Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20246 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20246 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 27/02/2025
R.G.N. 42362/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a BOLOGNA il 09/05/1996 avverso l’ordinanza del 23/10/2024 del TRIBUNALE di Roma sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentito il difensore Avvocato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell’art. 309 cod.proc.pen. – ha confermato, con provvedimento del 23 ottobre 2024, il titolo cautelare emesso nei confronti di COGNOME Dante in data 3 ottobre 2024.
NOME COGNOME Ł raggiunto dalla decisione applicativa della custodia cautelare in carcere per concorso nel delitto di omicidio volontario (e tentato omicidio), per fatto avvenuto in data 23 maggio 2024.
Quanto alla valutazione di gravità indiziaria il Tribunale ripercorre l’intero compendio acquisito, sottoponendolo a nuova valutazione.
In sintesi, gli elementi principali posti a carico di NOME COGNOME possono essere rievocati nel modo che segue.
E’ incontroverso (data la fonte di prova, rappresentata da videoregistrazioni) che NOME COGNOME (vittima dell’omicidio) venne colpita per errore nell’uso dei mezzi esecutivi mentre si trovava all’interno della vettura tipo Smart di colore nero condotta da NOME COGNOME.
Le due donne vennero a trovarsi sulla traiettoria di cinque colpi di arma da fuoco esplosi secondo l’accusa – da NOME COGNOME che si trovava a bordo della vettura Fiat 500 di colore rosso condotta da NOMECOGNOME Il vero obiettivo dell’azione di fuoco erano altri soggetti che viaggiavano su una Volkswagen Polo di colore bianco, inseguita invano da NOME e NOME (che poco dopo abbandonavano l’auto).
E’ altresì incontroverso (anche qui per immagini video) che sino a quindici minuti prima del fatto (ossia fino alle 17.40) all’interno della Fiat 500 rossa vi era NOME COGNOME unitamente a NOME.
Ciò posto, secondo gli esiti delle indagini : a) la vettura Fiat 500 era utilizzata di fatto dallo COGNOME e da altri membri della sua famiglia; b) già dalle ore 17 di quel pomeriggio la vettura transitava in zona, quasi a ‘battere il territorio’; c) quando sopraggiungeva la Volkswagen Polo si realizzava immediatamente il pericoloso inseguimento, da parte degli occupanti la Fiat 500; d) i colpi vennero esplosi ad altezza d’uomo, considerando la posizione degli occupanti le vetture.
Si tratta di dati fenomenici che vengono utilizzati per sostenere – da parte del Tribunale – che l’intenzione degli sparatori (ovviamente non nei confronti della signora COGNOME), era quella di uccidere o ferire gravemente i soggetti presi di mira.
Quanto allo sviluppo ulteriore delle indagini il Tribunale individua elementi di sostegno alla tesi del ‘mandato’ conferito da NOME COGNOME nei seguenti dati: a) da altri procedimenti si deduce che COGNOME era il gestore della piazza di spaccio sita nella zona dove si Ł verificato il fatto; b) lo stesso COGNOME in sede di dichiarazioni spontanee faceva riferimento a un episodio avvenuto il giorno prima, di contrasto con alcuni albanesi; c) COGNOME veniva, in sostanza, trovato in possesso della chiave della Polo utilizzata dagli albanesi il giorno antecedente durante l’alterco; d) in tale contesto, anche l’utilizzo, che può apparire imprudente, della Fiat 500 era da ritenersi voluto e simbolico.
Ancora, viene evidenziato che l’esistenza del ‘mandato’ Ł sostenuta anche da una analisi ragionata dei contenuti di alcune conversazioni oggetto di captazione (episodio dell’affitto temporaneo della piazza di spaccio che COGNOME avrebbe proposto a Pjetri, successiva conversazione della COGNOME con la madre, conversazione tra la madre di COGNOME e la sorella).
In sostanza, il Tribunale afferma che la lettura complessiva delle risultanze istruttorie consente di affermare – allo stato – che COGNOME aveva programmato l’azione ritorsiva in termini di spedizione punitiva, tale da comportare la morte o comunque il ferimento dell’albanese. L’ordine era quello di sparare, altrimenti i suoi ‘sottoposti’ COGNOME e COGNOME non avrebbero esposto il loro capo ad un rischio simile (visto che viaggiavano con una vettura che era facilmente riconducibile allo COGNOME). Si ricostruisce il dolo circa l’evento realizzato (la morte della signora COGNOME) in termini di dolo eventuale.
Si conferma la sussistenza di esigenze cautelari e la adeguatezza della misura in atto.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – NOME COGNOME.
Il ricorso Ł affidato a quattro motivi, che vengono di seguito sintetizzati nei limiti di effettiva utilità per la decisione.
3.1 Al primo motivo si deduce vizio del procedimento, in termini di inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal coindagato COGNOME in data 25 maggio 2024.
Secondo la difesa non si tratta realmente di dichiarazioni spontanee, data la condizione di fatto (sottoposizione a fermo) in cui si trovava il dichiarante e data la evidente portata auto-incriminante delle dichiarazioni rese.
La situazione di fatto, in particolare, influiva sulla stessa possibilità di ritenere ‘spontanee’ le dichiarazioni rese dal Guidoum.
Nel decreto di intercettazione urgente, sottoscritto poco dopo, lo stesso PM non fa menzione del contributo reso alla PG dal Guidoum e fa riferimento ad una volontà di costui di conferire con il difensore. Dunque si afferma che le dichiarazioni erano, in concreto, frutto di sollecitazione, aspetto non colto dal Tribunale.
3.2 Al secondo motivo si deduce la inutilizzabilità del decreto di intercettazione emesso in via di urgenza dal PM in data 25 maggio 2024.
Secondo la difesa nel decreto si sostiene in modo illegittimo e non corrispondente agli atti l’esistenza di ‘gravi indizi’ a carico di NOME COGNOME. Vengono indicate le circostanze probatorie oggetto di contestazione, tra cui dichiarazioni informalmente rese dallo COGNOME. Si ribadisce che COGNOME non era in auto al momento della esplosione dei colpi e si sostiene la inutilizzabilità del provvedimento di convalida.
3.3 Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione sul profilo della gravità indiziaria.
Secondo la difesa la tesi del mandato, conferito agli esecutori da COGNOME, Ł meramente congetturale.
Non vi sono provvedimenti idonei ad attestare il preteso ruolo di ‘capo’ della piazza di spaccio in capo allo COGNOME, nØ può dirsi certa la esistenza del precedente litigio con la persona di nazionalità albanese.
In sostanza, l’intero andamento della motivazione sarebbe assertivo, ben potendo la condotta delittuosa essere frutto di una autonoma iniziativa delle persone che erano a bordo della Fiat 500. In particolare si contesta la pretesa valenza indiziante delle conversazioni citate nel provvedimento impugnato.
3.4 Al quarto motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla gravità indiziaria in tema di circostanza aggravante dei motivi futili.
Si ritiene di estendere la doglianza anche al profilo della aggravante dei motivi futili, posto che a voler ritenere probanti alcuni contenuti delle conversazioni oggetto di captazione la condotta sarebbe derivata da una seria minaccia posta in essere dalla persona di nazionalità albanese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, per le ragioni che seguono.
Il primo motivo Ł infondato.
La difesa non introduce effettivi elementi di contrasto alla qualificazione in termini di ‘spontaneità’ delle dichiarazioni rese dal Guidoum cui si fa riferimento nella motivazione della decisione. Il contesto non Ł argomento decisivo, posto che la qualità di indagato Ł presupposto dalla disposizione di legge di cui all’art. 350 comma 7 cod.proc.pen. e non vi Ł motivo di dubitare della capacità del dichiarante di orientare le proprie scelte dichiarative.
Nei limiti di cui all’art. 350 comma 7 cod.proc.pen. si tratta, pertanto, di dichiarazioni utilizzabili.
3. Il secondo motivo Ł inammissibile per manifesta infondatezza.
La difesa muove da una prospettiva erronea in diritto, posto che l’attività di captazione delle conversazioni richiede i gravi indizi di reato (profilo oggettivo) e non già di colpevolezza a carico di un determinato soggetto.
Nel caso in esame le immagini video, già al momento del fatto, e le risultanze di prova generica erano tali da integrare ampiamente il presupposto di legge e la ‘direzione’ delle attività investigative era ampiamente sostenuta (al di là degli ulteriori elementi indicati nel provvedimento emesso dal PM) dalla riferibilità della vettura Fiat 500 alla persona dello COGNOME.
Il terzo motivo Ł infondato.
Il Tribunale ricostruisce, nella fase in cui si colloca l’intervento cautelare, con pienezza di argomentazioni il substrato indiziario, muovendo da elementi certi e non da mere congetture.
Va premesso, in termini generali, che il legislatore nel prevedere – all’art. 273 cod. proc. pen. che nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono «gravi indizi di colpevolezza» ha inteso, come Ł noto, utilizzare il termine «indizio» non nel suo connotato tradizionale di «elemento di prova critico o indiretto» ma ha inteso riferirsi ai contenuti della prognosi
(indizi..di colpevolezza) creando un doveroso «rapporto»tra la valutazione in materia di libertà ed il prevedibile esito finale del giudizio (la colpevolezza intesa come affermazione di penale responsabilità), in termini di qualificata probabilità di condanna, sia pure valutata allo stato degli atti.
In ciò, come Ł stato piø volte chiarito da questa Corte di legittimità, gli indizi di colpevolezza (art.273 cod.proc.pen.) altro non sono che gli elementi di prova – siano essi di natura storica/diretta o critica/indiretta – sottoposti a valutazione incidentale nell’ambito del subprocedimento cautelare e presi in considerazione dal giudice chiamato a pronunziarsi nei modi di cui all’art. 292 comma 2 lett. c cod. proc. pen. .
La loro obbligatoria connotazione in termini di «gravità», al fine di rendere possibile l’applicazione della misura, sta dunque a significare che l’esito di tale valutazione incidentale deve essere tale da far ragionevolmente prevedere, anche in rapporto alle regole di giudizio tipiche della futura decisione finale, la qualificata probabilità di condanna del soggetto destinatario della misura.
In ciò Ł evidente che il giudice chiamato a pronunziarsi in sede cautelare personale ha l’obbligo – per dare corretta attuazione ai contenuti del giudizio prognostico – di confrontarsi :
a) con la natura e le caratteristiche del singolo elemento sottoposto a valutazione (ad es. l’indizio in senso stretto – la narrazione rappresentativa di natura testimoniale – la chiamata in correità o in reità – gli elementi tratti da captazioni di conversazioni);
b) con le regole prudenziali stabilite dal legislatore in rapporto alla natura del singolo elemento in questione (si veda, sul punto, quanto affermato da Sez. IV n. 40061 del 21.6.2012, Tritella, Rv 253723, in tema di elementi di prova critica, con necessità di tener conto anche in sede cautelare della loro particolare caratteristica ontologica) ;
c) con le regole di giudizio previste in sede di decisione finale del procedimento di primo grado, ivi compresa quella espressa dall’art. 533 comma 1 cod. proc. pen. (disposizione per cui l’affermazione di colpevolezza può essere pronunziata solo se il materiale dimostrativo raccolto consente di superare ogni ragionevole dubbio in proposito).
Con ciò non si intende dire – ovviamente – che dette regole prudenziali e di giudizio siano «direttamente» applicabili alla particolare decisione incidentale di tipo cautelarema di certo lo sono in via «mediata» posto che un serio giudizio prognostico, quale Ł quello di «elevata probabilità di condanna», non può prescindere dalla necessità di proiettare il «valore» degli elementi di prova acquisiti sulla futura decisione e sulle sue regole normative tipizzate in tal sede (in tal senso, tra le altre, Sez. I n. 19759 del 17.5.2011, COGNOME, rv. 250243, ove si Ł con chiarezza affermato che « .. il giudizio prognostico in tal senso – ovviamente esteso alle regole per le ipotesi di incertezza e contraddittorietà considerate dal codice di rito all’art. 530, comma 2 e all’art. 533, comma 1, prima parte – Ł dunque indispensabile, pur dovendo essere effettuato non nell’ottica della ricerca di una certezza di responsabilità già raggiunta, ma nella prospettiva della tenuta del quadro indiziario alla luce di possibili successive acquisizioni e all’esito del contraddittorio..») .
Da qui la necessità di identificare – da parte del giudice chiamato a pronunziarsi sulla domanda cautelare – in modo specifico e razionale il significato incriminante degli elementi raccolti sino al momento della decisione e sottoposti al suo esame, con convincente e rassicurante attribuzione di significato a detti elementi nella descritta chiave prognostica.
Se questo Ł il compito attribuito al giudice del merito, Ł altrettanto evidente che la funzione di controllo del ragionamento giustificativo, attribuita al giudice di legittimità ed esercitata in rapporto al contenuto dei motivi di ricorso, non può risolversi nella rivalutazione autonoma di singoli segmenti del materiale informativo ma si realizza – doverosamente – attraverso la verifica di completezza, logicità, non contraddittorietà del percorso argomentativo espresso nel provvedimento, in chiave di rispetto «complessivo» della regola di giudizio tipica della fase in questione.
Sul tema, resta valido e chiaro l’insegnamento fornito dalla decisione Sez. U ric. Audino del22.3.2000 (rv 215828) per cui, in relazione alla natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, questa Corte Suprema ha il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione, riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate. .
Ciò posto, nel caso che ci occupa, non risulta illogica la considerazione per cui gli autori materiali abbiano eseguito un mandato di tipo ‘altamente lesivo’ loro conferito dallo COGNOME, e ciò in ragione di una ampia concatenazione logico-fattuale che si alimenta da tutti dati esposti nella decisione impugnata.
Non può trascurarsi, in proposito, la presenza dello COGNOME a bordo della medesima auto – in attività di perlustrazione – fino a quindici minuti prima della tragica sparatoria, così come non possono trascurarsi i risultati captativi della conversazione intrattenuta dal COGNOME, idonea a concretizzare (sul piano della gravità indiziaria) proprio quel ruolo di capo che la difesa contesta (solo il capo potrebbe fittare temporaneamente a terzi la piazza di spaccio).
E’ evidente, pertanto, che la ricostruzione muove su binari di ‘concatenazione logica’ tra piø segmenti fattuali, ma non può in alcun modo dirsi meramente congetturale, il che comporta il rigetto del motivo di ricorso.
Quanto alla proiezione del concorso morale su un evento che Ł certamente ‘aberrante’, Ł necessario – inoltre – evidenziare che secondo gli insegnamenti di questa Corte di legittimità Ł configurabile la partecipazione, a titolo di concorso morale, nell’omicidio di persona diversa da quella cui l’aggressione era diretta (“aberratio ictus”), in quanto l’errore esecutivo non ha alcuna incidenza sull’elemento soggettivo del partecipe morale, essendosi comunque realizzata l’azione concordata
con l’autore materiale, il cui esito aberrante Ł privo di ogni rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo (così Sez. I n. 37578 del 21.9.2001, rv 220238).
Da ultimo, va rilevato che, per come ricostruita sinora la vicenda in sede di merito, nessun profilo di illegittimità si ravvisa nella contestazione della circostanza aggravante dei motivi futili, data la manifesta sproporzione tra l’episodio che avrebbe innescato la reazione e le condotte successive, tali da far emergere una volontà di affermare un predominio violento sul territorio.
Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 27/02/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME