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Concorso nel reato: interesse a ricorrere del PM

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero contro la revoca degli arresti domiciliari per un’indagata accusata di concorso nel reato di spaccio. La decisione si fonda sull’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, poiché il PM si è limitato a contestare la valutazione degli indizi di colpevolezza senza argomentare sulla sussistenza e attualità delle esigenze cautelari, requisito indispensabile per giustificare l’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso nel reato: l’appello del PM è inammissibile senza l’analisi delle esigenze cautelari

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 14042 del 2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di misure cautelari e impugnazioni. La Corte ha chiarito che il ricorso del Pubblico Ministero contro la revoca di una misura restrittiva è inammissibile se si concentra unicamente sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, tralasciando di argomentare sull’attualità delle esigenze cautelari. Questo caso, che verteva su un’ipotesi di concorso nel reato di spaccio di sostanze stupefacenti, offre spunti cruciali sull’equilibrio tra le necessità dell’accusa e la tutela della libertà personale.

I fatti del processo

Il caso riguardava un’indagata sottoposta alla misura degli arresti domiciliari con l’accusa di aver partecipato, in concorso con altri, al trasporto di ingenti quantitativi di cocaina. Secondo l’accusa, la donna avrebbe agito da intermediaria tra suo padre, anch’egli agli arresti domiciliari, e altri coindagati, sfruttando come base logistica l’azienda di famiglia, un autonoleggio. L’attività lecita, secondo gli inquirenti, serviva a schermare i traffici illeciti.

Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di revoca della misura. Tuttavia, il Tribunale della Libertà, in accoglimento dell’appello dell’indagata, aveva annullato l’ordinanza, liberandola. Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione.

Il ricorso del Pubblico Ministero e il concorso nel reato

Il Pubblico Ministero basava il suo ricorso su tre motivi principali. In primo luogo, eccepiva un vizio procedurale, sostenendo che l’appello al Tribunale della Libertà fosse un modo per aggirare i termini perentori del riesame. In secondo luogo, lamentava una valutazione parcellizzata e illogica degli elementi indiziari, che a suo avviso dimostravano pienamente il concorso nel reato dell’indagata. Infine, contestava al Tribunale di essersi erroneamente limitato alla formulazione letterale dell’imputazione provvisoria, senza cogliere la reale natura del contributo causale fornito dalla donna.

Secondo l’accusa, la semplice adesione alle azioni criminose altrui, anche senza un accordo preventivo, è sufficiente a configurare il concorso, e le azioni dell’indagata (come il recupero di un’auto usata per il trasporto della droga) rientravano in questa fattispecie.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del Pubblico Ministero, fornendo motivazioni chiare su ciascun punto.

Sul piano procedurale, ha ribadito un principio consolidato: l’appello contro il rigetto di un’istanza di revoca è sempre ammissibile, anche in assenza di fatti nuovi. La mancata proposizione del riesame non implica una rinuncia a futuri strumenti di impugnazione.

Nel merito, la Corte ha introdotto l’argomento decisivo. Ha osservato che il ricorso del PM si concentrava esclusivamente sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, contestando la valutazione del Tribunale della Libertà. Tuttavia, l’atto di impugnazione ometteva completamente di trattare un aspetto fondamentale: le esigenze cautelari.

La Corte ha spiegato che, per essere ammissibile, un ricorso deve avere un interesse concreto e attuale. L’obiettivo del PM era ottenere il ripristino della misura cautelare. A tal fine, non è sufficiente dimostrare la probabile colpevolezza dell’indagato, ma è indispensabile provare che, al momento della decisione, sussistono ancora i pericoli che la misura intende prevenire (inquinamento probatorio, fuga, reiterazione del reato).

Poiché il ricorso non conteneva alcuna argomentazione sull’attualità e sulla concretezza di tali pericoli, il suo eventuale accoglimento sul solo punto degli indizi sarebbe stato privo di un risultato pratico. Non si può limitare la libertà di una persona sulla base di un’astratta valutazione di colpevolezza passata, se non si dimostra un pericolo presente.

Le conclusioni

La sentenza n. 14042/2024 rafforza un principio cardine dello stato di diritto: le misure cautelari non sono un’anticipazione della pena, ma strumenti eccezionali legati a pericoli concreti e attuali. La decisione impone al Pubblico Ministero, quando impugna una decisione favorevole all’indagato, l’onere di argomentare non solo sul fumus commissi delicti (i gravi indizi), ma anche e soprattutto sul periculum libertatis (le esigenze cautelari). In assenza di una disamina completa su entrambi i fronti, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, garantendo così che la compressione della libertà personale sia sempre ancorata a una necessità effettiva e dimostrata.

Quando è ammissibile il ricorso del Pubblico Ministero contro la revoca di una misura cautelare?
Secondo la sentenza, il ricorso è ammissibile solo se sorretto da un interesse concreto a ricorrere. Ciò significa che il Pubblico Ministero deve dimostrare non solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma anche e soprattutto la persistenza e l’attualità delle esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento delle prove, reiterazione del reato).

La collaborazione in un’attività di famiglia usata per coprire reati costituisce sempre concorso nel reato?
No. La sentenza chiarisce che la collaborazione in un’attività lecita, pur nella consapevolezza della sua ‘ambivalenza’ e del suo utilizzo per fini illeciti da parte di familiari, non equivale automaticamente a un concorso nei singoli reati commessi, specialmente se non viene contestato il reato associativo. Azioni successive al fatto, come la custodia di un’auto già usata per il traffico, possono essere considerate un ‘post factum non punibile’.

Il Pubblico Ministero deve dimostrare che le esigenze cautelari sono ancora attuali al momento del suo ricorso?
Sì, questo è il punto centrale della decisione. L’accoglimento del ricorso del PM deve poter condurre a un risultato pratico, ovvero il ripristino della misura. Questo risultato è possibile solo se le esigenze cautelari sono ancora presenti al momento in cui la Corte decide. Un ricorso che non argomenta su questo punto è privo di interesse e quindi inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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