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Concorso reati associativi: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La sentenza affronta il tema del concorso tra reati associativi, specificamente tra l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e quella finalizzata al narcotraffico, ribadendo la possibilità della loro coesistenza. Il ricorso è stato respinto per genericità e per la mancata critica alle motivazioni del provvedimento impugnato, confermando la solidità del quadro indiziario a carico del ricorrente.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso reati associativi: la Cassazione fa il punto tra mafia e narcotraffico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8926 del 2025, offre un’importante occasione per approfondire il tema del concorso tra reati associativi, in particolare la distinzione e la possibile coesistenza tra l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso di un indagato, ha ribadito principi giurisprudenziali consolidati e sottolineato i requisiti di specificità necessari per l’impugnazione in sede di legittimità.

I fatti del processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto avverso un’ordinanza del Tribunale che confermava la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. L’indagato era accusato di far parte di un’associazione di tipo mafioso e, contestualmente, di avere un ruolo organizzativo in un sottogruppo dedicato specificamente al narcotraffico, oltre a una serie di altri reati-fine.

I motivi del ricorso

La difesa ha articolato il ricorso su quattro motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione sul reato di associazione mafiosa: Si contestava la gravità indiziaria, sostenendo che il quadro probatorio fosse immutato rispetto a una precedente ordinanza in cui tali indizi erano stati esclusi. Si lamentava, inoltre, l’insufficienza degli elementi a sostegno della continuità della partecipazione al sodalizio.
2. Carenza di motivazione sul ruolo di organizzatore nel narcotraffico: La difesa deduceva la mancanza di prove circa l’esistenza di una struttura criminale autonoma rispetto a quella mafiosa e contestava il ruolo attribuito al ricorrente, basato principalmente su messaggi di testo e su un singolo episodio di spaccio.
3. Vizio di motivazione sugli altri reati-fine: Si criticava l’interpretazione dei messaggi intercettati, ritenuta l’unica fonte di prova per numerosi altri delitti contestati.
4. Insussistenza delle esigenze cautelari: Infine, si contestava l’attualità delle esigenze cautelari, data la risalenza nel tempo dei precedenti penali valorizzati dal Tribunale.

La decisione della Corte di Cassazione e il concorso tra reati associativi

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione si fonda su argomentazioni sia procedurali che di merito, fornendo chiarimenti cruciali sul concorso tra reati associativi.

L’inammissibilità per genericità e reiterazione

La Corte ha preliminarmente qualificato i primi due motivi di ricorso come generici e meramente reiterativi di questioni già sollevate e decise in sede di riesame. Il ricorrente, secondo i giudici, non si è confrontato criticamente con la motivazione del Tribunale, che aveva valorizzato nuovi elementi indiziari emersi successivamente alla prima ordinanza cautelare. Tra questi, messaggi intercorsi con un altro esponente del clan relativi all’organizzazione di attività intimidatorie e al controllo del racket delle estorsioni, elementi che delineavano chiaramente il ruolo del ricorrente all’interno del sodalizio mafioso.

Il principio del concorso tra associazione mafiosa e narcotraffico

Il punto giuridicamente più rilevante della sentenza riguarda il secondo motivo di ricorso. La Corte ha ribadito un principio consolidato, secondo cui i reati di associazione per delinquere (anche di stampo mafioso) concorrono con il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

L’elemento distintivo dell’associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) risiede nel suo profilo programmatico: l’uso del metodo mafioso per imporre una sfera di dominio sul territorio. Questa operatività non è limitata a un singolo settore, come il narcotraffico, ma si estende al controllo di attività economiche, appalti, servizi pubblici e all’ingerenza nel processo democratico.

Di conseguenza, il concorso tra i due reati è configurabile quando il sodalizio mafioso struttura al suo interno un assetto organizzativo specificamente dedicato e funzionale al narcotraffico. Ciò è possibile anche se la compagine sociale delle due associazioni coincide in parte o del tutto, poiché il rilievo preminente va attribuito all’esistenza di un’organizzazione riconoscibile e distinta per il traffico di droga, con una propria attribuzione di ruoli.

Le motivazioni

Nel dettaglio, la Suprema Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale immune da vizi logici e giuridici. Per quanto riguarda l’associazione finalizzata al narcotraffico, il Tribunale aveva correttamente desunto la partecipazione del ricorrente da una serie di elementi indiziari specifici:
* Il suo rapporto diretto con uno dei luogotenenti del capo del sodalizio, con cui pianificava spedizioni punitive.
Il suo rapporto con un altro sodale, considerato un pusher* interno al gruppo, a cui impartiva direttive.
* Contatti relativi a una fornitura di droga che ha portato al sequestro di 114 grammi di cocaina.
* Messaggi di avvertimento ricevuti da un altro indagato sulla necessità di usare cautele (come reperire schede telefoniche ‘pulite’) perché sotto controllo.

Questi elementi, nel loro complesso, non configurano un coinvolgimento occasionale, ma un’adesione stabile e consapevole al sodalizio dedito al narcotraffico. La Corte ha inoltre giudicato inammissibili gli altri motivi di ricorso: il terzo per assoluta genericità, e il quarto per manifesta infondatezza, avendo il Tribunale correttamente motivato la sussistenza e l’attualità delle esigenze cautelari sulla base della gravità intrinseca dei reati, delle modalità allarmanti delle condotte e dell’assenza di elementi che indicassero una rescissione dei legami con l’ambiente mafioso.

Conclusioni

La sentenza in esame conferma due importanti principi. In primo luogo, consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla piena configurabilità del concorso tra reati associativi di tipo mafioso e di narcotraffico, qualora siano presenti distinte strutture organizzative e finalità parzialmente diverse, sebbene riconducibili a un unico vertice. In secondo luogo, ribadisce un fondamentale canone processuale: il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito e deve contenere censure specifiche e critiche rivolte alla logica giuridica del provvedimento impugnato, non potendosi limitare a riproporre le medesime argomentazioni già respinte nelle fasi precedenti.

È possibile essere accusati contemporaneamente di associazione di tipo mafioso e di associazione finalizzata al narcotraffico?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che i due reati possono concorrere. Ciò avviene quando il sodalizio mafioso, oltre ai suoi scopi di controllo del territorio, struttura al suo interno un’organizzazione specificamente dedicata al narcotraffico, anche con coincidenza di membri.

Qual è l’elemento che distingue un’associazione mafiosa da una dedita al narcotraffico?
L’elemento caratterizzante l’associazione mafiosa è il profilo programmatico dell’utilizzo del metodo mafioso (intimidazione, omertà) per imporre un dominio sul territorio, esteso a vari settori (economici, appalti, elezioni), e non limitato al solo traffico di stupefacenti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per genericità e perché si limitava a reiterare le stesse questioni già respinte dal Tribunale del riesame, senza confrontarsi criticamente con la motivazione del provvedimento impugnato, che si basava su solidi elementi indiziari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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