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Concorso morale: la Cassazione su resistenza in carcere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati condannati per resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha confermato che il concorso morale sussiste quando più persone, con il loro posizionamento sinergico, creano una barriera umana per ostacolare gli agenti, concretizzando così la violenza richiesta dal reato.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Morale nel Reato: L’Ordinanza della Cassazione sul Caso della Barriera Umana in Carcere

Il concetto di concorso morale in un reato è spesso complesso da definire, specialmente quando la condotta non implica un’azione violenta diretta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7 Penale, Num. 5596/2024) offre un importante chiarimento su come la partecipazione psicologica e la cooperazione possano integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, anche in assenza di aggressione fisica. Analizziamo la decisione per comprendere meglio i principi applicati.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un episodio avvenuto all’interno di un istituto penitenziario. Due detenuti venivano condannati in Corte d’Appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale in concorso tra loro, ai sensi degli artt. 110 e 337 del codice penale. La condotta contestata consisteva nell’aver creato, insieme ad altri, una barriera umana per impedire agli agenti della Polizia Penitenziaria di accedere a un’area della casa circondariale.

Contro la sentenza di condanna, i due imputati proponevano ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. A loro dire, la Corte d’Appello non aveva adeguatamente provato il loro contributo consapevole e volontario alla condotta di resistenza.

L’Analisi della Corte e il concorso morale

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendo che i motivi proposti non fossero consentiti in sede di legittimità. I ricorsi, infatti, si limitavano a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella motivazione della sentenza impugnata.

Il fulcro della decisione risiede nella corretta valutazione della prova e nell’applicazione dei criteri che definiscono il concorso morale. La Corte di Cassazione ha sottolineato come la Corte territoriale avesse correttamente evidenziato la “sinergia del posizionamento” degli imputati. Stando fianco a fianco e accerchiando gli agenti, i detenuti avevano posto in essere una condotta idonea a concretizzare la violenza richiesta per il reato di resistenza.

La Violenza nella Resistenza Passiva

Uno degli aspetti più interessanti è come la Corte qualifichi la condotta. Sebbene non vi sia stata un’aggressione fisica diretta, l’atto di fare “barriera” è stato considerato sufficiente a integrare l’elemento materiale della violenza. La condotta oppositiva si è realizzata attraverso un’azione collettiva e coordinata, il cui scopo era impedire il compimento di un atto d’ufficio. In questo contesto, il contributo di ciascun imputato, consapevole e volontario, ha reso possibile il perfezionamento del reato.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello pienamente logica e coerente. I giudici di merito avevano spiegato in modo esauriente come la condotta degli imputati, inserita in un contesto di sinergia collettiva, rappresentasse un contributo causale effettivo alla resistenza. Il posizionamento strategico, volto a creare un ostacolo insormontabile per gli agenti, dimostrava inequivocabilmente il concorso morale di ciascun partecipante.

Di conseguenza, il vizio di motivazione lamentato dai ricorrenti è stato giudicato insussistente. I ricorsi sono stati quindi dichiarati inammissibili, in quanto tentavano di ottenere una nuova e diversa valutazione del merito della vicenda, attività preclusa al giudice di legittimità.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per la configurazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale non è necessaria una violenza fisica attiva, essendo sufficiente una qualsiasi azione, anche passiva come una barriera umana, che ostacoli concretamente l’attività del pubblico ufficiale. Inoltre, il concorso morale si realizza quando un soggetto, pur senza compiere materialmente l’atto, contribuisce con la sua presenza consapevole e sinergica al rafforzamento della condotta illecita altrui. La decisione ha comportato la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Cosa si intende per violenza nel reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo questa ordinanza, la violenza non si limita all’aggressione fisica, ma include qualsiasi condotta idonea a impedire o ostacolare l’azione di un pubblico ufficiale. Anche creare una barriera umana con il proprio corpo è stato considerato un atto di violenza sufficiente a integrare il reato.

Come viene dimostrato il concorso morale in un reato di resistenza?
Il concorso morale viene dimostrato analizzando il contributo consapevole di ogni individuo all’azione collettiva. Nel caso specifico, la “sinergia del posizionamento” e l’accerchiamento degli agenti sono stati considerati prove sufficienti del contributo cosciente di ciascun imputato alla realizzazione della condotta di resistenza.

Per quale motivo i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili?
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili perché riproponevano censure già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte d’Appello. In sede di Cassazione non è possibile richiedere una nuova valutazione delle prove, ma solo contestare vizi di legittimità (cioè errori nell’applicazione della legge o vizi logici della motivazione), che in questo caso sono stati ritenuti insussistenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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