COGNOME, atteso che gli elementi in atti, alla luce dei chiarimenti resi dal COGNOME, non consentivano di ritenere esistente un quadro probatorio univoco che dimostrasse che questi era a conoscenza che il COGNOME detenesse sostanza stupefacente e che l’incontro con il COGNOME fosse destinato alla cessione della cocaina;
avverso detta ordinanza il Pubblico Ministero proponeva appello censurando l’illogicità del percorso motivazionale adottato dal Gip per escludere la corresponsabilità del COGNOME nella cessione dello stupefacente al COGNOME, atteso che il giudice aveva prima rilevato la ricorrenza di un’ipotesi di flagranza, riconoscendo che entrambi gli indagati erano stati colti nell’atto di cedere stupefacente, per poi convincersi del fatto che il COGNOME non fosse a conoscenza della detenzione da parte del COGNOME della sostanza stupefacente da destinare alla cessione;
il Tribunale di Potenza con l’ordinanza oggi impugnata, in parziale accoglimento dell’appello, ha ritenuto che nella specie sia stata raggiunta la gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod.proc.pen. in ordine al consapevole concorso ex art. 110
cod.proc.pen. di COGNOME NOME nella cessione della sostanza drogante in favore del COGNOME desunta dal fatto che l’attività di cessione era posta in essere all’interno dell’autovettura del COGNOME, che era alla guida; che il COGNOME aveva accompagnato il COGNOME da Potenza ad Avigliano, dove doveva avvenire l’incontro con il COGNOME (previ accordi tra quest’ultimo e il COGNOME); che il COGNOME si era fermato, con l’auto, in una zona notoriamente “di spaccio”; che infine la COGNOME aveva sorpreso il COGNOME a bordo della sua autovettura, rivolto verso il COGNOME con il braccio proteso, mentre questi contemporaneamente faceva scivolare un involucro (contenente cocaina) sotto il sedile passeggero lato guida.
Del pari ha ritenuto la sussistenza del pericolo di reiterazione di condotte della stessa specie di quella per cui si procede; reputando che tale periculum potesse essere arginato con la più tenue misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza (Potenza) in luogo degli arresti domiciliari richiesti.
Avverso detta ordinanza COGNOME AVV_NOTAIO, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Con il primo deduce la nullità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen. per manifesta illogicità e mancanza di motivazione in ordine ad una specifica circostanza.
Si assume che l’appello del Pubblico Ministero avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile non sussistendo nessun nuovo elemento indiziante a carico del COGNOME, cronologicamente successivo all’udienza di convalida. Inoltre le conclusioni cui giunge il Tribunale sono manifestamente illogiche, atteso che tutti gli elementi acquisiti si riferiscono solo al COGNOME mentre del COGNOME, nei confronti del quale le perquisizioni hanno avuto esito negativo, si dice solo che aveva il braccio destro appoggiato sul proprio poggia testa ed era rivolto verso il COGNOME.
Peraltro, si osserva che in sede di appello cautelare l’adozione di un provvedimento sfavorevole all’indagato comporta una motivazione maggiormente incisiva circa le ragioni poste a fondamento della decisione, che nella specie non ricorre.
Con il secondo motivo deduce la nullità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen. per contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza del concorso di persone nel reato.
Si assume che l’ordinanza ricostruisce il concorso del COGNOME, dando come inequivocabili elementi caratterizzati da mera probabilità e introducendo
elementi inesistenti, quale la circostanza che il COGNOME si sarebbe fermato sotto la statua in Avigliano per attendere l’arrivo del COGNOME (avendo invece semplicemente parlato dell’attesa di un amico del COGNOME).
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso, da valutarsi congiuntamente, in quanto entrambi afferenti al giudizio di gravità indiziaria in ordine all’ipotesi accusatoria di concorso COGNOME nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, sono manifestamente infondati.
Giova premettere che il controllo di legittimità relativo ai provvedimenti de libertate, secondo giurisprudenza consolidata, è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (v., tra le tante, Sez. 2, n. 56 del 7 dicembre 2011, Siciliano, Rv. 251760; Sez. 6, n. 2146 del 25 maggio 1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).
In particolare in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla suprema Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 che, in motivazione, premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti
resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza), sicché non è ammesso il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
Nel caso di specie, l’ordinanza esaminata risulta avere adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziari, rappresentati dal fatto che l’attività cessione di sostanza stupefacente era posta in essere all’interno dell’autovettura del COGNOME che era alla guida; che il COGNOME aveva accompagnato il COGNOME da Potenza ad Avigliano, dove doveva avvenire l’incontro con il COGNOME; che il COGNOME si fermava, con l’auto, in una zona notoriamente “di spaccio”; che, infine, veniva sorpreso al momento dell’intervento della P.G. rivolto verso il COGNOME con il braccio proteso, mentre questi faceva scivolare un involucro sotto il sedile passeggero lato guida.
Ricondotti tali elementi ad unità, attesa la loro concordanza, con motivazione in alcun modo illogica ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del COGNOME in ordine al reato allo stesso contestato.
Il ricorrente contesta tale ricostruzione proponendo censure eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Con riguardo alla misura dell’obbligo di dimora disposta dal Gip, a fronte della richiesta del Pubblico Ministero di applicazione degli arresti domiciliari, a prescindere dal rilievo che tale profilo non è stato dedotto nel ricorso introduttivo ma solo in sede di discussione orale, va rilevato che nelle ipotesi in cui l’appello del pubblico ministero riguardi la mancata applicazione di una misura cautelare personale, l’effetto devolutivo dell’impugnazione non implica che il tribunale della libertà debba decidere nel senso dell’applicazione o del diniego del provvedimento richiesto, potendo procedere anche all’adozione di altre misure coercitive diverse e meno gravi (Sez. 6, n. 1832 del 17/12/2019, dep. 2020, Rv. 278105, fattispecie in cui la Corte ha confermato l’ordinanza del tribunale del riesame che, pronunciando sull’appello del pubblico ministero che chiedeva l’applicazione degli arresti domiciliari a fronte della misura interdittiva
del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione adottata dal g.i.p., disponeva congiuntamente l’obbligo di dimora ed il divieto temporaneo di esercitare imprese e uffici direttivi per un anno).
In conclusione, il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. Esec. cod.proc.pen.
Così deciso il 15.2.2024