Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27638 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27638 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 850 PU – 21/05/2025 R.G.N. 42670/2024
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso di NOME COGNOME nato a Roma il 11/10/1962, avverso la sentenza in data 27/06/2024 della Corte di appello di Firenze, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi per il ricorrente gli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 6 dicembre 2016 del G.u.p. del Tribunale di Roma, parzialmente riformata in data 31 maggio 2017 dalla Corte di appello di Roma, divenuta irrevocabile in data 12 giugno 2018 in seguito alla sentenza della Corte di cassazione che aveva rigettato il ricorso, NOME COGNOME Ł stato condannato alle pene di legge per il reato dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 2) e per il reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 3). Il reato del capo 2), relativo alla violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, Ł stato contestato a COGNOME in concorso con NOME COGNOME per aver emesso COGNOME, nel 2016, in qualità di gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, una fattura per operazione inesistente, al fine di consentire alla RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME era legale rappresentante, di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Il reato del capo 3), relativo alla violazione del reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, Ł stato contestato solo a COGNOME, per essersi avvalso, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, di due fatture per operazioni inesistenti emesse sempre dalla RAGIONE_SOCIALE negli anni 2014 e 2015, fatti commessi il 25 settembre 2015 per le imposte dirette e 31 marzo 2016 per l’IVA.
Con sentenza in data 18 dicembre 2020 la Corte di appello di Perugia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione. Con sentenza n. 16800 del 10/02/2022 la Quarta Sezione della Corte di cassazione ha annullato la sentenza della Corte di appello di Perugia e ha rinviato alla Corte di appello di Firenze perchØ, con riferimento al reato del capo 2), la Corte territoriale aveva negato ogni possibile rilevanza pratica ai nuovi documenti con cui la difesa intendeva dimostrare l’utilizzazione della fattura n. 5 e che avrebbero potuto portare a una rivalutazione della responsabilità di COGNOME; con riferimento al reato del capo 3) non aveva tenuto conto del principio di diritto secondo cui per prove nuove, rilevanti ai sensi dell’art. 630 lett. c), cod. proc. pen., dovevano intendersi sia quelle non acquisite nel precedente giudizio sia quelle acquisite ma non valutate neanche implicitamente, purchØ non inammissibili o superflue, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte del Giudice fosse imputabile a un comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, principio applicabile anche quando il giudizio fosse stato celebrato con il rito abbreviato.
Con sentenza in data 27 giugno 2024 la Corte di appello di Firenze, decidendo in seguito a sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione relativa al reato del capo 2), l’ha accolta per il reato del capo 3), assolvendo perchØ il fatto non sussiste, e ha rideterminato la pena per il reato del capo 2), con la riduzione per l’abbreviato, in anni 1, mesi 9, giorni 10 di reclusione, oltre pene accessorie e la confisca.
2. Ricorre per cassazione il condannato sulla base di tre motivi.
Con il primo deduce la mancanza di motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata, dalla richiesta di revisione e dalla memoria depositata per l’udienza del 23 aprile 2024 nonchØ l’erronea applicazione dell’art. 2, comma 2, dell’art. 9 lett. b), d.lgs. n. 74 del 2000, dell’art. 56 cod. pen. e dell’art. 10quater , comma 2, d.lgs. 74 del 2000. Ricostruisce in fatto, rispetto alla residua fattispecie dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, che aveva annotato nella contabilità del 2016 della RAGIONE_SOCIALE la fattura n. 5 del valore di euro 305.000 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE e che quindi se ne era ‘avvalso’, sebbene non l’avesse ‘utilizzata’, perchØ al momento della presentazione della dichiarazione, anno 2017, non amministrava piø la società, per essere cessato dalla carica di amministratore il 27 luglio 2016. Il novum , non apprezzato dalla Corte territoriale in sede di revisione come idoneo a demolire il giudicato, era dunque costituito da due elementi di natura contabile, mai acquisiti nel corso del giudizio, e cioŁ il registro IVA acquisiti e il registro delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE da cui era possibile avvedersi dell’avvenuta registrazione in contabilità della predetta fattura. Sostiene che la semplice registrazione in contabilità, e quindi l’avvalimento della fattura, integra di per sØ la condizione per l’applicabilità dell’art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000 che prevede alla lett. b) che, in deroga all’art. 110 cod. pen., chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non Ł punibile a titolo di concorso nel reato dell’art. 8. Quindi, non concorre con l’emittente, non solo l’utilizzatore in dichiarazione, ma anche colui che, a prescindere dalla dichiarazione, si sia ‘avvalso in altro modo’ dei predetti documenti e fatture. Osserva che, tradizionalmente, l’art. 9 Ł stato interpretato come applicabile solo in presenza di un concorso reciproco di condotte consumate ai sensi dell’art. 8 e dell’art. 2, allorchØ il beneficiario della fattura per operazioni inesistenti, dopo essersene avvalso, ossia dopo averla registrata nelle scritture obbligatorie e detenuta a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, l’abbia utilizzata in una dichiarazione fiscale. SennonchØ, l’introduzione del reato dell’art. 10quater d.lgs. n. 74 del 2000, relativo all’indebita compensazione, rende certi, sulla base dell’interpretazione
della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il reato dell’art. 2 si colloca in rapporto di specialità rispetto al reato dell’art. 10quater , che esistono fattispecie dichiarative che possono essere integrate da comportamenti che consistono nell’avvalimento ma non nell’utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti. Pertanto, si applica l’art. 9, lett. b), nella parte in cui esclude il concorso nell’emissione del soggetto che se ne sia avvalso, secondo l’accezione propria dell’art. 2, comma 2, anche al di là dei casi di concorso reciproco delle fattispecie di cui agli art. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000. Sostiene che tale interpretazione non esclude la responsabilità per condotte potenzialmente punibili, perchØ l’art. 6 esclude il tentativo nei reati degli art. 2, 3 e 4 ma non nei reati degli art. 10bis e seg. e quindi, nello specifico, Ł possibile configurare, alla stregua della nuova documentazione depositata, il delitto tentato di indebita compensazione mediante crediti inesistenti di cui agli art. 56 e 10quater , comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000. Infatti, attraverso la condotta di registrazione e avvalimento ai fini della liquidazione periodica, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe costituito un credito IVA immediatamente spendibile mediante compensazione verticale e avrebbe posto in essere una condotta dotata di idoneità causale univocamente orientata alla perpetrazione di una compensazione fiscale mediante utilizzo di crediti che potrebbero dirsi inesistenti. Rispetto a tale fattispecie il reato dell’art. 2 si pone in termini di specificità per aggiunta o per specificazione perchØ entrambe le condotte implicano l’avvalimento delle fatture per operazioni inesistenti, ma solo il reato dell’art. 2 postula l’ulteriore condotta dell’inserimento degli elementi passivi fittizi nella dichiarazione fiscale, condotta in assenza della quale, non Ł possibile configurare il tentativo per il divieto dell’art. 6 d.lgs. n. 74 del 2000. Viceversa, il reato dell’art. 10quater , che all’epoca era punito con la stessa pena prevista per i reati degli art. 2 e 8, Ł certamente configurabile nella forma tentata essendosi esaurita la fase preparatoria e non essendo stata possibile la consumazione perchØ era stato ristretto in carcere.
Con il secondo motivo chiede di sollevarsi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, lett. b), d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui non Ł ritenuto applicabile ai reati diversi dall’art. 2 sebbene la condotta consista pur sempre nell’avvalimento delle fatture per operazioni inesistenti. Osserva infatti che Ł mutata l’impostazione politico-criminale che, prima, sanzionava i comportamenti di evasione derivanti da un illecito dichiarativo, mentre ora ha ampliato il novero dei reati sanzionando anche quelle condotte che prescindono dalla presentazione della dichiarazione fiscale. Ritiene dunque incostituzionale l’interpretazione tradizionale dell’art. 9 lett. b) come riferita alla sola ipotesi del concorso reciproco tra il reato dell’art. 8 e il reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per violazione dell’art. 3 Cost. Infatti, nel caso in cui ci si arresti all’avvalimento, opera il concorso nell’art. 8, mentre nel caso in cui segua anche l’utilizzazione in dichiarazione Ł escluso il concorso con evidente disparità di trattamento. La questione non Ł manifestamente infondata perchØ la giurisprudenza riconosce la specialità tra le due fattispecie dell’art. 10quater e dell’art. 2 ed Ł rilevante perchØ Ł stata acquisita la prova nuova della cosiddetta compensazione verticale.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’entità della residua pena determinata in sentenza. Il reato per cui Ł stato assolto Ł quello del capo 3) in cui era stata contestata l’indicazione di elementi passivi fittizi per euro 664.250 e IVA detraibile per euro 146.135, mentre il reato per cui la richiesta di revisione Ł stata dichiarata inammissibile Ł quello dell’art. 2) che ha a oggetto il concorso morale nell’emissione di una fattura per operazioni inesistenti dell’importo complessivo di euro 305.000. La pena per il reato del capo 2) Ł stata rideterminata partendo dalla stessa pena base già stabilita per il reato del capo 3) e aumentata per la recidiva, senza avvedersi che la fattispecie del capo 3) era in concreto piø grave di quella del capo 2). Osserva che il reato
del capo 2) non aveva determinato alcuna lesione agli interessi dell’Erario, essendo pacifico che il delitto dell’art. 8 Ł reato di pericolo e comprovato che gli elementi passivi della fattura n. 5/2016 della RAGIONE_SOCIALE non erano mai stati inseriti in una dichiarazione fiscale nØ computati ai fini di una compensazione verticale della RAGIONE_SOCIALE. Ribadisce che la somma indicata nel reato del capo 2) era meno della metà di quella indicata nel capo 3). Lamenta dunque che la Corte di appello aveva applicato un trattamento deteriore senza motivazione.
Il Procuratore generale ha depositato una requisitoria scritta, a valere come memoria in caso di trattazione orale, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Ha argomentato, con riferimento al primo motivo, che il beneficiario, che non ha utilizzato la fattura, risponde come istigatore in concorso con l’emittente in quanto l’art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000 esclude il concorso tra chi ha emesso la fattura e chi l’ha utilizzata, ma non esclude il concorso nell’emissione della fattura per operazioni inesistenti secondo le regole ordinarie dell’art. 110 cod. pen.; con riferimento al secondo motivo che la ratio della norma riposa nell’esigenza di evitare che la sola circostanza dell’utilizzazione da parte del destinatario delle fatture per operazioni inesistenti possa integrare anche il concorso nell’emissione delle stesse, così come, all’inverso, il solo fatto dell’emissione possa integrare il concorso nell’utilizzazione da parte del destinatario che abbia a indicarle in dichiarazione: lo scopo Ł quello di evitare la sottoposizione a sanzione penale per due volte dello stesso soggetto per lo stesso fatto perchØ l’emissione trova la sua naturale conseguenza nella utilizzazione mentre l’utilizzazione trova il suo naturale antecedente nell’emissione, donde la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata; con riferimento al terzo che la Corte territoriale aveva correttamente motivato il trattamento sanzionatorio anche avuto riguardo all’entità della lesione potenziale degli interessi erariali dello Stato.
Il ricorrente ha presentato una memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale in cui ha ribadito le sue ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile nei primi due motivi.
COGNOME Ł stato condannato per il reato del capo 2), consistente nella violazione in concorso con Coppola dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, perchØ la RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME era amministratore, ha emesso a beneficio della RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME era amministratore, la fattura n. 5/2016 dell’importo di euro 305.000.
Nella richiesta di revisione, a pag. 12 e seg., COGNOME ha sostenuto che dai nuovi documenti prodotti, registri IVA acquisti e vendita, era possibile evincere che aveva immediatamente registrato la fattura nella propria contabilità, volendosene avvalere (e dunque volendola utilizzare) nelle dichiarazioni fiscali che ancora dovevano essere presentate, in quanto non scaduti i relativi termini. Di qui la richiesta di assoluzione dal reato perchØ l’utilizzazione della fattura determinava l’applicazione dell’art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000.
Nel ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia che ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di revisione, a pag. 15 e seg., COGNOME ha lamentato che la Corte di appello di Roma lo aveva condannato per il concorso (morale) nel reato dell’art. 8 sul presupposto errato, come provato dalla documentazione nuova prodotta in sede di revisione, che la RAGIONE_SOCIALE non avesse utilizzato la fattura per operazione inesistente, mentre l’utilizzazione avrebbe giustificato l’applicazione dell’art. 9 d.lgs. n. 74 del
2000.
Nel presente ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, che si Ł pronunciata in seguito ad annullamento con rinvio, COGNOME ha inammissibilmente mutato la traiettoria del thema decidendum , ponendo la questione, mai prospettata nØ sviluppata prima, dell’equiparazione dell’avvalimento all’utilizzazione ed anzi della sufficienza del solo avvalimento della fattura ai fini dell’applicazione dell’art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000. Dal confronto degli atti processuali citati emerge in modo evidente che il problema dell’interpretazione dell’art. 9, anche in relazione alla possibilità di qualificare il fatto ai sensi dell’art. 10quater, anzichØ ai sensi dell’art. 8, non Ł stato mai menzionato prima, così come non Ł stata mai prospettata la questione di legittimità costituzionale. La giurisprudenza Ł ferma nel ritenere che nel giudizio di rinvio Ł preclusa la possibilità di presentare motivi aggiunti, posto che l’oggetto del giudizio Ł limitato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 624, comma 1, e 627 cod. proc. pen., alla parte della decisione caducata e, quindi, alla trattazione dei motivi di gravame già proposti ad essa afferenti, che non possono essere in alcun modo integrati (Sez. 3, n. 16440 del 12/01/2024, COGNOME, Rv. 286172 – 01).
Pertanto, il ricorso Ł, sotto questo profilo, inammissibile.
6. Ciò nondimeno, i dubbi interpretativi sollevati dalla difesa in termini di interpretazione evolutiva dell’art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000 impongono una ricognizione delle linee interpretative della norma.
Il ricorrente non dubita che la ratio dell’art. 9 sia quella di evitare che per il solo fatto che il soggetto abbia utilizzato le fatture ovvero le abbia emesse, tali due condotte possano comportare anche l’integrazione, rispettivamente, del reato di concorso nell’emissione e di concorso nell’utilizzazione; conseguentemente, nulla vieta che, laddove lo stesso soggetto, abbia posto in essere sia la condotta di emissione che la condotta di utilizzazione, questo comporti la possibilità di essere condannato per entrambe; ciò che si vuole evitare Ł che, ai fini del concorso nell’emissione, venga valorizzata a posteriori la condotta di utilizzazione e, ai fini del concorso nell’utilizzazione, venga valorizzata a priori la condotta di emissione (Sez. 3, n. 41124 del 22/05/2019, COGNOME, Rv. 277978-01). Ciò significa ulteriormente che, anche a voler ritenere provata l’utilizzazione della fattura, ciò non comporterebbe, in assenza di qualunque riferimento al fatto che la condanna nel concorso nell’emissione sia avvenuta sulla base della utilizzazione e non anche sulla base di una condotta autonoma di istigazione, l’applicabilità dell’art. 9.
E nella specie, come risulta dalla sentenza della Corte di Appello di Roma, la condotta di COGNOME, a cui Ł stato contestato, e ritenuto, il concorso nel reato di cui all’art. 8 cit., Ł consistita non già nella mera utilizzazione della fattura emessa bensì, come emergente da pagina 13 della sentenza, sulla base delle dichiarazioni del teste NOME COGNOME nel fatto che fu il COGNOME a chiedere ‘al COGNOME l’emissione di fatture e fu proprio lui a preparare in tre minuti il contratto, sottostante nulla, per la stesura del quale egli percepì 2.000 euro’.
In ogni caso, anche restando nella prospettiva del ricorrente, non conforme ai principi interpretativi dell’art. 9 e superata da quanto appena osservato sopra, non appare condivisibile la tesi secondo cui, ai fini dell’operatività dell’art. 9, lett. b), sarebbe in realtà sufficiente, sulla base del dato testuale, l’avvalimento delle fatture, che in ipotesi sarebbe provato dai documenti nuovi prodotti ai fini della revisione, e non anche la loro utilizzazione.
L’interpretazione propugnata, che enfatizza l’uso delle forme verbali ‘si avvale’ e ‘avvalendosi’, per sostenere che il reato dell’art. 2 si consumi già con l’avvalimento e
l’esenzione dell’art. 9 scatti anche con l’avvalimento, non tiene conto del fatto che l’avvalimento Ł solo una modalità della condotta ma non integra l’elemento costitutivo del reato. L’art. 2, comma 2, nel prevedere che «il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria» deve essere letto unitamente al primo comma ove si afferma che Ł punito chi «indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi». Pertanto, il quando ha una funzione causale e descrive una modalità della condotta, l’avvalimento per l’appunto, che concorre alla commissione del reato che consiste nella presentazione della dichiarazione fraudolenta. In tale contesto, l’avvalimento Ł dunque prodromico all’utilizzazione, ma non Ł esso stesso elemento costitutivo del reato.
Con il medesimo spirito deve leggersi l’art. 9, comma 1, lett. b), che, quando parla di avvalimento, lo intende in necessario collegamento con l’ utilizzazione, in coerenza con la rubrica della norma e con la sopra evidenziata ratio .
Peraltro, non può non osservarsi, sotto altro profilo, che la presunta equiparazione dell’avvalimento all’utilizzazione determinerebbe una del tutto incomprensibile esenzione dalla punibilità sia in relazione all’art. 2, che punisce la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, e che quindi richiede, ai fini della sua consumazione, la presentazione della dichiarazione in cui siano utilizzate le fatture o altri documenti attestanti le operazioni inesistenti, non bastando l’avvalimento, sia in relazione all’art. 8, che punisce chi emette fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, per effetto della pretesa operatività della deroga di cui all’art. 9.
Pertanto, non c’Ł dubbio che le norme vadano interpretate nel senso della rilevanza dell’utilizzazione e non dell’avvalimento.
Tutto ciò comporta che le ulteriori questioni poste dal ricorso, ovvero la possibilità di qualificare la condotta come di indebita compensazione di cui all’art. 10quater e di illegittimità costituzionale dell’art. 9, anzitutto non rilevante, nella misura in cui condurrebbe a una irragionevole disparità di trattamento tra condotte entrambe fondate sull’avvalimento, ovvero l’art. 2 e l’art. 10quater, siano, a prescindere da ogni valutazione del merito, ugualmente da disattendere. Peraltro, la tesi prospettata della specialità del reato dell’art. 10quater rispetto al reato dell’art. 2, pur inizialmente affermata dalla giurisprudenza (Sez. 3, n. 5703 del 06/11/2015, COGNOME non mass.) Ł stata successivamente superata dall’impostazione giurisprudenziale che ha ritenuto necessaria, ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 10quater, la presentazione del modello F24 e non già la presentazione della dichiarazione (Sez. 3, n. 39478 del 25/06/2024, COGNOME, Rv. 287108 03, che ha precisato che il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10quater si perfeziona al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno d’imposta, non essendo altresì necessario che l’Agenzia delle entrate validi l’effettuata compensazione del debito tributario con i crediti indicati nel modello, atteso che questa Ł un’operazione successiva e l’eventuale disconoscimento del credito costituisce un elemento suscettibile di aggravare il reato, quantomeno sotto il profilo dell’intensità del dolo). Ne consegue la totale diversa configurazione delle condotte contemplate dai due reati rispetto alle quali, ove anche ci si volesse mantenere all’interno del concetto di specialità, si verserebbe comunque in ipotesi di specialità reciproca o bilaterale e non già unilaterale o per aggiunta.
7. E’ fondato, invece, il terzo motivo relativo al trattamento sanzionatorio. All’epoca dei fatti, ovvero il 2016, il reato dell’art. 8 era punito con la stessa pena prevista per il reato
dell’art. 2, che andava da un anno e sei mesi di reclusione a sei anni di reclusione. La Corte territoriale ha ritenuto, in seguito all’assoluzione di COGNOME dal reato del capo 3), relativo all’art. 2, che la pena base del reato del capo 2), relativo all’art. 8, dovesse essere calcolata comunque in anni due di reclusione, cioŁ nella medesima misura prevista per il reato piø grave dell’art. 2, avuto riguardo all’entità dell’evasione, pari a 664.250 euro per le imposte dirette e a 146.135 per l’IVA, laddove la fattura rilevante per il reato dell’art. 8 Ł pari ad euro 305.000.
Non apparendo dunque tale scelta congruamente motivata quanto ai criteri di cui all’art. 133 cod., si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente a tale profilo.
GLYPH P.Q.M.
Così deciso, il 21 maggio 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME