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Concorso morale: la Cassazione e la responsabilità

La Corte di Cassazione esamina il caso di due imputati condannati per truffa e reimpiego di capitali illeciti. La sentenza si concentra sulla figura dell’amministratore di fatto, chiarendo come il suo ruolo strategico e direttivo sia sufficiente a configurare il concorso morale nei reati commessi dalla società, anche senza una partecipazione diretta alle singole azioni fraudolente. Mentre per uno degli imputati viene confermata la responsabilità, pur con una rideterminazione della pena per prescrizione di alcuni capi, il ricorso della coimputata viene dichiarato inammissibile, consolidando il principio che la consapevolezza dell’origine illecita dei fondi può essere provata anche attraverso elementi indiziari.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso Morale: La Cassazione Chiarisce la Responsabilità dell’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 29366/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale societario: il concorso morale dell’amministratore di fatto nei reati commessi nell’ambito dell’attività d’impresa. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione sulla prova della responsabilità penale di chi, pur non agendo in prima persona, detiene le redini strategiche di una società.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una complessa vicenda di truffe aggravate e appropriazioni indebite perpetrate attraverso due società operanti nel commercio di autoveicoli. Secondo l’accusa, due fratelli, in qualità di amministratori di fatto, avevano ideato un sistema fraudolento che prevedeva la vendita di auto a clienti che, pur pagando il prezzo, non ricevevano mai il veicolo.

Uno dei due fratelli è stato condannato per concorso morale in centinaia di episodi di truffa, mentre la moglie dell’altro fratello è stata condannata per il reato di impiego di utilità di provenienza illecita, per aver utilizzato sul conto della sua ditta individuale somme provenienti dai reati del marito. Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello che aveva confermato, seppur con alcune modifiche, le loro condanne.

L’Appello e il Ricorso in Cassazione

Nel suo ricorso, l’amministratore di fatto sosteneva di aver svolto un ruolo puramente amministrativo e contabile, estraneo alle trattative di vendita, e che quindi non vi fosse prova della sua partecipazione morale o materiale alle truffe. La sua difesa contestava l’attribuzione di un ruolo gestorio basato esclusivamente su una precedente sentenza per bancarotta, senza un’adeguata ricerca di elementi di riscontro specifici.

La coimputata, invece, contestava la sussistenza del reato presupposto (bancarotta fraudolenta) e l’elemento soggettivo del proprio reato, ovvero la consapevolezza dell’origine illecita del denaro ricevuto dal marito. Sosteneva che il semplice rapporto di coniugio e la coincidenza temporale dei trasferimenti di denaro non fossero sufficienti a provare il dolo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul concorso morale

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’amministratore di fatto per quanto riguarda l’affermazione di responsabilità. I giudici hanno sottolineato come le sentenze di primo e secondo grado (cd. “doppia conforme”) avessero logicamente e coerentemente ricostruito il suo ruolo. Non era necessaria una partecipazione diretta alle singole vendite per configurare il concorso morale.

Il convincimento dei giudici si è fondato su una valutazione complessiva degli elementi probatori:
1. Il ruolo di amministratore di fatto: accertato non solo da una precedente sentenza, ma anche da accertamenti bancari che dimostravano il suo pieno coinvolgimento nella gestione finanziaria delle società.
2. La sistematicità del sistema fraudolento: le innumerevoli truffe, realizzate con un metodo collaudato, non potevano che derivare da un “input e una direzione strategica” riconducibile in via esclusiva ai due fratelli.
3. Il nesso funzionale: le mansioni amministrative e contabili dell’imputato erano funzionali al perfezionamento degli illeciti, poiché successive alla stipulazione dei contratti di vendita fraudolenti.

La Corte ha ritenuto irrilevante l’assoluzione, in un separato giudizio, dei venditori (dipendenti delle società), poiché la loro assoluzione era motivata dalla mancanza di prova del dolo specifico (la consapevolezza di partecipare a una truffa), ma non negava l’esistenza del sistema truffaldino ideato e diretto da altri.

Per quanto riguarda la coimputata, la Cassazione ha ritenuto il suo ricorso generico e una mera riproposizione di censure già respinte, confermando che il suo dolo era stato correttamente desunto da un quadro indiziario grave, preciso e concordante (rapporto di coniugio, anomalo doppio transito del denaro, cointeressenza in altre attività del marito).

Le Conclusioni

La sentenza si è conclusa con un annullamento parziale senza rinvio per il primo imputato, ma solo limitatamente ad alcuni reati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione. Ciò ha comportato una rideterminazione della pena complessiva, che è stata ridotta. Tuttavia, il nucleo della sua responsabilità penale per concorso morale è stato pienamente confermato.

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: nel diritto penale dell’economia, la responsabilità non si ferma a chi compie materialmente l’atto, ma si estende a chi, dall’alto di una posizione gestionale anche solo di fatto, idea, organizza e dirige lo schema criminoso. Per la difesa, diventa essenziale non limitarsi a negare il coinvolgimento materiale, ma dimostrare l’estraneità alla fase ideativa e strategica dell’illecito.

Può un amministratore essere condannato per concorso morale in una truffa senza aver partecipato direttamente alla vendita?
Sì. Secondo la sentenza, è sufficiente che l’amministratore, anche di fatto, abbia fornito l’input e la direzione strategica per il sistema fraudolento, anche se le singole condotte sono state materialmente realizzate da altri, come i dipendenti.

L’assoluzione degli esecutori materiali di un reato esclude la responsabilità di chi è accusato di concorso morale?
No, non necessariamente. La sentenza chiarisce che l’assoluzione dei venditori (esecutori materiali) perché non è stata provata la loro consapevolezza di partecipare alla truffa non esclude la responsabilità di chi ha ideato e diretto il piano criminoso, la cui colpevolezza si fonda su elementi diversi.

Come viene provato il dolo nel reato di impiego di denaro di provenienza illecita?
La Corte ha confermato che il dolo (la consapevolezza dell’origine illecita del denaro) può essere provato attraverso un quadro indiziario grave, preciso e concordante. Nel caso specifico, elementi come lo stretto rapporto di parentela (coniugio), l’anomalo trasferimento di denaro e la cointeressenza in altre attività economiche sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare tale consapevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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