Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29449 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29449 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Torino il 16/02/1961
COGNOME NOME nato a Patti il 02/04/1062
3. NOME COGNOME nata in Marocco il 06/03/1976 avverso la sentenza del 16/12/2024 della Corte di appello di Torino visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla continuazione esterna nei confronti di NOME COGNOME ed il rigetto del ricorso nel resto, nonché per il rigetto degli altri ricorsi; udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino ha
parzialmente riformato la sentenza del 14 dicembre 2022 del Tribunale di Torino che, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME quali amministratori della Carigen s.r.l., dichiarata fallita in data 21 dicembre 2015, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in concorso con NOME COGNOME, e documentale, nonché per il reato di bancarotta semplice ed aveva condannato i predetti e NOME COGNOME alle pene ritenute di giustizia, nonché tutti gli imputati eccetto NOME COGNOME al risarcimento del danno in favore della curatela fallimentare della suddetta società, costituitasi parte civile, cui veniva anche assegnata una provvisionale.
In particolare, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di bancarotta semplice perché estinto per prescrizione e ha conseguentemente rideterminato la pena loro inflitta e ha nel resto confermato la sentenza di primo grado.
All’esito del giudizio di appello , NOME COGNOME e NOME COGNOME risultano condannati per avere distratto somme di denaro in favore di vari soggetti, tra i quali anche la RAGIONE_SOCIALE, amministrata da NOME COGNOME, e per avere sottratto o distrutto le scritture contabili allo scopo di assicurarsi l’ingiusto profitto derivato dalle condotte di bancarotta patrimoniale e comunque di arrecare danno ai creditori della società fallita; NOME COGNOME risulta condannata solo per uno degli episodi di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Segnala che egli ha amministrato la società per un breve lasso di tempo, ossia dal 24 novembre 2014 al 21 dicembre 2015, e quando aveva assunto la carica i precedenti amministratori lo avevano tenuto all’oscuro della circostanza che alla società era stata notificata un’intimazione di sfratto ormai esecutiva e gli avevano finanche assicurato che era stato raggiunto un accordo con i proprietari dell’immobile.
In ogni caso, anche laddove si ammettesse, come affermato dalla Corte di appello, che egli aveva operato seguendo le indicazioni del Faranda, nessuna valutazione era stata effettuata in ordine all’elemento soggettivo del reato, occorrendo la consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa. La Corte di merito avrebbe dovuto spiegare se le condotte dello RAGIONE_SOCIALE esprimessero la sua adesione
consapevole e volontaria all’altrui agire illecito o si basassero sulla convinzione che i millantati investimenti e la collaborazione delle banche avrebbero consentito di superare la crisi e risanare l’impresa. Per l’affermazione della sua penale responsabilità era necessario che egli, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, fosse stato quanto meno in grado di prefigurarsi una situazione di pericolo, sia pure remoto ma concreto, per la garanzia patrimoniale dei creditori.
I Giudici del merito non avevano dato conto della sussistenza degli indici di fraudolenza e in particolare non avevano attribuito rilievo: – alla sua estraneità al fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività risalente al 2013; – alla circostanza che egli avesse inviato un telegramma ai soci per invitarli a ricapitalizzare la società o a deliberare la presentazione di una istanza di fallimento, proseguendo l’attività di impresa solo dopo avere ricevuto le loro rassicurazioni in merito agli investimenti; – al suo essere intenzionato a portare avanti attività produttive per la Carigen e improntate a ragionevolezza imprenditoriale; – alla sua inconsapevolezza di porre in essere attività pericolose per l’azienda, essendo stato rassicurato sulla presenza di investitori e sull’aiuto delle banche; – alla collaborazione da lui prestata in favore degli organi fallimentari e degli inquirenti.
La Corte di merito, sostiene il ricorrente, si sarebbe limitata a richiamare, in ordine all’elemento soggettivo, quanto già affermato dalla sentenza di primo grado senza un adeguato confronto con quanto dedotto con i motivi di appello.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Sostiene che per la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale è richiesto il dolo specifico consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori e che anche in relazione a tale punto la Corte di appello si è limitata a ribadire la motivazione della sentenza di primo grado senza dare risposta ai motivi di appello.
In sede di interrogatorio l’imputato, che aveva amministrato per poco tempo la società e non aveva potuto effettuare le necessarie verifiche sulla contabilità, ha affermato di essere stato rassicurato dal precedente amministratore della società, NOME COGNOME e dai soci in ordine alla corretta tenuta della contabilità, affidata ad un commercialista.
Non vi era motivo per il ricorrente di ritenere che vi fossero irregolarità contabili o che vi fosse l’intento di occultarle o sottrarle ai danni dei creditori ; né il dolo specifico poteva desumersi in modo automatico dal ruolo di prestanome assunto dall’imputato.
Egli, al momento dello sfratto, aveva portato la contabilità in un magazzino a Nola ed aveva poi consegnato al curatore tutto quel che aveva reperito.
In particolare, la Corte di merito ha desunto il dolo specifico dalle condotte distrattive senza motivare sul punto.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’applicazione della recidiva semplice.
Il Tribunale, denuncia il ricorrente, ha applicato la recidiva esclusivamente sulla base dell’esistenza dei precedenti penali, pur riconoscendone l’aspecificità e la risalenza nel tempo.
Con l’atto di appello si era evidenziato anche che le pene inflitte con le sentenze di condanna erano state sostituite con la multa e che per una condanna l’imputato era stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali.
Mancando una relazione qualificata per i reati per cui si procede in questa sede ed i precedenti penali, la recidiva non poteva trovare applicazione.
La Corte di appello ha, invece, motivato l’applicazione della recidiva sulla base della callidità dimostrata, senza tenere conto del comportamento tenuto, del tempo trascorso, della occasionalità della ricaduta e del ruolo modesto assunto dall’imputato nella vicenda di cui si discute in questa sede , del comportamento collaborativo da lui tenuto e della resipiscenza manifestata anche versando euro 15.000,00 a titolo di risarcimento del danno.
L’esclusione della recidiva avrebbe permesso all’imputato di godere della sospensione condizionale della pena, non sussistendo cause ostative alla sua applicazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, secondo comma, cod. pen. e vizio di motivazione.
Segnala che la Corte di appello, dichiarando estinto per prescrizione il reato di bancarotta semplice, ha ridotto la pena di sei mesi di reclusione, sebbene il Tribunale non avesse quantificato l’aumento di pena per detto reato , e sostiene che la Corte di appello avrebbe dapprima dovuto rideterminare l’entità dell’aumento di pena per la continuazione con tale reato e poi ridurre in pari misura la pena.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 99 cod. pen., segnalando di essere gravato da uno solo precedente per un delitto, relativo ad una ricettazione risalente al 2003, estintosi per l’indulto del 2006 e sostenendo che per l’applicazione della recidiva non è sufficiente la esistenza del
precedente, occorrendo anche che dal rapporto tra la precedente condanna ed il nuovo reato emerga un’accresciuta inclinazione al delitto che abbia agito come fattore criminogeno per la commissione del nuovo reato, mentre la Corte di merito, nel motivare la recidiva, avrebbe omesso di effettuare un giudizio comparativo tra il reato già giudicato ed il nuovo reato; né tale lacuna può essere colmata dalla motivazione della sentenza di primo grado.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omessa risposta alla richiesta, formulata con i motivi aggiunti, di applicare la continuazione esterna con il reato per il quale è stato condannato con sentenza di applicazione di pena pronunciata in data 14 luglio 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino.
Solo con il passaggio in giudicato della sentenza era stato possibile introdurre, con i motivi nuovi, la richiesta di applicazione della disciplina del reato contunuato.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole dell’omessa considerazione, da parte della Corte di merito, dell’avvenuto risarcimento del danno nella misura di euro 10.000 ad opera dello stesso NOME COGNOME.
Tale condotta, pur non potendo valere, per la sua tardività, ai fini dell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., poteva rilevare, quale condotta successiva al fatto ex art. 133 cod. pen., ai fini della quantificazione della pena e della prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, mentre nella sentenza non se ne fa menzione e non si motiva per spiegare le ragioni della sua ininfluenza.
3.5. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 546, comma 2, lett. e) , cod. proc. pen. per avere la sentenza omesso di menzionare l’avvenuto parziale risarcimento del danno.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento e d articolando un solo motivo di impugnazione con il quale lamenta la violazione degli artt. 216 e 223 l. fall. e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
La ricorrente evidenzia che è stata ritenuta sussistente la sua responsabilità quale concorrente nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dal marito NOME COGNOME per avere ella sottoscritto gli atti di compravendita di alcuni furgoni. NOME COGNOME aveva ammesso di essere stato il sottoscrittore dei contratti e che sua moglie era rimasta all’oscuro dell’accaduto, ma la Corte di merito ha ritenuto provato il concorso nel reato proprio perché coniuge di NOME COGNOME e perché non aveva disconosciuto le sottoscrizioni apposte sui contratti.
Sostiene, quindi, che per la sussistenza del concorso nel reato occorre che sia stato provato un contributo materiale o morale alla commissione del reato e che la prova della responsabilità penale grava sull’accusa.
L’omesso disconoscimento delle sottoscrizioni da parte sua ed il rapporto di coniugio con NOME COGNOME erano elementi che, da soli, non valevano a provare il concorso nel reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è complessivamente infondato.
1.1. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è inammissibile per genericità.
Egli si limita a reiterare con il ricorso per cassazione le doglianze già formulate con l’atto di appello senza confrontarsi con gli argomenti posti a base della sua decisione dalla Corte di appello che (vedi pag. 7 della sentenza di appello) ha ben evidenziato che NOME COGNOME non si è limitato ad assumere la carica di amministratore di diritto della società fallita, disinteressandosi della sua gestione, ma la ha realmente amministrata, sia pure limitandosi a fare quanto di volta in volta gli veniva ordinato da NOME COGNOME sottoscrivendo gli atti di disposizione patrimoniale aventi natura distrattiva, prelevando somme dai contratti bancari intestati alla società per poi destinarle a scopi estranei all’oggetto sociale, come l’acquisto di televisori e altri elettrodomestici che mai sono stati recapitati alla società; in particolare ha sottoscritto con la RAGIONE_SOCIALE il contratto per l’acquisto di tre furgoni sebbene tale acquisto fosse del tutto inutile perché la società era ormai di fatto in una fase liquidatoria e non poteva più coltivare aspettative di una ripresa dell’attività imprenditoriale.
La natura distrattiva delle condotte per le quali NOME COGNOME è stato condannato è così evidente che non poteva sfuggire allo stesso imputato, il quale, operando all’interno della società ed avendo un costante contatto con le maestranze, era al corrente dell’andamento dell’attività di impresa e delle condizioni in cui la società versava.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
È ben vero, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, che l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, primo comma, lett. b) , l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che
presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904 – 01).
Tuttavia, quanto alla bancarotta fraudolenta documentale «specifica», lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Ne consegue che dalla accertata attuazione di condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale ben può trarsi la prova, in difetto di elementi di segno contrario, della finalizzazione della sottrazione delle scritture ad impedire la ricostruzione della gestione e con essa delle condotte distrattive.
Le violazioni di legge ed i vizi motivazionali denunciati dal ricorrente appaiono, pertanto, insussistenti, avendo la Corte di merito correttamente applicato i principi sopra esposti.
1.3. Il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato, avendo la Corte di merito correttamente motivato in ordine all’applicazione della recidiva, ponendo in evidenza il rapporto tra il precedente penale ed il nuovo reato per il quale si procede in questa sede ed illustrando le ragioni per le quali il nuovo reato cos tituisce espressione di un’accresciuta pericolosità criminale.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
2.1. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Il Tribunale del tutto correttamente non ha determinato l’aumento di pena per la continuazione con il reato di bancarotta semplice, atteso che la pluralità delle condotte di bancarotta, anche laddove vi sia compresenza di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249667 – 01) , vale ad integrare l’aggravante di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1, l. fall. e nel caso di specie l’aumento di pena per detta aggravante non è stato applicato perché sono state ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla predetta aggravante ed alla recidiva.
La configurazione formale della cosiddetta continuazione fallimentare, prevista dall’art. 219, secondo comma, n. 1, legge fall., come circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le eventuali attenuanti (Sez. 5, n. 48361 del 17/09/2018, C., Rv. 274182 – 01).
Il Tribunale è quindi partito da una pena base di anni tre e mesi sei di reclusione per la bancarotta fraudolenta, correttamente omettendo di applicare riduzioni o aumenti di detta pena in virtù dell’esito del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, conclusosi in termini di equivalenza.
La Corte di merito, dopo aver dichiarato estinto per prescrizione il reato di bancarotta semplice, avrebbe dovuto procedere ad una rinnovazione del giudizio di bilanciamento tra le attenuanti generiche e l’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta e la recidiva. In particolare, detta aggravante permaneva pur essendo il reato di bancarotta semplice stato dichiarato estinto, in quanto permaneva la penale responsabilità di NOME COGNOME per due condotte di bancarotta fraudolenta, quella patrimoniale e quella documentale, cosicché ben avrebbe potuto anche mantenere ferma la pena, ribadendo l’esito del giudizio di bilanciamento.
In effetti, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che la Corte di appello ha mantenuto fermo l’esito del giudizio di bilanciamento, motivando adeguatamente sul punto, cosicché la riduzione della pena base per il reato di bancarotta fraudolenta appare ingiustificato ed erroneo.
Tuttavia, l’odierno ricorrente non ha interesse a dolersi di tale errore che si è tradotto in un trattamento sanzionatorio per lui più favorevole.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato
Anche con riguardo alla posizione di NOME COGNOME deve ribadirsi che la Corte di merito ha correttamente motivato in ordine all’applicazione della recidiva, ponendo in evidenza il rapporto tra il precedente penale ed il nuovo reato per il quale si procede in questa sede ed illustrando le ragioni per le quali il nuovo reato costituisce espressione di un’accresciuta capacità criminale del ricorrente. A ciò deve aggiungersi che l’indulto è causa estintiva della pena e non del reato, cosicché gli effetti della condanna per reato la cui pena sia stata dichiarata estinta permangono ai fini della recidiva (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, NOME, Rv. 264629 – 01) e della sospensione condizionale (Sez. 1, n. 13990 del 05/03/2020, COGNOME, Rv. 278941 – 01).
2.3. Il terzo motivo è inammissibile.
La sentenza di patteggiamento del 14 luglio 2022 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino è divenuta irrevocabile in data 17 febbraio 2023, ossia dopo la sentenza di primo grado pronunciata nell’ambito del presente procedimento, ma prima che l’odierno ricorrente proponesse appello avverso quest’ultima sentenza, essendo l’atto di gravame datato 27 aprile 2023.
Deve, allora, osservarsi che, come già affermato da questa Corte di cassazione (Sez. 2, n. 7132 del 11/01/2024, COGNOME, Rv. 285991 – 01), «l’orientamento di legittimità favorevole al riconoscimento della c.d.
continuazione esterna in sede di appello con pronunce divenute irrevocabili successivamente l’emissione della pronuncia di primo grado è stato affermato con distinti interventi; si è difatti stabilito che è ammissibile, con la proposizione dei motivi nuovi di appello, la richiesta di applicazione della continuazione criminosa in relazione ad un reato oggetto di sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine di proposizione dell’appello, con cui quindi non è stato possibile dedurla, non operando in siffatta situazione il limite della devoluzione correlato ai capi e punti impugnati perché trattasi, comunque, di una richiesta relativa ad un istituto applicabile in sede di esecuzione, ex art. 671 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 47300 del 29/11/2011 Ud. (dep. 20/12/2011 ) Rv. 251504 – 01; Sez. 2, n. 12068 del 19/12/2014 Ud. (dep. 23/03/2015 ) Rv. 263008 – 01); soluzione, questa, che risulta più recentemente riaffermata da analoga pronuncia (Sez. 2, n. 33098 del 01/07/2021 Rv. 281915 – 01) secondo cui l’ammissibilità della richiesta trova fondamento nella analogia con l’istituto di cui all’art. 671 cod.proc.pen. e nella impossibilità di dedurre tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado l’applicazione del beneficio.
A detto orientamento, che riconnette l’ammissibilità della richiesta della continuazione esterna con altri titoli divenuti irrevocabili solo dopo l’emissione della sentenza di primo grado, alla necessaria proposizione di motivi aggiunti, si affianca il connesso principio secondo cui è conforme all’effetto devolutivo dell’appello la sentenza che omette di pronunciare sulla richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione con altri reati oggetto di titoli pregressi formulata, anziché con l’atto introduttivo, solo in corso di procedimento unitamente alla produzione dei titoli stessi (Sez. 2, n. 10470 del 12/02/2016, Rv. 266655 -01); soluzione questa che trova anche un suo precedente nell’affermazione secondo cui è conforme all’effetto devolutivo dell’appello la sentenza che non si pronunci in ordine al nesso di continuazione, con altro reato già oggetto di condanna irrevocabile, per essere stata la questione prospettata non già con i motivi di appello ma soltanto con la formulazione delle conclusioni (Sez. 2, n. 17077 del 08/02/2011, Rv. 250245 – 01). Si è così anche recentemente chiarito come in tema di giudizio di appello, la richiesta di applicazione della continuazione in relazione a un reato giudicato con sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine per proporre impugnazione è ammissibile solo se avanzata con i motivi nuovi ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., in quanto, ferma restando la sua proponibilità in sede di esecuzione ex art. 671 cod. proc. pen., la relativa questione può essere introdotta nel giudizio di cognizione solo con modalità tali da consentire al giudice di prenderne conoscenza tempestivamente e in maniera adeguata (Sez. 1, n. 6348 del 14/10/2022 -dep. 15/02/2023- Rv. 284409 – 01). Non vi è dubbio
quindi che, stabilito il principio dell’ammissibilità in appello della richiesta di continuazione con condanne sopravvenute, l’applicazione dell’istituto ha trovato una fondamentale limitazione nelle modalità di proposizione dell’istanza, essendosi sottolineato che rimane ferma la proponibilità della richiesta in fase esecutiva come testualmente previsto dall’art. 671 cod.proc.pen.».
Nel caso di specie, l’istanza di applicazione della continuazione esterna risulta tardiva perché proposta solo con i motivi nuovi di appello, pur potendo essere dedotta con l’appello, essendo la sentenza del 14 luglio 2022 passata in giudicato ben prima della scadenza del termine per la proposizione dell’appello e, quindi, in applicazione dei principi sopra esposti, correttamente la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi sull’istanza, che potrà eventualmente essere riproposta al giudice dell’esecuzione.
2.4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte di cassazione ha più volte affermato, in tema di circostanze, che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 4, n. 10379 del 26/03/1990, COGNOME, Rv. 184914; Sez. 1, n. 3163 del 28/11/1988, COGNOME, Rv. 180654).
La Corte di merito, nel motivare la sua decisione, ha fatto riferimento sia alla gravità del fatto, desunta dalle pluralità delle condotte di bancarotta ed al danno che ne è derivato, sia alla personalità del condannato, recidivo e dotato di spiccata capacità criminale.
Quanto alla pena base, essa, per effetto della riduzione operata in conseguenza della estinzione per prescrizione della bancarotta semplice, risulta fissata in misura pari al minimo edittale, come tale insuscettibile di ulteriore riduzione.
2.5. Inammissibile per carenza di interesse è il quinto motivo, atteso che dalla omessa menzione nella sentenza dell’avvenuto risarcimento del danno nella misura parziale di euro 10.000,00 non è derivato, per quanto sopra esposto, alcun pregiudizio per il ricorrente e che l’interesse alla proposizione della impugnazione non consiste nella mera aspirazione all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, dovendo essere rivolto a conseguire un concreto vantaggio (vedi Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269 – 01).
3. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Alla ricorrente, moglie di NOME COGNOME, è stata contestata la partecipazione, quale concorrente esterna, ad un episodio di bancarotta patrimoniale mediante distrazione.
La distrazione sarebbe avvenuta mediante un contratto stipulato dalla fallita con la altra società amministrata da NOME COGNOME ed avente ad oggetto l’acquisto da parte della prima di tre furgoni; successivamente, prima del fallimento, il contratto è stato risolto per l’impossibilità della venditrice di fornire i tre furgoni con impegno di questa di restituire gli acconti ricevuti.
Secondo il Tribunale e la Corte di appello si è trattato di un espediente per distrarre somme della fallita.
NOME COGNOME marito della ricorrente, ha affermato di avere proceduto da solo alla condotta distrattiva e che sua moglie non era a conoscenza di quanto egli stava attuando ai danni della fallita.
I Giudici del merito, nonostante le dichiarazioni autoaccusatorie di NOME COGNOME hanno ritenuto provata la responsabilità di NOME COGNOME sulla base: 1) del vantaggio che il contratto arrecava alla società da lei amministrata; 2) dall’omesso disconoscimento da parte sua delle sottoscrizioni apposte sul contratto di vendita, essendo l’imputata rimasta sempre assente in giudizio.
La Corte di merito, tuttavia, non chiarisce perché, a fronte della assunzione da parte di NOME COGNOME della esclusiva responsabilità, non sarebbe possibile che le firme siano state apposte dal marito e che l’imputata sia venuta a conoscenza dell’accaduto solo dopo la condotta distrattiva; in tale ipotesi, la ricorrente non avrebbe arrecato alcun contributo materiale o morale alla commissione del fatto. Né la penale responsabilità della ricorrente può ricollegarsi al mero dato dell’omesso disconoscimento da parte dell’imputata, rimasta assente durante l’intero processo, delle sottoscrizioni apposte sul contratto di vendita, in quanto nell’ambito penale non operano le presunzioni di cui all’art. 215 cod. proc. civ. e 2702 cod. civ. e l’onere della prova grava sull’accusa.
In tema di valutazione della prova, la negazione o il mancato chiarimento, da parte dell’imputato, di circostanze valutabili a suo carico, può fornire al giudice elementi di prova di carattere residuale e complementare solo in presenza di univoci elementi probatori d’accusa, in quanto la valutazione del comportamento processuale dell’imputato non può risolversi nell’inversione dell’onere della prova, né sostanzialmente condizionare l’esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 19216 del 06/11/2019, dep. 2020, Ascone, Rv. 279246 – 02).
Ne deriva che le censure di violazione di legge e di manifesta illogicità della motivazione sollevate dalla ricorrente appaiono fondate.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve esse annullata nei confronti della sola NOME COGNOME con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere rigettati ed al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/07/2025.