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Concorso spaccio: assolta la figlia del pusher

La Corte di Cassazione ha assolto la figlia di un trafficante dall’accusa di concorso in spaccio. La sentenza stabilisce che la semplice messa a disposizione della propria carta prepagata per ricevere denaro, senza la prova di una piena consapevolezza della sua provenienza illecita, non è sufficiente a configurare la complicità nel reato di cessione di stupefacenti. I ricorsi degli altri coimputati sono stati invece dichiarati inammissibili per motivi procedurali e di merito.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Spaccio: Assolta la Figlia del Pusher

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha delineato i confini del concorso spaccio, annullando senza rinvio la condanna di una giovane donna accusata di complicità nell’attività di cessione di stupefacenti del padre. Questo caso offre spunti fondamentali sulla necessità di provare non solo il contributo materiale, ma anche l’elemento psicologico del reato, ovvero la piena consapevolezza di partecipare a un’attività illecita.

I Fatti del Caso: Ruoli e Responsabilità

Il procedimento vedeva coinvolti quattro imputati con diverse accuse, tra cui traffico di droga ed estorsione. La posizione più interessante è quella della figlia di uno dei principali imputati, condannata in appello per concorso spaccio. La sua colpa, secondo i giudici di merito, era aver messo a disposizione la propria carta prepagata per ricevere un pagamento relativo a una cessione di cocaina effettuata dal padre. Gli altri coimputati avevano presentato ricorso per diversi motivi: il padre contestava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, un altro imputato lamentava la condanna per estorsione e un’altra ancora, dopo un concordato in appello, contestava il bilanciamento delle circostanze.

La Decisione della Cassazione sul Concorso Spaccio

La Suprema Corte ha ribaltato completamente la posizione della giovane donna, assolvendola con la formula “per non aver commesso il fatto”. I giudici hanno stabilito un principio di diritto cruciale: la sola messa a disposizione di uno strumento di pagamento, come una carta prepagata, non è sufficiente a integrare il concorso spaccio. Per la condanna, è indispensabile dimostrare che l’intestataria del conto avesse la piena consapevolezza che il denaro ricevuto fosse il profitto di una cessione di droga. In assenza di prove su questo punto, la condotta non costituisce complicità nel reato principale.

Esito degli Altri Ricorsi

Per quanto riguarda gli altri imputati, i loro ricorsi sono stati dichiarati inammissibili:
* Padre della ragazza: Il ricorso contro il diniego delle attenuanti generiche è stato giudicato generico. La Corte ha ritenuto legittima la valutazione dei giudici di merito, basata sull’elevato spessore criminale, le dichiarazioni solo parzialmente confessorie e la condotta carceraria.
* Donna con concordato in appello: Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, avendo accettato un “patteggiamento in appello” sulla pena, aveva di fatto rinunciato a contestare i punti oggetto dell’accordo, come il bilanciamento delle circostanze.
* Imputato per estorsione: Anche il suo ricorso è stato ritenuto inammissibile sia per la genericità delle censure di merito, già adeguatamente motivate in appello, sia per un vizio procedurale: la richiesta di pene sostitutive non era stata avanzata nell’atto di appello.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la decisione di annullamento per la figlia sul difetto dell’elemento soggettivo del reato di concorso spaccio. Il dato di fatto provato era solo che la ragazza avesse messo a disposizione del padre il proprio conto per ricevere denaro da uno sconosciuto. Questa condotta, in assenza di altri elementi, non consente di configurare né un contributo causale effettivo alla vendita della droga, né tantomeno la consapevolezza che il denaro fosse il corrispettivo di tale vendita. La Corte di merito, secondo la Cassazione, ha quindi errato nel qualificare giuridicamente il fatto come concorso in spaccio.

Per gli altri ricorrenti, le motivazioni si sono concentrate su aspetti procedurali e sulla corretta applicazione dei principi giurisprudenziali. Il diniego delle attenuanti è un potere ampiamente discrezionale del giudice di merito, sindacabile solo per vizi logici evidenti, qui assenti. La rinuncia ai motivi di appello a seguito di concordato preclude un successivo ricorso in Cassazione sugli stessi punti. Infine, le richieste non formulate nei corretti atti processuali (come la domanda di pene sostitutive non inserita nell’appello) non possono essere esaminate d’ufficio in un secondo momento.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante promemoria sull’onere della prova nel processo penale, specialmente per il reato di concorso spaccio. Non basta dimostrare un contatto o un’azione che agevola oggettivamente un’attività illecita; è fondamentale provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la coscienza e la volontà di partecipare al progetto criminoso. Questa decisione tutela chi, per ingenuità o legami familiari, compie azioni astrattamente neutre senza essere a conoscenza del loro inserimento in un contesto criminale. Allo stesso tempo, conferma il rigore procedurale del sistema, che sanziona con l’inammissibilità i ricorsi generici, tardivi o presentati in violazione delle regole processuali.

Mettere a disposizione il proprio conto corrente per ricevere un pagamento fa scattare automaticamente il concorso in spaccio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente. Oltre al contributo materiale (la messa a disposizione del conto), l’accusa deve provare l’elemento soggettivo, ovvero la piena consapevolezza da parte dell’intestatario che il denaro ricevuto costituisce il profitto di una specifica cessione di stupefacenti.

Perché il ricorso di un imputato è stato dichiarato inammissibile dopo un concordato in appello?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il “concordato in appello” (art. 599-bis c.p.p.) implica una rinuncia da parte dell’imputato a contestare i motivi di appello in cambio di un accordo sulla pena. È precluso, quindi, riproporre in Cassazione un punto (come il bilanciamento delle circostanze attenuanti) che era già stato oggetto della rinuncia nell’accordo.

Quali elementi valuta il giudice per negare le circostanze attenuanti generiche?
Il giudice valuta una serie di indicatori per decidere se concedere o negare le attenuanti generiche. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto legittima la negazione basandosi su: l’elevato spessore criminale dell’imputato, la gravità e il numero dei reati commessi, la genericità e parzialità delle sue confessioni, l’assenza di un reale contributo alle indagini e la sua condotta carceraria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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