Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31403 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31403 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a Napoli il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a San Cipriano d’Aversa il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a San Cipriano d’Aversa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2023 della Corte di Assise di Appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME; udito le conclusioni del AVV_NOTAIO per il rigetto dei ricorsi; uditi i difensori, l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, e l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che concludono insistendo nell’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Assise d’Appello di Napoli, con sentenza del 7/7/2023, ha confermato la sentenza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli 2/2/2022 ha condanNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME ad anni trenta di reclusione ciascuno e COGNOME NOME ad anni otto di reclusione in relazione al reato di omicidio aggravato di cui agli artt. 575, 577 n. 3 e 416 bis.1, cod. pen.
I ricorrenti sono stati sottoposti a indagini e processati per l’omicidio di NOME, commesso a Pignataro Maggiore il 14 novembre 2002 in concorso con altre persone, anche giudicate separatamente.
Le due sentenze di merito fanno riferimento alle dichiarazioni rese dalle persone informate dei fatti e agli accertamenti svolti durante le indagini e, soprattutto, rivelazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, sopravvenute negli anni 2015 e 2016.
Secondo la ricostruzione contenuta nelle sentenze la decisione di commettere l’omicidio sarebbe sorta su sollecitazione di NOME COGNOME per vendicare la morte di su fratello e per riaffermare la supremazia del RAGIONE_SOCIALE nella zona ove era egemone il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Per quanto riguarda la specifica posizione dei ricorrenti e interessa ai fini del rico NOME COGNOME e NOME COGNOME, in virtù del ruolo apicale a questi riconosciuto in seno all’associazione, avrebbero partecipato alla deliberazione dell’azione e, pertanto concorrerebbero al reato quali mandanti dell’omicidio.
NOME COGNOME, invece, avrebbe partecipato quale c.d. specchiettista con il compito di dare ospitalità al commando all’interno della sua masseria, di occultare le armi, di trasportare gli esecutori dell’omicidio e, successivamente, di cooperare alla distruzion dell’auto utilizzata.
Le sentenze di merito fanno quasi esclusivamente riferimento a quanto narrato dai collaboratori di giustizia indicati.
Nel corso del giudizio, nell’atto di appello, NOME COGNOME ha dedotto la mancata concessione con criterio di prevalenza delle attenuanti generiche.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno invece censurato la dichiarazione di responsabilità evidenziando che gli stessi non avevano contribuito a deliberare l’azione e che, pertanto, pure avendone avuto conoscenza, non potevano essere ritenuti responsabili dell’omicidio a titolo di concorso solo ed esclusivamente per il ruolo apicale a ques attribuito. Ciò anche considerato che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sul pu non sarebbero coerenti e credibili.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati che, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno dedotto i seguenti motivi.
4. AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME.
4.1. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza. Nell’unico motivo la difesa rileva che l valutazione effettuata dai giudici di merito in ordine alle circostanze di cui all’art. 6 bis
cod. pen. sarebbe errata in quanto non si sarebbe tenuto nella dovuta considerazione che il procedimento è stato incardiNOME proprio a seguito delle dichiarazioni rese dal ricorrente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME e avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per NOME COGNOME.
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. con specifico riferimento al ruolo attribuito ai ricorrenti quanto partecipazione degli stessi alla decisione di commettere il reato. Nell’unico comune motivo la difesa rileva che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente applicato i criteri d valutazione della prova in ordine alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizi merito alla ritenuta partecipazione concreta ed effettiva di NOME COGNOME e NOME COGNOME agli incontri nel corso dei quali sarebbe stato deciso di eliminare NOME COGNOME. Tale decisione, d’altro canto, sarebbe stata presa dal solo NOME COGNOME così che la dichiarazione di responsabilità si fonderebbe esclusivamente sulla posizione apicale attribuita ai ricorrenti e ciò, in assenza di elementi ulteriori, sarebbe contrario alla pac giurisprudenza di legittimità sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
I ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sono infondati.
Nell’unico motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME la difesa deduce il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza.
La doglianza è manifestamente infondata.
La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all’imputato, infatti, ha fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale art. 132 e 133 cod. pen. della corte di merito, e ciò anche in relazione giudizio bilanciamento delle circostanze, tenuto conto, quanto a quest’ultimo aspetto, della brutalità dell’azione e dell’effettiva “qualità” della collaborazione prestata (cfr. pag. 50 della sentenza impugnata).
Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova
e non consentita valutazione della congruità della pena (cfr. Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818 – 01).
La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen., d’altro canto, è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 NOME, RV. 259899 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME, RV. 248244 – 01; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/ 2008, COGNOME, RV 242419).
Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, il dinieg delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n.3896 de 20/01/2016, COGNOME, RV. 265826 – 01; n.3609 del 18/01/2011, COGNOME, RV. 249163 – 01; Sez. 6, n.41365 del 28/10/2010, COGNOME, RV. 248737 – 01).
2.1. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
Nell’unico comune motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’ar 192, comma 3, cod. proc. pen. evidenziando, nello specifico, che la Corte territoriale avrebbe fondato la dichiarazione di responsabilità sulle contraddittorie dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia in ordine al contributo che i due ricorrenti avrebbero forn nella commissione dell’omicidio. A fronte di una coerente lettura di quanto narrato, infatti, emergerebbe che la mera presenza dei due ricorrenti ad alcuni degli incontri avrebbe valenza neutra e da ciò conseguirebbe che l’affermazione di responsabilità si basa su di un presupposto giuridicamente errato, cioè che il ruolo apicale attribuito ai due imputati sia sufficiente a ritenere che gli stessi, anche solo partecipando agli incontri, abbiano fornit un contributo alla determinazione omicidiaria.
Le doglianze sono infondate.
3.1. L’art. 192 cod. proc. pen. nei commi 3 e 4 indica i criteri di valutazione dell chiamata in correità o in reità, diretta o de relato evidenziando che le dichiarazioni etero accusatorie rese da un coimputato o imputato in procedimento connesso o collegato devono trovare conferma in altri elementi di prova, con conseguente accentuazione, in ossequio alla previsione di cui al comma 1 dello stesso articolo, dell’obbligo di motivazione del convincimento del giudice.
La corretta individuazione dei criteri indicati nella norma, che costituisce l trasposizione legislativa dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità antecedente l’entrata in vigore del codice del 1989, è stata oggetto di numerose sentenze di questa Corte e, principalmente, di tre pronunce delle Sezioni Unite.
3.1.1. Da principio le Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465, hanno evidenziato che la corretta valutazione del mezzo di prova deve essere articolato dal giudice di merito in tre tempi:
prima deve essere verificata la credibilità soggettiva del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socioeconomiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all’accusa nei confronti del chiamato;
in un secondo momento si deve procedere alla valutazione dell’attendibilità intrinseca della chiamata, in base ai criteri della precisione, della coerenza, della costanza della spontaneità;
da ultimo si effettua la verifica esterna dell’attendibilità della dichiarazion attraverso l’esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa.
Come specificato successivamente dalla giurisprudenza di questa Corte, d’altro canto, i tre tempi indicati non delineano una sequenza rigorosamente rigida in quanto il percorso valutativo dei vari passaggi non deve, e spesso non può, muoversi lungo linee separate.
La credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra prova dichiarativa, ad esempio, devono essere valutate unitariamente e ciò in quanto l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non pone alcuna deroga al riguardo (cfr. Sez. 4, n. 34413 del 8/06/2019, Khess, Rv. 276676 – 01; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348 – 01; Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, COGNOME, n.m. sul punto; Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, COGNOME, Rv. 236151) così che le eventuali riserve circa l’attendibilità del narrato, vagliata la valenza probatoria anche alla luce di tutti gli altri element informazione legittimamente acquisiti, possono essere superate.
3.1.2. La procedura di verifica delle dichiarazioni etero accusatorie dei coimputati o degli imputati in procedimento connesso o collegato, come già evidenziato da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090 e più recentemente da Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01, deve essere più attenta e rigorosa nei casi di conoscenza de auditu.
Il giudizio di attendibilità intrinseca soggettiva del chiamante e della specific attendibilità intrinseca oggettiva della dichiarazione da costui resa, infatti, impon un’indagine accurata sulla causa scientiae del dichiarante, la cui conoscenza, traendo origine dalla trasmissione di informazioni ad opera di un altro soggetto, può essere esposta a maggiori rischi di errore.
La chiamata de relato, d’altro canto, presentando una struttura analoga alla testimonianza indiretta, mutua da questa, almeno per quanto attiene alla valutazione dell’attendibilità intrinseca, il metodo di verifica, che implica necessariamente uno sdoppiamento della valutazione, nel senso che occorre verificare non soltanto l’attendibilità intrinseca soggettiva ed oggettiva del dichiarante in relazione al fatto storico dell narrazione percepita, ma anche l’attendibilità della fonte primaria di conoscenza e la genuinità del suo narrato, che integra l’elemento di prova più significativo del fatto sub iudice.
Nel caso specifico della chiamata de auditu non asseverata dalla fonte primaria, inoltre, la valutazione della credibilità intrinseca delle dichiarazioni impone di apprezzarn la spontaneità, la coerenza, la costanza e la precisione, indagando, in particolare, proprio per il maggiore rigore valutativo imposto dalla peculiarità del caso, sulle circostanze concrete di tempo e di luogo in cui avvenne il colloquio tra il dichiarante e il soggetto riferimento nonché sulla natura dei rapporti (di frequentazione e di familiarità) tra i du sì da giustificare le confidenze, di tenore certamente compromettente, ricevute dal primo.
In questa situazione, nella quale il racconto proviene dalla fonte di seconda mano ed è sicuramente più complicato saggiare l’attendibilità intrinseca del terzo, poi, assume rilievo l’analisi specifica della compatibilità dei particolari forniti con il quadro proba già acquisito così che, se non sussistono ragioni sintomatiche di una comunicazione di notizie false, può agevolmente ritenersi, per consequenzialità logica e in base ad una consolidata massima di esperienza, la corrispondenza al vero della confidenza extraprocessuale proveniente dal soggetto di riferimento, anche se dal medesimo non asseverata in sede processuale.
3.1.3. Diversa, d’altro canto, è l’ipotesi delle dichiarazioni rese dal collaboratore giustizia in ordine fatti e circostanze attinenti ›dvita e IVattività del sodalizio crimin appresi come componente dello stesso.
Queste, infatti, non sono assimilabili a dichiarazioni de relato e possono pertanto assumere, purché supportate da validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell’informazione resa che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati, il medesimo rilievo probatorio delle chiamate dirette (cfr. Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279185 – 02; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262309; Sez. 2, n. 29923 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 256065; Sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010, Ribisi, Rv. 247585; Sez. 2, n. 6134 del 20/01/2009, COGNOME, Rv. 243425).
3.1.4. L’operazione logica di verifica giudiziale al fine di ritenere che la chiamat possa assurgere a prova idonea a giustificare l’affermazione di responsabilità si deve concludere con la verifica circa l’esistenza di riscontri esterni, convergenti individualizzanti in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa e alla specifica condott criminosa dell’incolpato e in tal caso, qualora la dichiarazione sia de relato, il contro narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa deve essere particolarmente rigoroso e approfondito essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un più rigoroso e approfondito controllo del contenuto (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090).
In ordine alla tipologia e all’oggetto dei riscontri, come affermato dalle Sezioni Unite, deve ritenersi che la genericità dell’espressione “altri elementi di prova” utilizza dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. legittimi l’interpretazione secondo cui in questa materia vige il principio della “libertà dei riscontri”, nel senso che questi, non essen predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura così da poter essere costituiti non soltanto da prove storiche dirette, ma da ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma.
Il riscontro, d’altro canto, non deve integrare ex se la prova del fatto in quanto, se così fosse, l’elemento perderebbe la sua funzione e gregaria e sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice facendo nella sostanza venire meno la necessità della prova principale, da sola non sufficiente.
L’unico dato certo, evincibile dalla previsione letterale dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., è costituito dall’esigenza che i riscontri devono essere caratterizzati dall necessaria estraneità, devono cioè essere esterni, rispetto alla dichiarazione stessa.
Tenuto conto della mancanza di qualsiasi indicazione normativa in senso contrario, d’altro canto, deve escludersi che i riscontri debbano essere necessariamente di natura diversa rispetto alla categoria probatoria considerata.
La norma, infatti, fa riferimento ad “altri” elementi di prova, da intendersi come elementi “ulteriori”, da utilizzare in chiave corroborativa, il che chiarisce che si è int evocare un parametro meramente quantitativo e non qualitativo di tali elementi, senza alcuna pretesa di una imprescindibile differenziazione di tipo ontologico dei medesimi rispetto alla prova dichiarativa da riscontrare.
Ciò posto, il riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità, diretta o relato, ben può essere offerto dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più degli altri soggetti indicati nella norma in quanto ogni elemento probatorio, diretto o indirett che sia, purché estraneo alle dichiarazioni da riscontrare, può essere legittimamente utilizzato a conferma dell’attendibilità delle stesse.
In tale prospettiva, pertanto, il riscontro di qualsivoglia chiamata, sia esse dirett o indiretta, può essere costituito anche da una diversa e seconda chiamata, anche se questa è del pari de relato, ciò in quanto nessuna norma processuale prevede una tale limitazione al principio del libero convincimento del giudice.
Qualora l’elemento di riscontro sia costituito da un’altra chiamata il giudice, al fin di evitare che la c.d. mutual corroboration sia il risultato di falsità concordate e finalizzate a incolpare una persona estranea ai fatti, è tenuto a procedere a una verifica rigorosa e attenta dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione e, quindi, l’attitudi una o più di esse a fungere da riscontro estrinseco di quella o di quelle che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione.
In tale ottica, pertanto, al fine di enucleare la prova del fatto contestato, il giud è tenuto a procedere a una delicata e complessa operazione di valutazione nella quale deve, innanzi tutto, sottoporre la dichiarazione accusatoria utilizzabile come riscontro di altra di analogo tenore allo stesso controllo di attendibilità intrinseca che vale p quest’ultima e, poi, deve procedere alla verifica che le ulteriori dichiarazioni accusatori siano connotate da:
-convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;
-indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti inquinanti;
-specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia il fatto nella sua oggettività che l
riferibilità soggettiva dello stesso alla persona dell’incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni d’accusa sul nucleo centrale e più significativo della questione fattuale da decidere;
-autonomia “genetica”, vale a dire derivazione non ex unica fonte, onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza dell’elemento d riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza del molteplice (cfr. testualmente Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01 da ultimo cfr. Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01).
In presenza di tali caratteristiche le plurime chiamate in correità (o in reit legittimamente concorrono a formare, in modo peraltro non rivalutabile in sede di legittimità, la base fattuale della affermazione di responsabilità del chiamato (in assenza di concrete ipotesi alternative di ricostruzione dei fatti) proprio in ragione della verificata autonomia genetica e in riferimento alla massima di esperienza, rispettosa dei canoni normativi di valutazione della prova, per la quale quando più fonti, ritenute affidabil e rilevanti nonché dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, riferiscono fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò crea le condizioni per l’affidamento del giudice sulla corrispondenza al vero dei fatti narrati.
Le dichiarazioni accusatorie rese da due collaboranti, infatti, possono riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che s verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (cfr. Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262309 01).
3.2. La Corte territoriale si è conformata agli indicati criteri enucleati da giurisprudenza di legittimità e ha fornito, anche con il riferimento ad altre sentenza correttamente considerate ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., una motivazione coerente e adeguata alle critiche sollevate negli atti di appello in ordine alla credibilità collaboratori circa la presenza e la partecipazione dei ricorrenti agli incontri nei quali discusso dell’omicidio di NOME e ciò anche tenendo conto della struttura confederale dell’associazione.
Nella sentenza impugnata, infatti, si è dato conto di tutte le dichiarazioni rese sul punto e dell’effettivo tenore delle conversazioni intercorse, come ad esempio quella in cui COGNOME ribadì che “si doveva decidere” e del significato da riconoscere alla frase “NOME
sa tutto…” detta da COGNOME a NOME COGNOME e da questo interpretata nel senso che il mandato omicidiario dovesse essere ricondotto direttamente anche a NOME COGNOME.
La conforme lettura attribuita dai due giudici di merito agli elementi emersi, d’altro canto, risulta coerente al contesto per cui gli incontri tra i soggetti cui era attribuito ruolo apicale erano necessari a determinare le decisioni da assumere nei casi considerati delicati.
Ciò in quanto, pure volendo riconoscere un ruolo di “prinnazia” a NOME , pe..f eA tv COGNOMECOGNOME COGNOME Cic GLYPH o, gli altri soggetti erano chiamati a esprimere il proprio parere e a fornire così un contributo significativo alla formazione di quella che, per tale, ragion risultava essere una decisione condivisa e comune, tanto che tutti i collaboratori, seppure in termini parzialmente diversi ma sostanzialmente sovrapponibili, hanno descritto una dinamica decisoria riferibile alla dimensione collegiale, assunta comunque all’esito di una discussione e di un confronto al quale i due ricorrenti hanno direttamente partecipato, anche in modo concreto, sia sollecitando la decisione sia anche impartendo disposizioni o, pure soltanto non obiettando nulla (cfr. pagine da 34 a 39 della sentenza impugnata).
Sul punto, d’altro canto, appare opportuno ribadire che in una corretta prospettiva interpretativa, diversamente da quanto indicato nell’atto di ricorso, la sola partecipazione alle riunioni nelle quali si delibera un reato, in assenza di una dichiarata ed espressa presa di distanza, pure seguita da comportamenti significativi in tal senso, è qualificabile come concorso alla commissione dello stesso in quanto anche il tacito assenso alla realizzazione dell’evento è qualificabile quale contributo morale idoneo a determinare la responsabilità concorsuale del soggetto ai sensi dell’art. 110 cod. pen.
Come più volte ribadito da questa Corte, infatti, «è configurabile il concorso morale nel delitto di omicidio nei confronti dell’appartenente all’organismo di vertice d un’associazione criminale di tipo mafioso, che presta tacitamente il proprio consenso in merito alla esecuzione dello specifico delitto mantenendo un comportamento silente nel corso di una riunione o all’atto della “doverosa” informazione ad opera di altro membro del sodalizio, in quanto la sola presenza ed il solo implicito assenso del capo sono idonei a costituire condizione per la realizzazione del crimine o comunque a rafforzare significativamente il relativo proposito» (così da ultimo Sez. 5, n. 9395 del 10/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282826 – 01, nel medesimo senso, con specifico riferimento al reato di omicidio, già Sez. 1, n. 19778 del 26/02/2015, C., Rv. 263568 – 01; sempre nel senso che è sufficiente anche un comportamento silente Sez. 2, n. 3822 del 18/11/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233327 – 01).
Il rigetto dei ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali per l’attuale fase.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/4/2024.