Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28426 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28426 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 11/01/1975
avverso la sentenza del 13/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si è riportato alla memoria depositata e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, con le conseguenti statuizioni ai sensi dell’art. 616 c.p.p. E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME
COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 dicembre 2024 la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di Latina del 24 maggio 2024 con cui NOME COGNOME – per quanto di specifico interesse in questa sede – era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 40.000,00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, e 80, comma 2, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
L’imputato, in particolare, è stato riconosciuto colpevole di avere, in concorso con il cugino NOME COGNOME – giudicato separatamente -, illecitamente detenuto e trasportato su un furgone sostanza stupefacente del tipo cocaina contenuta in 16 involucri in cellophane, del peso lordo complessivo di Kg 17,525 (principio attivo di grammi 11.896,989, equivalenti a 79.313 dosi singole) che per peso, modalità di presentazione e circostanza dell’azione (essendo stata occultata la droga dentro un bidone della nettezza urbana trasportato nel bagagliaio del veicolo) era destinata ad essere ceduta a terzi. Con l’aggravante dell’ingente quantità.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo tre motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito manifesta illogicità della motivazione in ordine al disposto erroneo riconoscimento della sua responsabilità penale per il delitto di detenzione di sostanze stupefacenti, invocando l’assoluzione per non avere commesso il fatto, ovvero in subordine l’applicazione dell’istituto della connivenza passiva.
Con percorso logico apodittico, la Corte di merito, in contrasto con le argomentazioni rese da parte del primo giudice che lo aveva condannato per concorso morale di persona nel reato, avrebbe erroneamente ricondotto la sua responsabilità penale nell’alveo del concorso materiale nel reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente, sulla scorta di mere deduzioni e in assenza di prove logiche inequivoche.
La droga, infatti, era stata rinvenuta nel vano posteriore del furgone condotto dal cugino COGNOME ove l’imputato si sarebbe causalmente trovato in veste di soggetto trasportato, avendo chiesto al parente, di cui si fidava e non conosceva gli illeciti traffici, di essere accompagnato presso un negozio ad acquistare materiale edile.
Egli, quindi, non avrebbe prestato nessun concorso materiale, atteso che, ove fosse stato lui a organizzare il recupero della droga, non avrebbe mai fatto guidare il mezzo a un terzo ignaro di ciò che era effettivamente contenuto nel vano posteriore. Il furgone, già in passato di sua proprietà, non sarebbe stato più nella sua disponibilità, per cui il Subashi avrebbe avuto bisogno dell’aiuto del cugino per acquisire il materiale edilizio di cui necessitava. L’Abazi, inoltre, avrebbe caricato un contenitore per i rifiuti della nettezza urbana, posizionato all’esterno dell’abitazione del Subashi, a completa insaputa di quest’ultimo, che neppure avrebbe avuto successiva contezza di cosa fosse contenuto in una borsa che due persone incontrate durante il tragitto avevano ceduto al cugino.
Sulla scorta di tale ricostruzione, allora, la condotta a lui imputabile non solo non costituirebbe una fattispecie di concorso materiale – ma al più solo di concorso morale – ma sarebbe anche più correttamente da qualificarsi quale ipotesi di connivenza passiva, non avendo espletato, se non con la sua presenza neutra, nessuna condotta diretta a corroborare i propositi criminosi del parente, come peraltro evincibile dalle conversazioni captate in carcere tra lui e sua sorella.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del reato nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990, con esclusione dell’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80 D.P.R. n. 309 del 1990, per assenza dell’elemento soggettivo.
Sarebbe, in particolare, apparente la motivazione con cui la Corte di merito ha deciso di escludere la riqualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990, non essendo stato comprovato che lui avesse avuto piena conoscenza della natura dello stupefacente presente nei panetti rinvenuti all’interno del furgone, che ben potevano contenere droga leggera. Del pari, il Subashi non avrebbe avuto contezza del grado di purezza e del reale quantitativo dello stupefacente detenuto, tanto da giustificare anche l’esclusione della contestatagli aggravante dell’ingente quantitativo.
Con l’ultima doglianza, infine, il ricorrente ha lamentato carenza motivazionale in ordine al mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, a suo dire da porre in termini di prevalenza sulla contestata aggravante.
Il suo stato di incensuratezza e lo svolto ruolo di mero ausiliario nell’espletamento dell’illecita condotta altrui giustificherebbero, infatti, riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen., da porre in giudizio di prevalenza.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso è inammissibile.
Il Collegio rileva, infatti, come i vizi dedotti dall’imputato siano privi d adeguato confronto con le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata, che appare lineare e congrua, oltre che priva di contraddizioni evidenti, e quindi tale da non poter essere sottoposta ad alcuna censura in sede di legittimità, a fronte di argomenti di impugnazione meramente reiterativi di censure già sviluppate nel giudizio di appello ed ivi disattese con motivazione logica.
La Suprema Corte ha, in proposito, più volte chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
Non può che conseguirne, quindi, il giudizio di inammissibilità delle dedotte censure, atteso che, in ragione di quanto reiteratamente chiarito da questa Corte di legittimità, il ricorso per cassazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (così, ex multis, Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01), giusta applicazione dei disposti normativi di cui agli artt. 581, comma 1, lett. c) e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
Chiarito il superiore aspetto, deve, poi, essere osservato come la doglianza dedotta con il primo motivo di ricorso pertenga pure a una diversa ricostruzione del fatto criminoso e all’interpretazione delle prove assunte, e cioè ad aspetti non passibili di valutazione in questa sede, ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta
dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv, 203428-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i moltepli arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato esperibile la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
Ebbene, a fronte della circostanza che la Corte territoriale ha fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalità maggiormente plausibile con cui l’evento è da ritenersi sia accaduto, le censure sollevate dal Subashi si appalesano come volte a ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, come detto, risulta del tutto non consentito.
3.1. In maniera specifica, deve essere osservato, poi, come la Corte di appello abbia adeguatamente esplicato le ragioni di configurabilità della penale responsabilità del prevenuto in termini di concorso materiale nel reato, e come la condotta da lui perpetrata non possa essere qualificata come mera ipotesi di connivenza non punibile.
Vale ricordare, in proposito, che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Napoli, Rv. 233460-01; Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, COGNOME, Rv. 233778-01; Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri, Rv. 23377501; Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, COGNOME, Rv. 234989-01).
Il ricorso per cassazione, cioè, è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell’uno e nell’altro caso quando tali prove siano in sé determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata. Il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perché ciò è estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente (in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 262948-01).
Orbene, a fronte degli evidenziati principi ermeneutici, risulta incongruente la censura con cui il ricorrente ha eccepito vizio motivazionale in ordine al disposto riconoscimento della sua responsabilità penale, e, di contro, del tutto non illogica la motivazione con cui il giudice di appello ha escluso che la condotta a lui riferibile potesse configurare una connivenza passiva e non già, come invece accertato, un concorso materiale nella perpetrazione dell’illecito. A tal fine il giudice di appello ha, in particolar modo, valorizzato l’assunto per cui, in ossequio agli ordinari canoni di ragionevolezza, risulta impossibile che il cugino COGNOME abbia coinvolto il COGNOME a sua insaputa, in un’azione palesemente illecita e pericolosa, non potendo essere individuata nessuna finalità razionale di un simile comportamento, a un tempo dannoso per il Subashi e rischioso per l’COGNOME.
Plurimi argomenti di conforto, in tal senso, sono stati desunti dai giudici di secondo grado, in particolar modo evinti dal fatto che: non risulta comprovato che il furgone utilizzato per il trasporto della sostanza stupefacente non fosse più nella disponibilità del Subashi; non appare credibile che il bidone della spazzatura, in cui era stata celata la droga, fosse stato prelevato al di fuori
dell’abitazione dell’imputato senza il consenso di quest’ultimo; è circostanza emersa dalle intercettazioni ambientali in carcere quella per cui il COGNOME aveva accettato di partecipare all’illecita operazione di trasporto dello stupefacente per liquidare debiti verso terzi; risulta inverosimile che il prevenuto non avesse compreso, parlando la stessa lingua, che nella borsa consegnata da due suoi connazionali al cugino vi fossero contenuti dei pacchetti di droga; non risulta che il prevenuto e l’COGNOME si fossero mai recati presso il negozio ove acquistare il materiale edile.
Non appare esservi dubbio di sorta in ordine al fatto che le censure mosse dall’imputato si appalesano, nella sostanza, come volte solo a ottenere una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza e alla logicità della motivazione resa, appare del tutto infondato.
Gli elementi dedotti in ricorso possono, al più, valere a suggerire una lettura alternativa delle emergenze probatorie, ma non di certo a ribaltarne l’esito in modo univoco, con ciò che ne consegue in ordine all’affermazione della sua responsabilità penale in termini di concorso materiale nel reato.
Stesso giudizio di manifesta infondatezza deve essere espresso, poi, con riguardo alla censura con cui il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990.
Risulta, infatti, non manifestamente illogica la motivazione con cui la Corte territoriale, dopo aver rappresentato le ragioni di sussistenza del concorso materiale del ricorrente nella perpetrazione dell’illecito, ha escluso che il Subashi potesse incolpevolmente ignorare la qualità e la quantità della droga trasportata. A tal fine ha considerato aspetti logici quali il fatto che trattavasi di sostanza stupefacente del valore di centinaia di migliaia di euro, presumibilmente consegnata da qualche organizzazione criminale, costituente un quantitativo particolarmente ingente – idoneo a rifornire un notevolissimo numero di consumatori per tanti giorni, in un’ampia zona di territorio – che, invero, si è ritenuto inverosimile che potesse essere stata affidata a soggetti ignari di ciò, peraltro pure tenuti a custodire la droga e a riconsegnarla a terzi. D’altro canto, la Corte territoriale ha anche evidenziato che ove si fosse trattato di sostanza diversa (come hashish o marijuana), essa avrebbe avuto ben altra consistenza e volume, che il prevenuto avrebbe potuto facilmente riconoscere.
Manifestamente infondato, infine, è pure l’ultimo *motivo di ricorso, con cui il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento in suo favore delle
circostanze attenuanti generiche, da porre in termini di prevalenza sulla contestata aggravante.
La Corte di appello ha ritenuto che non vi fossero, oltre allo stato di incensuratezza, elementi tali da consentire di riconoscere il beneficio ex art. 62bis cod. pen., considerata l’obiettiva gravità del fatto e la circostanza che l’imputato non avesse fornito alcuna collaborazione, mantenendo un comportamento processuale negativo.
Trattasi di motivazione che ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non sindacabile in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01).
D’altro canto – in particolare dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. disposta dal d.l. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla I. 24 luglio 2008, n. 125 – è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex art. 133 cod. pen. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01). In altri termini, l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, COGNOME ed altro, Rv. 245241-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 22 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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