Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7000 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 7000  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, n. Nocera Inferiore INDIRIZZOSa) DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Nocera Inferiore INDIRIZZO) DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Tricase INDIRIZZOLe) DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Firenze DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Nocera Inferiore INDIRIZZO) DATA_NASCITA
NOME, n. Napoli DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Nocera Inferiore INDIRIZZO) DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Montevideo (Uruguay) DATA_NASCITA
avverso la sentenza n. 546/23 della Corte di appello di Salerno del 04/04/2023
letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; sentito il pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
sentiti per i ricorrenti, l’AVV_NOTAIO per COGNOME e COGNOME; l’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME per il solo COGNOME; l’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME; l’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME per COGNOME; l’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME per COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente patrocinati
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Salerno, accogliendo l’impugnazione del Pubblico Ministero, ha largamente riformato la decisione di primo grado emessa con rito abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Salerno in data 09/05/2022, nei termini che seguono:
ha dichiarato NOME COGNOME, assolto dall’addebito in primo grado, colpevole del reato ascrittogli al capo 1 dell’imputazione (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990) ritenuto avvinto dal vincolo della continuazione con quelli di cui ai capi 3 e 4 (artt. 73, comma 1 e 80, comma 2, d.P.R. cit.), condannandolo alla maggior pena ritenuta di giustizia oltre alla misura di sicurezza della libertà vigilata per durata di un anno;
ha dichiarato NOME COGNOME, assolto dagli addebiti in primo grado, colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1 (esclusa la qualifica di organizzatore), (ritenuto il tentativo) e 4 (escluse le aggravanti contestate), ritenuti avvinti dal continuazione, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti;
ha dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME, assolti dagli addebiti in primo grado, colpevoli dei reati di cui ai capi 1 (esclusa per il primo la qualific di organizzatore), 3 (ritenuto il tentativo) e 4 (escluse le aggravanti contestate), ritenuti avvinti per continuazione a quello di cui al capo 5 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2 cit.), condannandoli alla maggior pena ritenuta di giustizia, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti;
ha dichiarato NOME COGNOME, assolto in primo grado dall’addebito, colpevole del reato di cui al capo 4 (escluse le aggravanti contestate), ritenuto
avvinto a quello di cui al capo 5 (esclusa l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2 cit.), condannandolo alla maggior pena ritenuta di giustizia;
ha ridotto la misura delle pene rispettivamente riportate in primo grado da NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al reato loro ascritto al capo 5, esclusa l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2 cit.;
ha ridotto l’entità della pena inflitta a NOME COGNOME in relazione al medesimo reato di cui al capo 5 ed esclusa l’aggravante suddetta, lo ha condannato alla misura ritenuta di giustizia, con revoca e/o modifica delle pene accessorie;
ha confermato la sentenza di primo grado in ordine alla condanna di altri imputati, oggi non ricorrenti, per il reato di cui al capo 8 (pianificazione dell importazione di 1 kg di cocaina dal Brasile).
I fatti di partecipazione all’associazione dedita al traffico illecito di sostan stupefacenti e di commissione dei più rilevanti reati scopo risalgono al periodo compreso tra i mesi di novembre 2018 e marzo 2019, in concomitanza prima al tentativo (capo 3) di importare dalla Colombia circa 32 kg. di cocaina occultati all’interno di un container caricato su nave diretta al porto di Vado Ligure (Sv), quindi all’importazione, ancora dalla Colombia, di almeno 18 kg di cocaina occultata in un container viaggiante su nave diretta al porto di Salerno, luogo di esecuzione del sequestro ad opera della Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza; avulso dall’ipotesi associativa è, invece, l’episodio riguardante l’intermediazione nell’acquisto di 2 kg. di cocaina ai fini della cessione al ricorrente NOME COGNOME.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i predetti imputati che deducono i motivi di seguito esposti in forma riassuntiva (art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.)
Ricorso congiunto di COGNOME NOME e COGNOME NOME I ricorrenti formulano quattro motivi d’impugnazione.
2.1. Violazione di legge penale in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla dedotta insussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo e vizi congiunti di motivazione sul punto.
In assenza di qualsivoglia elemento di novità istruttoria, la Corte di appello ha fornito una rilettura discrezionale del materiale probatorio già oggetto di valutazione in primo grado, giungendo a conclusioni non condivisibili, come tali danti luogo a motivazione contraddittoria e manifestamente illogica.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui ai capi 3 (riguardante il solo ricorrente
COGNOME) e 4 dell’imputazione per impossibilità dell’oggetto e vizi congiunti di motivazione sul punto.
Dalle intercettazioni emerge, invero, che solo dopo che l’accordo per l’invio della sostanza stupefacente dalla Colombia tra il NOME ed il NOME era stato raggiunto, quest’ultimo mise al corrente dell’operazione di importazione COGNOME, COGNOME ed COGNOME, dal che consegue che nessun contributo materiale e morale il ricorrente poté fornire all’operazione di tentata e non riuscita importazione della droga attraverso il porto di Vado Ligure.
L’oggetto materiale dell’azione ascritta all’imputato, ovvero la disponibilità della droga, era, infatti, inesistente e l’oggetto è rimasto impossibile.
Analoghe considerazioni riguardano il reato contestato al capo 4, posto che dalle risultanze istruttorie emerge che l’accordo d’importazione riguardò soltanto NOME e il suddetto NOME, con esclusione di qualsiasi coinvolgimento dei ricorrenti, che al più avrebbero dovuto occuparsi delle operazioni logistiche sottese all’uscita dal porto di Salerno.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 114 cod. pen. ed al mancato riconoscimento dell’attenuante del contributo di minima importanza in relazione al reato di cui al capo 5 e vizi congiunti di motivazione sul punto.
Il ricorrente COGNOME ha avuto un coinvolgimento solo ideativo ed in prospettiva nella vicenda, mai tradottosi in termini pratici, non essendo emersa prova né della sua partecipazione agli appostamenti preparatori esplorativi né della prenotazione dell’hotel per l’alloggiamento degli autori del reato.
La Corte di merito ha riconosciuto la responsabilità del ricorrente sulla base di mere supposizioni e ragionamenti illogici che non trovano alcun fondamento e/o riscontro nelle risultanze probatorie.
2.4. Vizi congiunti di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche in favore del ricorrente COGNOME ed alla mancata applicazione delle stesse in prevalenza per il ricorrente COGNOME, non avendo la Corte di merito valutato adeguatamente l’atteggiamento collaborativo e di piena resipiscenza del primo già dinanzi al G.i.p. nonché le ammissioni rese dal secondo in sede di indagini preliminari.
2.5. Il ricorrente NOME COGNOME affida l’impugnazione anche ad un secondo atto di ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, che consta di un unico motivo.
Violazione dell’art. 110 cod. pen. in relazione al ritenuto concorso nel delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo 4 della rubrica e motivazione contraddittoria sul punto.
Si deduce che la Corte territoriale ha contraddittoriamente riconosciuto la
responsabilità dell’imputato per un reato consumato a fronte di una condotta che la stessa Corte ha qualificato come “tentativo di recupero” rivelatosi, peraltro, inutile.
Ricorso congiunto di COGNOME NOME e COGNOME NOME I ricorrenti formulano due motivi d’impugnazione.
3.1. Erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione in relazione alla mancata applicazione delle pur riconosciute attenuanti generiche in prevalenza all’aggravante del fatto commesso da almeno cinque persone (art. 73, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990) riferita al delitto ascritto ai ricorrenti al capo 5 dell’imputazione, in ragione anche della piena confessione dagli stessi resa.
3.2. Violazione di legge e vizi congiunti di motivazione riguardo allo stesso punto, sotto il profilo della illogica valorizzazione della disponibilità che ricorrenti avrebbero manifestato ad agevolare le operazioni di recupero della droga, dalla Corte di merito ingiustificatamente ritenuta ostativa ad una applicazione in prevalenza delle attenuanti innominate.
4. Ricorso di COGNOME NOME
Il ricorrente articola quattro motivi d’impugnazione.
4.1. Erronea applicazione di legge penale ed assenza di motivazione con riferimento agli artt. 193 e 533 cod. proc. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla ritenuta identificazione quale acquirente della sostanza stupefacente di cui al reato contestato al capo 5 dell’imputazione, sotto il profilo del travisamento di dati probatori di diversa natura (tabulati telefonici, abbinamento alla propria persona di una determinata utenza telefonica, supposto riconoscimento nato dagli investigatori).
.· 4.2. Vengono medesimi vizi relativi allo stesso capo della sentenza sotto il profilo dell’inesatta ricostruzione del fatto storico, rifluente in maniera dirett sulla consumazione del reato, in realtà mai avvenuta.
4.3. In via subordinata, violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’errata applicazione dell’aggravante di cui all’art. 112 cod. pen., risultando dagli atti processuali che il ricorrente ebbe al più contatti con un solo interlocutore.
4.4. Violazione di legge penale e vizio di motivazione quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio in relazione alla specificità del fatto e con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l’atteggiamento collaborativo da subito mostrato, anche
mediante la partecipazione a tutte le udienze del procedimento.
5. Ricorso di COGNOME NOME
Il ricorrente formula quattro motivi di censura.
5.1. La Corte territoriale ha ribaltato l’esito assolutorio del giudizio di primo grado, su appello del PM, in relazione ai capi 1 (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), 2 (art. 73 importazione di kg. 32 di cocaina) e 3 (art. 73 d.P.R. cit. importazione di 18 kg di cocaina) sulla base di una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una sentenza di colpevolezza, in assenza di una motivazione dotata di forza persuasiva superiore e a fronte di numerose risultanze probatorie, partitamente elencate (pag. 11-17 ricorso), deponenti per l’assenza di responsabilità dello imputato.
5.2. Alle medesime conclusioni la Corte territoriale è pervenuta con riferimento al reato di cui al capo 4, riguardante l’importazione della cocaina attraverso il porto di Salerno.
5.3. Il primo giudice ha escluso la sussistenza del reato associativo per la mancanza di risorse umane e materiali adeguate ad una credibile attuazione del piano criminale, attestata tra l’altro da varie intercettazioni telefoniche e comprovata dai numerosi fallimenti di recuperare la sostanza stupefacente dai porti di Vado Ligure e di Salerno, mentre, ribaltando la pronuncia assolutoria del primo giudice, la Corte territoriale ha argomentato contro l’evidenza del dato probatorio.
5.4. Violazione dell’art. 192, comma 2 in relazione all’art. 546, lett. e, cod. proc. pen. in relazione all’ipotesi di cessione di 2 kg. di cocaina (capo 5), con affermazione di responsabilità basata su prove meramente indiziarie.
6. Ricorso congiunto di NOME e COGNOME NOME
I ricorrenti formulano nove motivi di doglianza, alcuni comuni, altri riferiti all rispettive posizioni processuali.
6.1. Violazione di legge processuale in relazione all’art. 581 cod. proc. pen. stante l’inammissibilità dell’atto di appello del Pubblico Ministero.
Con riferimento al ricorrente COGNOME, il Pubblico Ministero non ha svolto alcuna considerazione per confutare l’assoluzione relativa al capo 4 dell’imputazione e si è limitato a poche notazioni con riferimento al capo 3; al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 viene, inoltre, dedicata una sola pagina dell’atto di impugnazione, invitando la Corte di merito a fare proprie le argomentazioni dei giudici del subprocedimento cautelare (G.i.p. e Tribunale del riesa me).
6.2. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 266, 267, 268 cod. proc. pen. stante l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telematiche dispositivi in uso a NOME per violazione degli artt. 51, comma 3-bis e 3quater cod. proc. pen. in riferimento all’art. 266, comma 2-bis e 271 e 191 cod. proc. pen. e vizi di motivazione sul punto.
Il motivo di doglianza riguarda entrambi i ricorrenti e denuncia l’assenza di motivazione in ordine al collegamento tra l’allora intercettando NOME COGNOME con l’indagine allora in corso per contrabbando in forma associata di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973) e la necessità che la qualificazione del fatto – reato ricompreso nella nozione di criminalità organizzata -deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso.
Il decreto di autorizzazione avrebbe, inoltre, dovuto, in materia di captatore informatico dar conto delle ragioni che imponevano l’intercettazione di una determinata utenza telefonica facente capo ad una specifica persona (NOME) ed i suoi collegamenti con l’indagine in atto.
6.3. Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 56 e 49, secondo comma, cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con riferimento al reato contestato al capo 3 dell’imputazione riguardante l’importazione di 32 kg. di cocaina destinati al porto di Vado Ligure.
Il motivo di doglianza riguarda entrambi i ricorrenti e denuncia l’assenza di un quadro probatorio sufficiente ad affermarne la responsabilità sia pure a titolo di tentativo, dal momento che il carico di 32 kg di sostanza stupefacente non è stato né rinvenuto né sequestrato, non potendosi così dire realizzato il proposito criminoso.
Da nessuno degli elementi di prova acquisiti è emerso che fosse intervenuto un accordo tra il NOME ed il suo interlocutore NOME, posto che dalle telefonate intercettate emerge unicamente che “un recupero di sostanza” avrebbe avuto luogo solo quando il carico fosse “atterrato in Italia”.
Si è, pertanto, determinata l’ipotesi del reato impossibile per difetto dello elemento oggettivo del reato.
6.4. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta circostanza aggravante della quantità ingente ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, in assenza di sequestro del carico e nell’impossibilità di fornire riscontro circa la quantità di sostanza stupefacente presente all’interno del container contrassegnato dal n. NUMERO_DOCUMENTO, sottoposto per due volte a perquisizione dalla Guardia di Finanza con esito negativo.
6.5. Vizio di motivazione in riferimento alla omessa motivazione rafforzata per procedere alla condanna di COGNOME NOME.
6.6. Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 contestata al capo 4 (importazione di 18 kg. di cocaina attraverso il porto di Salerno), atteso che dalle risultanze probatorie emerge come nessuno dei due ricorrenti avessely investito denaro nel carico sequestro, non conoscendone neppure l’entità.
6.7. Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 74 d.P.R. cit.
Le prove acquisite al giudizio hanno evidenziato l’assenza di un qualsivoglia accordo tra gli imputati per la creazione di una stabile struttura collettiva atta a perseguire un programma criminoso indeterminato per un lasso di tempo apprezzabile.
6.8. Erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle pur riconosciute circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, come avvenuto in primo grado e alla illegittima loro riduzione, in violazione del divieto di reformatio in peius, in misura inferiore ad un terzo in assenza di specifico appello del Pubblico Ministero sul punto.
6.9. Il motivo di doglianza investe la posizione del solo ricorrente COGNOME NOME e denuncia la mancata applicazione delle pur riconosciute circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, nonostante la confessione resa dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutti i ricorsi – ad eccezione di quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME, che va accolto parzialmente per quanto più oltre si dirà – vanno dichiarati inammissibili perché basati per lo più su motivi improponibili in sede di legittimità o comunque manifestamente infondati.
Come anticipato, l’impugnata sentenza d’appello ha ampiamente ribaltato l’esito assolutorio del giudizio di primo grado all’esito del quale il G.u.p. di Salerno aveva escluso la sussistenza del reato associativo (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, capo 1), sull’assunto che il gruppo dei presunti associati non
disponesse delle risorse umane e materiali adeguate ad una credibile attuazione del programma criminale, come attestato dai fallimentari tentativi compiuti per recuperare la droga spedita dai fornitori sudamericani in container navali (capo 3, con riferimento alla mancata ricezione di 32 kg. di cocaina spediti dalla Colombia su container in arrivo nel porto di Vado Ligure e capo 4 con riferimento ai 18 kg di droga sequestrati dalla Guardia di Finanza nel porto di Salerno).
Il G.u.p. aveva, invece, ritenuto il solo imputato NOME COGNOME responsabile di avere pattuito l’acquisto delle due partite di cocaina (capi 3 e 4), mediante conclusione dell’accordo di spedizione con il fornitore NOME COGNOME (NOME), fratello di una sua fidanzata colombiana, concludendo coerentemente nel senso che i correi avessero posto in essere condotte successive all’accordo stesso e come tali meramente preparatorie di tentativi di recupero della droga non andati a buon fine.
Il giudicante del primo grado aveva, invece, ravvisato la responsabilità degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME riguardo alla condotta descritta al capo 5, estranea al programma associativo ipotizzato dal Pubblico Ministero e circoscritta alla cessione al COGNOME del quantitativo di 2 kg. di cocaina a fini di successiva rivendita nel luogo di provenienza dell’acquirente (Salento).
Accogliendo l’appello della pubblica accusa, ritenuto specifico e come tale ammissibile, giusta motivazione congrua al riguardo (v. pag. 49 e segg. sent.), la Corte d’appello ha, per contro, operato una qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi 1, 3 e 4 radicalmente diversa, articolando di necessità una motivazione rafforzata a sostegno del ribaltamento delle pronunce assolutorie.
La Corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto che non solo il NOME (parzialmente reo confesso), ma anche gli altri imputati (due dei quali anch’essi autori di dichiarazioni confessorie) fossero responsabili delle condotte contestate ai capi 3 e 4, nel primo caso (kg. 32 di cocaina non recuperati) di tentata importazione della sostanza stupefacente e nel secondo (kg. 18 sequestrati a Salerno) di importazione consumata, rilevando come in quest’ultimo tutti i sodali fossero stati previamente allertati dell’arrivo della spedizione e dopo l’arrivo della nave avessero messo in atto manovre volte al recupero della sostanza (condotte susseguenti non punibili ma indicative del concorso nell’importazione), essendo rimasti all’oscuro della circostanza che la Guardia di Finanza aveva nel frattempo sequestrato la droga sulla scorta di quanto appreso in tempo reale dalle intercettazioni telefoniche in atto.
Tali manovre avevano visto anche il supporto logistico fornito da due ladri di professione nordafricani (tali NOME NOME), inviati a Salerno dal
referente colombiano dei fornitori di droga (tale NOME COGNOME), i quali con il supporto del proprietario di un’imbarcazione leggera erano stati nottetempo introdotti nell’area portuale dove avevano dovuto, però, prendere atto dell’assenza della droga nel container in cui avrebbe dovuto trovarsi.
Sulla scorta dei risultati delle intercettazioni telefoniche relative alla prima operazione e di quelle riguardanti la seconda, oltre a quanto verificato nel corso di servizi di osservazione, controllo e pedinamento (OCP), la Corte di appello ha, pertanto, ritenuto che dette operazioni abbiano costituito l’attuazione, per quanto fallimentare, di una parte del programma criminoso, reputando sussistente il reato associativo e di conseguenza rideterminando completamente le pene inflitte dal primo giudice.
Il breve riassunto dei fatti oggetto di contestazione si rende necessario al fine non solo di comprendere compiutamente il senso del ribaltamento dell’esito (largamente) assolutorio del giudizio di primo grado, ma anche di stabilire le diverse valutazioni in diritto operate dalla Corte d’appello e per relationem la portata e soprattutto la natura delle doglianze difensive espresse con i motivi di ricorso.
Tutto ciò premesso, l’unico profilo di (effettiva) violazione di legge proposto nei ricorsi, considerati nel loro complesso, riguarda la dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche condotte mediante captatore informatico (motivo n. 2 del ricorso congiunto COGNOME–COGNOME) e avviate originariamente nei confronti di tale NOME COGNOME, indagato per il delitto di associazione criminale dedita al contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui all’art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973 e che portava al sequestro nel porto di Salerno di 9.448 kg di t.l.e. in data 27 marzo 2018.
Risulta, inoltre, dalla sentenza impugnata come tale COGNOME fosse il soggetto cui l’odierno ricorrente NOME COGNOME si era in origine infruttuosamente rivolto al fine di recuperare i 32 kg. di cocaina nel porto di Vado Ligure.
Dall’analisi del traffico telefonico del dispositivo in uso al COGNOME emergeva, infatti, una costante frequenza di contatti con un dispositivo telefonico cellulare in uso a soggetto successivamente identificato proprio nel NOME, il cui nominativo veniva alla fine iscritto nel registro degli indagati per i reati di cui agl artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Risulta, pertanto, all’evidenza destituita di fondamento la doglianza formulata con il secondo motivo del ricorso congiunto NOME – COGNOME (punto 6.2. del ritenuto in fatto)
Anche con riferimento all’epoca di avvio delle intercettazioni, per quanto
anteriore all’emanazione del decreto – legge 30 aprile 2020 n. 28 conv. con modif. nella legge 25 giugno 2020, n. 70, l’esecuzione mediante captatore informatico era, infatti, pienamente consentita sulla base dell’art. 13 della legge n. 203 del 1991, essendo stata disposta per reati di criminalità organizzata, atteso che il delitto di cui all’art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973 faceva già parte del novero di quelli ricompresi nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., rispondendo, pertanto, le operazioni di captazione anche ai criteri di legittimità individuati dalla nota decisione delle Sezioni Unite n. 26689 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266906.
Quanto al collegamento tra il NOME e il reato per il quale si stava procedendo, è noto che l’art. 13 subordina l’esecuzione delle intercettazioni alla sussistenza di sufficienti indizi di reato e non di colpevolezza, talché l’ipotizzato collegamento – oltre tutto pienamente confermato dallo sviluppo successivo delle indagini – tra l’attività delittuosa ascrivibile all’originario indagato COGNOME ed il soggetto non identificato che si sarebbe rivelato per il NOME NOME appariva ben chiaro.
Detto della questione procedurale, gran parte dei restanti motivi risultano manifestamente infondati e per lo più declinati in fatto, con la menzionata eccezione della posizione del ricorrente COGNOME.
4.1. Come anticipato, la sussistenza del reato associativo è stata ritenuta dalla Corte di merito, ferma la ricostruzione dei fatti come accertati, sulla scorta di una diversa valutazione in iure delle condotte rispettivamente ascritte agli imputati, così come per il concorso nei reati scopo sub 3 e 4 dell’editto d’accusa.
Risultano pertanto improponibili i ricorsi proposti dagli imputati
COGNOME: motivi 1, 2 del ricorso congiunto (con COGNOME)
COGNOME: motivi 1, 2, 3
NOME: motivi 3, 4, 5, 6, 7 del ricorso congiunto (con COGNOME)
COGNOME: motivi 3, 4, 5, 6, 7 del ricorso congiunto (con NOME)
in quanto declinati in punto di mero fatto e rivolti a contestare il diverso apprezzamento delle risultanze probatorie operato dalla Corte di merito, sulla scorta di una motivazione tesa specificamente confutare le differenti valutazioni del giudice di primo grado e come tale pienamente rispondente ai canoni della cd. motivazione rafforzata definiti dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430; Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808).
La motivazione rafforzata (motivo dedotto al punto 5.1. dal ricorrente COGNOME e al punto 6.5. dal ricorrente COGNOME) è, del resto, connaturata alla radicale diversità d’impostazione della qualificazione giuridica delle condotte, così da non
rendere necessaria alcuna rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, punto sul quale non è stata, peraltro, formulata alcuna censura.
Inoltre, dal momento che l’affermazione del principio risponde alla necessità di ribadire la delimitazione dei confini del vaglio di legittimità – operazione indispensabile ai fini del corretto funzionamento della Corte di cassazione e dell’espletamento delle relative finalità istituzionali – la sua giurisprudenza ripete costantemente che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato ad essa demandato limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Esula, pertanto, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ad al., Rv. 207944).
4.2. Inammissibili risultano anche le doglianze in tema di reato impossibile (art. 49 cod. pen.), poiché in realtà vertenti propriamente sul profilo di fatto del mancato recupero dei carichi di droga dai porti di programmato arrivo in Italia e sulla relativa conseguente qualificazione giuridica.
Sul tema, la Corte di appello ha congruamente argomentato, con argomenti insuscettibili di critica sul piano logico, nel senso della sussistenza del concorso in una tentata importazione di droga punibile (capo 3) e dell’importazione compiuta di una partita effettivamente arrivata nel territorio nazionale (partita di circa 18 kg. di cocaina sequestrata a Salerno); nel primo caso è stata, inoltre, ritenuta sussistente anche l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. cit. (configurabile anche in presenza di tentativo punibile, Sez. 4, n. 13266 del 07/12/2022, dep. 2023, Turchetta Rv. 284367; Sez. 3 n. 6021 del 19/10/2016, dep. 2017, COGNOME e al., Rv. 268949) per via delle successive confessioni di alcuni imputati sulla circostanza che il carico atteso era proprio di 32 kg. (NOME) o quanto meno di circa 30 kg. (COGNOME ed COGNOME).
4.3. Improponibili si  rivelano anche le questioni in tema di attenuanti generiche (per i ricorrenti COGNOME e COGNOME costituenti oggetto esclusivo del ricorso congiuntamente proposto), non concesse o non applicate in prevalenza,
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dal momento che le stesse non evocano alcun profilo di illegalità della pena, risolvendosi in una mera critica alla discrezionalità del giudice di merito di determinare il trattamento sanzionatorio, nella specie sempre adeguatamente motivata.
4.4. Inammissibili perché declinate in punto di fatto risultano anche le censure formulate dai ricorrenti COGNOME (punti da 4.1. a 4.4.) ed COGNOME (punto 5.4.) in relazione alla ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui al capo 5.
L’evocazione del travisamento del fatto di elementi probatori di diversa natura (tabulati telefonici, abbinamento alla persona dell’imputato COGNOME di una determinata utenza telefonica, riconoscimento operato dagli investigatori), la deduzione di inesatta ricostruzione del fatto storico o dell’insussistenza di plurimi contatti tra il COGNOME ed i correi nel delitto, rifluente sulla asseritamente erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 112 cod. pen., costituiscono, infatti, tutti aspetti di una non consentita reinterpretazione delle risultanze probatorie, non rientrante – come sopra ricordato – nelle attribuzioni della Corte di cassazione.
4.5. A seguito del ribaltamento della pronuncia assolutoria per il delitto associativo, la Corte d’appello ha, infine, proceduto ad una radicale rideterminazione del trattamento sanzionatorio, dovendo assumere quello di cui all’art. 74 quale reato più grave; risulta, pertanto, manifestamente infondato il motivo (6.8.) articolato dai ricorrenti COGNOME e COGNOME, evocante la violazione del divieto di reformatio in peius, peraltro limitatamente alla minore entità della riduzione della pena base a titolo di attenuanti generiche, avendo il giudice d’appello dovuto tenere conto anche della condanna per gli ulteriori reati di cui ai capi 3 e 4.
Deve, invece, essere accolta l’impugnazione proposta dal ricorrente NOME COGNOME nei limiti delle considerazioni che seguono.
Con riferimento al ribadito suo concorso nella consumazione del delitto di cui al capo 4 (importazione di 18 kg. di cocaina, poi oggetto di sequestro nel porto di Salerno), nella sentenza impugnata è dato leggere che l’imputato NOME aveva preventivamente avvisato dell’arrivo del carico i correi COGNOME, COGNOME ed COGNOME (pag. 60 primo cpv. e pag. 61, terzo cpv.), ma non COGNOME, in quanto “coinvolto in un secondo momento” (pag. 60, penult. rigo).
Al riguardo sostiene correttamente la difesa che, ad importazione già avvenuta, il tentativo di recupero si configurerebbe per lui come un post factum
non punibile o al massimo qualificabile in termini di favoreggiamento (art. 378 cod. pen.).
Ora appare evidente come il profilo dell’esatto inquadramento giuridico della condotta dipenda in realtà dalla sussistenza o meno di un quadro probatorio e di una corrispondente motivazione che nel caso di ritenuta rilevanza penale dia contezza in maniera non contraddittoria o illogica della partecipazione del ricorrente alla fase ideativa delle operazioni di importazione, mentre in caso contrario ne escluda la compartecipazione, anche solo animo, all’importazione o al suo tentativo nel territorio nazionale.
Non senza dimenticare che il compendio probatorio sul punto è costituito esclusivamente dalle risultanze delle operazioni di intercettazione condotte sugli apparati telefonici degli indagati.
Allo stato, pertanto, la ribadita affermazione di compartecipazione del ricorrente COGNOME al delitto di cui al capo 4 resta affidata ad una motivazione palesemente contraddittoria, nei termini prima sinteticamente riportati, che impone l’annullamento della sentenza sul capo ed il rinvio per nuovo giudizio ad altra Corte di appello territoriale.
Vanno, invece, rigettati perché infondati i motivi di ricorso formulati dallo stesso ricorrente in tema di delitto associativo e di quello di cui al capo 3 per le ragioni in precedenza indicate.
Risultano, infine, assorbite dalla natura della pronuncia le censure in tema di mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. nonché di quelle generiche (motivi 2.3. e 2.4.), riguardando aspetti che andranno di necessità riconsiderati alla luce del nuovo giudizio sul capo 4.
Alla dichiarazione d’inammissibilità delle impugnazioni proposte da tutti gli altri ricorrenti segue, come per legge, la loro condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro tremila.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo 4 con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli; rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 4 dicembre 2023