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Concorso nel reato di spaccio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo accusato di concorso nel reato di spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso. La difesa sosteneva la tesi della ‘connivenza non punibile’, affermando che la presenza dell’imputato durante la cessione di droga fosse stata meramente passiva. La Corte ha invece confermato l’ordinanza di custodia cautelare, stabilendo che le azioni dell’imputato, come la sua presenza attiva nel veicolo usato per l’operazione e la partecipazione a conversazioni strategiche, costituivano un contributo consapevole e attivo alla commissione del reato, integrando così gli estremi del concorso nel reato e non della semplice connivenza.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso nel reato di spaccio: quando la presenza diventa partecipazione attiva?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha riaffermato un principio fondamentale nel diritto penale, delineando il confine sottile ma decisivo tra la semplice ‘connivenza’ non punibile e il concorso nel reato, specialmente in contesti di criminalità organizzata. Il caso in esame riguardava un individuo accusato di aver partecipato a una cessione di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso. La sua difesa si basava sull’idea che la sua fosse stata una presenza puramente passiva, ma la Suprema Corte ha stabilito diversamente, confermando la misura della custodia cautelare in carcere.

I fatti del processo

Il procedimento trae origine da un’operazione di polizia giudiziaria che ha portato alla luce una cessione di 50 grammi di cocaina. L’operazione vedeva coinvolti diversi soggetti legati a un noto clan mafioso del territorio. L’indagato, il cui ricorso è stato esaminato dalla Cassazione, si trovava a bordo dell’autovettura condotta da uno dei principali responsabili dell’operazione, seduto al suo fianco. Altri complici seguivano il veicolo a bordo di uno scooter, con il compito di effettuare la consegna materiale della droga all’acquirente.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, basata su intercettazioni e osservazioni, l’indagato non era un semplice passeggero. Egli ha partecipato attivamente alle fasi dell’operazione, interloquendo con gli altri correi, discutendo della consegna e collaborando attivamente nel momento in cui è stato ‘agganciato’ il veicolo dell’acquirente, fornendo indicazioni per seguirli. La difesa, invece, ha sempre sostenuto la casualità della sua presenza e la sua totale estraneità all’accordo per la cessione dello stupefacente.

La decisione della Corte di Cassazione

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in tutti i suoi motivi. I giudici hanno confermato la valutazione del Tribunale del Riesame, secondo cui gli elementi raccolti erano sufficienti a dimostrare un contributo attivo e consapevole dell’indagato all’azione delittuosa. La Corte ha sottolineato che il controllo di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti, ma deve limitarsi a verificare la coerenza e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato, che in questo caso è stata giudicata esauriente e priva di vizi.

Le motivazioni: Analisi del concorso nel reato

Il punto cruciale della sentenza risiede nella distinzione tra connivenza e concorso nel reato. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato: mentre la connivenza implica un comportamento meramente passivo e di tolleranza, il concorso di persone nel reato (ex art. 110 c.p.) richiede un contributo consapevole, anche minimo, che agevoli il proposito criminoso del concorrente. Questo contributo può manifestarsi in varie forme, garantendo, anche implicitamente, una maggiore sicurezza nell’esecuzione del piano o una collaborazione sulla quale gli altri possano fare affidamento.

Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato come la presenza dell’imputato non fosse ‘inattiva’. Al contrario, la sua partecipazione alle conversazioni, la sua presenza al fianco del capo dell’operazione e il suo ruolo attivo nel contattare l’acquirente sono stati considerati elementi indicativi di un contributo partecipativo. Non è necessario, per configurare il concorso nel reato di spaccio, aver partecipato a tutte le fasi del delitto (dalla pianificazione alla spartizione dei proventi); è sufficiente aver preso parte a una frazione significativa della sequenza criminale, come la fase esecutiva della cessione.

Anche l’aggravante del metodo mafioso (art. 416 bis 1 c.p.) è stata ritenuta correttamente applicata. La Corte ha osservato che le azioni erano state compiute a diretto vantaggio dell’organizzazione criminale e che l’indagato, interfacciandosi con esponenti di spicco del clan, era pienamente consapevole di agire per favorire il sodalizio.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia rafforza un principio di grande importanza pratica: nel contesto dei reati associativi e, in particolare, del traffico di stupefacenti, il confine tra legalità e illegalità è estremamente labile. Un comportamento che potrebbe sembrare di secondaria importanza, come essere presente in un’auto durante una consegna, può essere interpretato come un contributo attivo e consapevole se accompagnato da altri indizi che dimostrino un inserimento, anche temporaneo, nel piano criminale. La sentenza serve da monito: la semplice presenza può diventare punibile quando cessa di essere passiva e si trasforma in un supporto, anche solo morale o logistico, all’azione degli altri concorrenti, dimostrando così l’esistenza di un concorso nel reato.

Cosa distingue la connivenza non punibile dal concorso nel reato di spaccio?
La connivenza è un comportamento meramente passivo di chi assiste a un reato senza intervenire, mentre il concorso nel reato richiede un contributo consapevole e attivo che faciliti l’azione criminosa, anche solo garantendo sicurezza o collaborazione implicita agli altri autori del reato.

Perché la presenza dell’imputato in auto è stata considerata concorso nel reato?
Perché non era una presenza passiva. L’imputato ha partecipato attivamente alle conversazioni relative alla consegna della droga, era seduto accanto al conducente e figura chiave dell’operazione, e ha contribuito a segnalare la propria presenza all’acquirente, dimostrando un coinvolgimento diretto nell’azione delittuosa.

Come è stata giustificata l’aggravante del metodo mafioso?
L’aggravante è stata confermata perché l’operazione di spaccio è stata compiuta a diretto vantaggio di un’organizzazione criminale nota. Inoltre, l’imputato ha interagito con esponenti di rilievo del sodalizio, dimostrando la consapevolezza di agire per favorire il clan e le sue attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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